Ecco cosa ho imparato da Steve Jobs

Ce lo ha raccontato il re dei chief evengelist Guy Kawasaki, stretto collaboratore di Jobs sin dai tempi del primo Macintosh – considerato uno dei miti del mondo tech USA – in occasione del primo “Digital Convergence Day”, evento organizzato dall’Università Bocconi.

Jobs era sicuramente un innovatore e un visionario, ma  – ancor più- un uomo incredibilmente determinato e con capacità comunicative e persuasive fuori dal comune. Uno dei sui mantra principali era: Customers don’t know what they want. Come dire: «Non importa quello che chiedono le persone, dobbiamo essere noi a proporre il sogno del futuro, il prodotto che nessuno immagina possa esistere, ma di cui non si potrà più fare a meno».

Nell’era dei Big Data, questo pensiero contrasta in modo piuttosto evidente con le nuove tendenze del digital marketing orientate alla raccolta dei dati, alla loro elaborazione ed al delivery di una strategia di comunicazione customer centric, esclusivamente finalizzata alla trasmissione di un messaggio personalizzato, su misura delle esigenze del consumatore.

D’altra parte, questo argomento era anche uno dei principali punti di contrasto e discussione con  John Sculley (colui che lo mise in minoranza nel consiglio di amministrazione di Apple, facendo in modo – di fatto – che venisse cacciato dall’azienda che lui stesso aveva creato). Sculley infatti sosteneva che che per avere successo era necessario che Apple commercializzasse prodotti “market driven” fatti su misura per rispondere alle esigenze e richieste del mercato. Al contrario, Jobs dimostrò – al suo rientro – di avere ragione nell’insistere nella creazione di prodotti unici, che prima non c’erano, vestiti con una strategia volta a trasformarli nella realizzazione di un sogno.

Per avere successo occorre quindi insistere con perseveranza nella ricerca di innovazione che porti “to the next curve”. Kawasaky ha ricordato che le aziende che hanno ceduto alla tentazione di intendere il futuro come una continua evoluzione – più o meno lineare – dei loro prodotti, hanno fallito. Il successo arriva quando, ad esempio – come per Bezos – si passa dalla carta al libro digitale, cioè quando si trovano nuovi paradigmi che rendono la vita più facile o divertente.

Ma la curiosità rimane il consiglio principale. Non smettere mai di fare domande come Therefore what? – Is there a better way?. E soprattutto Don’t worry, be crappy, spesso sostituito con un Good enough, is good enough. Inseguire la perfezione, nello sviluppo come nel management, non porta al risultato. Esiti ragionevoli sono già un successo. Kawasaky ha citato anche Reed Hoffman, il fondatore di Linkedin: «If you are not embarrassed by the first version of your product, you’ve launched too late». D’altra parte non è una novità: qualche magagna iniziale, da sempre, è il prezzo da pagare per chi parte per primo.

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