La filiera informa

«È tempo di reindustrializzazione» secondo Luigi Nicolais, ex presidente del Cnr ed ex Ministro per le riforme e le innovazioni

Buono l’andamento del settore delle macchine per l’industria grafica e cartaria che ha registrato un 2015 soddisfacente, dimostrando come innovazione e tecnologia siano oggi cardini di competitività. La globalizzazione richiede infatti un nuovo modo di fare impresa in cui al centro ci sia la conoscenza.

L’industria manifatturiera italiana è tra le prime in Europa per importanza, al suo interno le imprese produttrici di macchine per l’industria grafica e cartaria hanno registrato, lo scorso anno, dati tra i più positivi del settore. È questo quanto emerge dall’Assemblea annuale 2016 di Acimga, l’Associazione costruttori italiani di macchine per l’industria grafica, cartotecnica, cartaria, di trasformazione e affini – parte della Federazione della filiera della carta e della grafica – tenutasi la scorsa estate a Milano.

Vitali e in crescita

Il comparto dimostra di crescere innanzitutto nel numero di addetti, 7.200 con un +3,6% rispetto al 2014, uno dei dati più elevati del settore manifatturiero, come sottolineato da Marco Calcagni, presidente dell’associazione. Ma i risultati sono particolarmente confortanti quando si analizzano gli investimenti che sono stati pari a 75,2 milioni di euro, con una variazione rispetto al 2014 del 4,8% quindi, anche in questo caso, un incremento piuttosto importante (figura sotto).

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Gli indicatori fondamentali mostrano numeri in positivo per quanto riguarda il fatturato totale, cresciuto del 10% e pari a 2.321 milioni di euro, mentre l’export ha mostrato un leggero calo (-1,3%) compensato però dall’andamento dell’import (+10,7%) e soprattutto del mercato interno, che è aumentato del 43%, a dimostrazione del fatto che il comparto è uno dei settori che ha investito maggiormente nell’ultimo anno. Di fatto, ha commentato Calcagni, il settore è vivo e sta crescendo in Italia con forti investimenti in tecnologia da parte di tutte le aziende che compongono la filiera. Il saldo commerciale, per quanto negativo rispetto al 2014 (-5,7%), è importante e si assesta sui 1.087 milioni di euro (figura sotto).

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I destinatari della tecnologia made in Italy sono innanzitutto i paesi del Nafta – North american free trade agreement– ovvero Stati Uniti, Canada e Messico, che hanno avuto l’incremento maggiore, +18,8%, insieme all’Asia orientale con un +13,2% e a sfavore dei paesi extra Ue in cui si è registrato invece un forte calo, -25,5%, motivato anche dalla scelta delle aziende della filiera di concentrarsi sul mercato locale (figura sotto). Sempre dal punto di vista delle esportazioni vi sono anche altri paesi in forte sviluppo, in particolare quelli del sud est Asia e in Europa il Portogallo.

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Che la tecnologia italiana delle macchine da stampa, grafica e carta sia tra le più apprezzate del mercato concorrono a provarlo anche i dati dei maggiori costruttori ed esportatori a livello mondiale che vendono l’Italia passata al secondo posto, seguita a breve distanza dalla Cina, e dietro solo alla Germania, per quanto il delta tra il primo e secondo posto sia ancora significativo. E anche la bilancia commerciale dei principali costruttori ed esportatori vede un podio cambiato di poco, con ancora la Germania al primo posto, l’Italia al secondo, ma il terzo occupato dal Giappone.

La conoscenza è competitività

I dati economici dimostrano anche la capacità innovativa delle imprese. In particolare le esportazioni riescono a mantenersi elevate laddove vi sono innovazione e tecnologia; questo perché «oggi il sapere e la ricerca rappresentano l’elemento centrale della competitività» commenta il professore Luigi Nicolais, ex presidente del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) ed ex Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, esaminando la situazione della ricerca e sviluppo in Italia e le prospettive che attendono in proposito il paese. «All’interno dell’economia moderna non c’è più staticità nell’attività dell’industria, soprattutto nei settori specifici dell’innovazione tecnologica» afferma «e chi è avanti non si può fermare, deve continuare a correre». Di fronte ai cambiamenti degli ultimi dieci anni che hanno modificato profondamente ogni ambito della nostra vita, da quello istituzionale a quello economico e politico, si è compreso come la competizione non può più essere basata sulla mera riduzione dei costi, soprattutto nei paesi europei. È accaduto quindi che alla generale operazione di delocalizzazione a cui si è assistito qualche anno fa, è recentemente seguito il fenomeno contrario del riallocamento nei paesi dove c’è un elevato contenuto di conoscenza tecnica e la capacità di offrire garanzie nella produzione. Questo nuovo paradigma «ci impone una competizione basata sulla capacità di riempire di conoscenza i nostri prodotti». La stessa cosa è avvenuta nelle università, «dove si percepisce ora una maggiore sensibilità nel rapporto con le imprese e dove finalmente c’è un’osmosi continua tra ricerca di base e applicata, ora non più viste come entità separate. Si è compreso che bisogna cambiare il modo di essere e riportare la persona al centro dello sviluppo».

