Formazione

Giovani e lavoro, due lati di una stessa medaglia

Parlare di formazione è sempre un bene soprattutto se il focus è sui giovani, le nuove leve per il mondo del lavoro e più in generale per la società. In un mondo del lavoro in costante evoluzione, la formazione diventa l’anello di congiunzione tra le aspirazioni degli studenti e le esigenze delle imprese. Questo articolo prova a leggere entrambe le prospettive — quella di chi apprende e quella di chi assume — per capire dove si incontrano (e dove ancora no).

Per iniziare partiamo da una riflessione: un individuo che svolge un lavoro di soddisfazione, con prospettive di miglioramento e se possibile anche giustamente retribuito è un individuo che ha gli strumenti per aspirare a una vita piena di opportunità.

E proprio da questa riflessione ci sembra naturale arrivare al tema dell’articolo: la formazione. Certo pensare alla formazione solo in funzione del lavoro può sembrare riduttivo ma noi questo argomento lo tratteremo proprio sotto questo aspetto perché ci crediamo profondamente grazie anche alla frequentazione privilegiata di un istituto che eroga formazione terziaria professionalizzante post-diploma e di associazioni culturali e tecniche (ACSG e TAGA) che ogni anno organizzano, proprio per i giovani, attività a scopo formativo.

Quindi chi scrive, senza avere la pretesa di sapere tutto, può presentare uno spaccato di quello che oggi attira i giovani, li ingaggia e li porta a seguire corsi, seminari e convegni per arrivare più pronti al mondo del lavoro e, più in generale, alla vita.

Partiremo quindi dai giovani per poi arrivare al mondo del lavoro, alle aziende che accolgono gli studenti al termine del loro percorso di studi e vedremo insieme se e dove le aspettative di entrambe le parti si incontrano.

A costo di sembrare banali per il nostro ragionamento dobbiamo partire dalla GenZ, categoria in cui ricadono i nati da metà degli anni ‘90 fino al 2010 e che sono spesso argomento di studi, convegni, analisi e dibattiti. Qui in particolare ci focalizzeremo sui giovani che stanno ultimando, o hanno appena ultimato, gli studi secondari superiori con una data di nascita tra il 2003 e il 2005; sono quindi studenti che hanno subito in pieno la tragedia del Covid-19 con mesi di formazione a distanza che, indubbiamente, ha lasciato un segno soprattutto in chi nel 2020 e 2021 stava iniziando un nuovo percorso scolastico.

Formazione e strumenti digitali

Ci sono diversi elementi che caratterizzano i giovani studenti di oggi e che sono decisamente differenti rispetto a solo 5-10 anni fa. Primo fra tutti la familiarità con gli strumenti digitali, un grande passo avanti poiché il computer e i software non sono più percepiti come oggetti esterni ma parte integrante della propria vita, sia sociale sia di formazione. Trovare informazioni su qualsiasi argomento, fare approfondimenti, esplorare nuovi ambiti sono tutte modalità fondamentali nel processo di crescita per i giovani che vogliono proseguire negli studi e l’accoppiata computer-web è la risposta a tutto questo.

Certo da qualche tempo c’è un nuovo protagonista che sta complicando il rapporto tra studio e apprendimento: l’intelligenza artificiale. La possibilità di generare automaticamente dei contenuti, come pure trovare risposte a quesiti può essere un aiuto come una minaccia a seconda dell’utilizzo che se ne fa. Siamo solo agli inizi e probabilmente il mondo andrà incontro a grandi cambiamenti nel modo di fare formazione; ma d’altronde solo venti anni fa chi poteva immaginare che l’apprendimento potesse basarsi su un mix di testi, video, questionari interattivi e altri strumenti digitali?

Eppure adesso è la normalità e gli studenti ne hanno tratto beneficio poiché oggi la formazione è più coinvolgente e personalizzabile. Ed è proprio questo che gli studenti cercano e desiderano; una formazione dove sia possibile affiancare alla parte teorica un apprendimento esperienziale e pratico, svolto in laboratori e finalizzato allo sviluppo di progetti in cui le conoscenze acquisite possano venire immediatamente applicate. Questo approccio risulta vincente soprattutto per quelle materie dove sperimentare e provare, spesso sbagliando, guida gli studenti verso l’individuazione di soluzioni alternative e creative, alimentando una consapevolezza delle proprie capacità una volta raggiunto l’obiettivo.

Lavorare in team

Una formazione che veda tra gli obiettivi un inserimento di soddisfazione nel mondo del lavoro non può prescindere dallo sperimentare e applicare il lavoro in team che aiuta gli studenti a sviluppare varie competenze tra cui spiccano comunicazione, collaborazione e gestione del tempo.

Certo i problemi non mancano perché in un contesto formativo è più complesso gestire le dinamiche comportamentali rispetto al mondo del lavoro poiché manca la leva economica e la figura del team leader ha meno potere; nonostante ciò è possibile affermare che imparare a lavorare in team è un tassello fondamentale nel percorso di crescita dello studente.

