Packaging&idee

Latte in cartone: può davvero funzionare?

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Un gruppo di giovani designer brasiliani ha progettato un kit costituito da un guscio in cartone e quattro buste flessibili di capacità 700 ml ciascuna: il cartone – praticamente un pack secondario – permette di dare rigidità e protezione meccanica alla busta; le quattro «ricariche» sono a diretto contatto con il latte e vengono inserite nel guscio esterno.

Il poliaccoppiato è davvero il miglior confezionamento possibile per il latte o è possibile immaginare qualcosa di diverso? Forse esistono alternative. Ha provato a proporne una un gruppo di giovani designer brasiliani – Danilo Saito, Maira Kondo, Akira Mizutani, Lau Bellesa e Mariana Mascarenhas – che ha disegnato un concept pack che, se applicato su scala industriale, rivoluzionerebbe il modo di confezionare il latte.

Il team di sviluppo ha pensato di «scomporre» il poliaccoppiato in due parti, fisicamente separate tra loro: una busta interna in film flessibile ricavato da fonti rinnovabili (mais, secondo il progetto), chiusa con tappo a vite e un contenitore esterno in cartoncino riutilizzabile. Secondo gli ideatori, i vantaggi di questa proposta sono notevoli, soprattutto sotto il profilo della sostenibilità. Anzitutto il volume di ogni busta è più compatibile con i consumi di latte di nuclei familiari sempre più piccoli e questo va a incidere, almeno potenzialmente, sugli sprechi alimentari.

Il fatto che le due componenti dell’imballaggio siano di per sé separate, poi, semplifica la gestione dell’imballo vuoto: il cartone entra nella filiera del riciclo della carta, la busta in quello delle plastiche; dove è possibile potrebbe essere addirittura inviato al compostaggio. Inoltre il fatto di riutilizzare quattro volte lo stesso guscio di cartone riduce l’utilizzo di cellulosa.

Sicuramente il progetto dimostra una grande sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali, ma può diventare davvero una soluzione applicabile a livello industriale per il confezionamento del latte? Abbiamo posto questa domanda a degli esperti di imballaggio, anche se con diverse sensibilità: Stefano Farris, ricercatore del Defens – Università degli Studi di Milano, che ha analizzato la soluzione sotto il profilo tecnico e della protezione dell’alimento; e Alice Tacconi e Mirco Onesti, partner di Reverse Innovation, un’agenzia di creatività specializzata in brand e prodotti del largo consumo, che hanno invece valutato la fruibilità del pack. Ecco le loro opinioni sul concept del designer brasiliano.

Idea interessante, ma mancano garanzie sulla shelf life

«A mio avviso questa confezione è di grande impatto a livello di marketing e di design, ma a livello di funzionalità mi lascia perplesso. Il latte, infatti è confezionato in un film costituito da un polimero di origine rinnovabile e per giudicarne l’adeguatezza tecnica sarebbe opportuno conoscere le caratteristiche del materiale, in particolare la permeabilità a gas e vapori e quella alla luce» esordisce Stefano Farris. «Questo imballo si propone in alternativa al poliaccoppiato e ne vengono evidenziati i punti di forza a livello ambientale: il fatto che sia costituito da due parti separate – il cartoncino esterno e il film flessibile interno – entrambi di origine rinnovabili e molto semplici da smaltire separatamente. Però oggi capita molto spesso che si pensi prima al design e all’impatto ambientale, che non all’aspetto tecnico: quello legato alla shelf life dell’alimento. La prima funzione di un pack alimentare è quella di proteggere l’alimento e prolungarne la conservazione. Se viene meno la funzione primaria, il resto ha poco senso. Anche considerando il solo aspetto ambientale, se il bio-imballo non garantisce le stesse performance di quello tradizionale in quanto a shelf life, permette sì di ridurre l’impatto ambientale del pack, ma rischia di aumentare lo spreco di latte e questo non è accettabile.» Prosegue Farris: «c’è un altro aspetto da valutare: i biopolimeri, per avere performance di processo paragonabili a quelli di origine fossili, devono essere addizionati di sostanze che li rendono capaci di sopportare il processo di produzione e il confezionamento. Risulta quindi indispensabile affrontare l’aspetto relativo al contatto con gli alimenti, prendendo in esame aspetti come la migrazione di sostanze potenzialmente pericolose, la neoformazione di composti… Se quindi ci fossero studi su questo imballaggio in grado di dimostrare che ha le stesse proprietà del poliaccoppiato in termini di protezione dell’alimento e che non rappresenta un potenziale pericolo per la salute del consumatore, lo giudicherei positivamente. Se così non fosse, ritengo che certi esperimenti è giusto che rimangano tali: non rischiamo di fare dei passi indietro dal punto di vista della protezione dell’alimento».

Non dimentichiamo il consumatore!

«Il pack realizzato da questo gruppo di designer propone spunti tecnici e creativi sicuramente molto interessanti. La premessa iniziale, legata alla semplificazione dello smaltimento dei rifiuti e alla loro riduzione, è senza dubbio un trend in pieno sviluppo nel mondo del packaging. È molto positivo che emergano dei concept che propongono soluzioni innovative e non convenzionali, in termini sia di scelta dei materiali sia di sviluppo grafico» è invece la riflessione di Alice Tacconi e Mirco Onesti.

«Le idee ci sono, mentre alcuni aspetti funzionali andrebbero interpretati meglio: la confezione è pensata per rispettare l’ambiente ma finisce per dimenticarsi, in parte, del consumatore! La fruibilità del prodotto risulta un po’ complessa: aprire e richiudere più volte il cartone esterno, per sostituire all’interno la confezione in plastica non è molto pratico, soprattutto per un prodotto di consumo quotidiano. Occorre inoltre tener conto anche delle specificità strutturali dei materiali. La parte in cartone, che fa da armatura alla plastica e sostiene la confezione, è quella strutturalmente più debole. Rischia infatti di bagnarsi con l’umidità del banco frigo e del frigo domestico ed è anche soggetta a continue sollecitazioni meccaniche nei momenti di apertura e chiusura. Non dimentichiamo però che questo è un progetto concettuale: il suo scopo è quello di stimolare una riflessione e di mostrarci un futuro possibile, fatto di materiali, soluzioni e abitudini di acquisto e di nuove fruizioni. Sarebbe davvero bellissimo se il package design si evolvesse sempre più in questa direzione!»

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