Il tempo della reindustrializzazione

La nuova sfida per il mondo dell’impresa, quindi, è mantenere la competitività e per farlo serve una nuova industrializzazione che miri a sviluppare quelle che il professore chiama le attività “knowledge intensive”, nelle quali la conoscenza è elemento essenziale e centrale. Ciò significa cambiare prospettiva, «c’è bisogno di un’interazione tra produttori e utilizzatori di macchine, prodotti e materiali, mettendo insieme chi sta a monte e chi sta a valle di un processo di innovazione». Un esempio eclatante, in tal senso, è quello del settore tessile che è passato da uno sviluppo prettamente lineare dell’innovazione a uno radiale, in cui il produttore è collegato a diversi utilizzatori. «Questo è un cambiamento epocale, che verte sull’importanza delle interazioni tra persone e competenze diverse». O ancora il settore aeronautico – seguito negli ultimi tempi anche da quello delle automobili – che ha reinventato il modo di costruire gli aerei e vede oggi una produzione dei vari componenti decentrata in diverse sedi super specializzate, con una riduzione dei costi, e lo sviluppo di una rete globale e della figura dell’integratore di conoscenza o “knowledge integrator”.

La filiera della conoscenza diventa quindi un elemento centrale, anche per l’Italia. Perché sia davvero efficace per lo sviluppo del sistema paese è però necessario cominciare a coinvolgere le scuole; «occorre cercare di trasferire ai giovani la curiosità del trovare, creare una mentalità e una capacità critiche» ovvero realizzare politiche di formazione e ricerca unite a politiche industriali ed economiche. «Solo così la formazione, la ricerca scientifica e la reindustrializzazione porteranno allo sviluppo della competitività, a quello dell’industria e all’occupazione. Questi devono essere blocchi non più considerati come a sé stanti, ma collegati tra loro».

La centralità della ricerca

Competitività e innovazione significano anche R&S. «L’Italia è al primo posto per quanto riguarda la qualità dei ricercatori e i risultati scientifici conseguiti, ma l’ultima negli investimenti in ricerca» sottolinea Nicolais. Tanto più che «le pmi italiane per loro caratteristica hanno difficoltà nel fare ricerca e investire su progetti che non possono dare ritorni in tempi brevi. Per questa ragione la ricerca deve essere fatta a livello pubblico e le aziende devono potere accedere a tali risultati senza la necessità di affrontare un costo fisso troppo elevato». Occorre anche dire che le possibilità di finanziare progetti di ricerca e di sviluppo industriale oggi non mancano, né a livello nazionale – l’Europa ha previsto fondi strutturali che puntano alla competitività territoriale – né a livello europeo. In questo ambito, in particolare, «Horizon 2020 ha posto una grande attenzione all’utilizzabilità delle ricerche e alla loro applicazione pratica. Le matrici entro cui si muovono tutte le ricerche che rientrano nel modello di programma sono due, le tecnologie, che interessano diversi settori, e le sfide sociali». Non solo, in Europa, ricorda in ultimo Nicolais, si sta formando anche l’European innovation council per finanziare e gestire il mondo delle innovazioni e delle start-up. «Sarà pronto probabilmente per la fine del 2017 e avrà l’obiettivo di avviare, accanto ad attività di ricerca finanziata, anche attività d’innovazione, aspetto per il quale ci sarà la necessità di uno stretto legame con il mondo dell’impresa».

Un’opportunità chiamata ricerca
Attuali misure a favore dello sviluppo di R&S a livello nazionale ed europeo.
In Italia:
-Patent box, incentivazione della collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero
-Credito di imposta R&S, attribuito a tutte le imprese che effettuino investimenti in attività di ricerca e sviluppo (2015-2019).
In Europa:
  • a gestione diretta dell’Ue:
-Horizon 2020, per ricerca e innovazione (budget 80 miliardi di euro)
-Cosme (2,3 miliardi di euro), Life – Ambiente e clima (3,5 miliardi di euro) e 3rd Health Programme (0,45 miliardi di euro) per crescita sostenibile, occupazione e tematiche sociali
-Strumento europeo di vicinato e partenariato (15 miliardi di euro) per internazionalizzazione delle imprese;
  • a gestione delegata agli stati membri, fondi strutturali:
-Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) (183,3 miliardi di euro)
-Fondo di coesione (68,7 miliardi di euro).

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