Gli step fondamentali che caratterizzano un lavoro di gruppo in ambito formativo ricalcano quelli del mondo del lavoro: individuazione del progetto, analisi e pianificazione delle attività, assegnazione delle attività ai membri del team, monitoraggio, presentazione dei risultati. Un percorso sfidante che sollecita lo studente sotto più aspetti: relazionale (i colleghi non si scelgono!), comunicazione (se non chiara può portare a malintesi ed errori), impegno (tutti devono dare il massimo), leadership (che assume il ruolo di responsabile deve sapersi imporre). Una vera palestra che in genere richiede un po’ di allenamento prima di trovare la giusta dimensione, ecco perché è importante inserire questa prassi in tutti i percorsi formativi, iterando questa esperienza su più progetti, cambiando i team e i ruoli che gli studenti devono assumere. Il ritorno da parte degli studenti è molto incoraggiante; è una pratica molto apprezzata e sfidante perché costringe a confrontarsi con problemi che simulano realtà produttive e richiede una capacità di sintesi e di restituzione.

Le soft skill

Si sente un gran parlare di soft skill, tra cui le più note sono comunicazione interpersonale, il team working, il problem solving, il design thinking e la gestione del tempo perché ritenute fondamentali nel contesto lavorativo come pure in quello personale.

C’è da sottolineare che, inizialmente, le ore dedicate a queste discipline sono poco apprezzate dagli studenti che preferiscono le materie più tecniche ma, una volta iniziato il percorso nel mondo del lavoro e sperimentato quanto sono utili, vengono immediatamente rivalutate.

La vera sfida per chi insegna è renderle interessanti e coinvolgenti, inserendo parti pratiche e progetti da svolgere in gruppo e cercando di far percepire il reale valore.

Il ruolo del genitori

Sembra strano parlare di genitori quando si sta analizzando una fascia di età di giovani adulti ma così non è. Negli ultimi anni il ruolo dei genitori nella scelta della carriera di studio post-diploma ha preso una rilevanza non trascurabile. Chi ha figli nell’età compresa tra i 16 anni e in 21 anni avrà, molto probabilmente, assistito ad almeno un evento di orientamento; questo è una situazione che avviene da 6/7 anni ed è in continuo aumento. Non è la sede per dare giudizi su questa situazione, il mondo del lavoro nei Paesi industrializzati è più complesso e indubbiamente il contesto sociale, così come le professioni, è cambiato ma va trovato un equilibrio tra l’aiuto offerto dai genitori e la necessità di permettere ai figli di sviluppare un’autonomia decisionale. Certamente un dialogo aperto e un sostegno emotivo possono aiutare i giovani a prendere decisioni consapevoli ma non ne deve soffocare le aspirazioni e i desideri né tantomeno deve costringere a soddisfare le aspettative dei genitori.

L’altra faccia della medaglia

Veniamo al mondo delle aziende e proviamo a guardare da un’altra visuale la questione formazione.

Iniziamo da alcune verità inconfutabili:

1.              In ambito tecnologico in due/tre anni molte conoscenze diventano obsolete. La tecnologia continua ad accelerare e le evoluzioni sono continue. Non ci si può fossilizzare su una competenza tecnica; averla oggi non significa essere “al sicuro”. Probabilmente tra qualche anno ne servirà un’altra. Un collaboratore che sa imparare non solo ad imparare ma soprattutto a disimparare è fondamentale. Sembra un gioco di parole ma se ci soffermiamo a ragionare, l’affermazione è quanto mai vera. La tecnologia e i software stanno trasformando alcune prassi lavorative per cui “disimparare” significa aggiornarsi per cogliere tutti i vantaggi a disposizione.

2.              L’impatto dell’AI è sempre più pervasivo; sarà importante saperla usare ma in modo critico. Saper sfruttare l’AI senza diventarne succube è la chiave di volta. Quindi la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti dell’AI non deve portare a una perdita di autonomia decisionale e a una diminuzione dell’aspetto creativo.

3.              Poter contare su un collaboratore che unisce alle competenze tecniche (hard skills) competenze relazionali e personali (soft skills) è un valore per le aziende. L’ibridazione dei profili significa avere collaboratori capaci di operare in modo più versatile e flessibile.

Se questo è lo scenario per le aziende, gli obiettivi da perseguire sono chiari e possiamo affermare che sono in linea con quello che oggi i giovani cercano nei percorsi formativi. Purtroppo non sempre e non tutte le offerte formative sono in grado di soddisfare i requisiti che abbiamo analizzato prima ma l’innovazione in ambito formativo sta facendo passi significativi. È non può che essere questo il percorso, innovare-soddisfare le aspirazioni degli studenti e preparare per il mondo del lavoro, per riuscire ad attrarre i giovani verso professioni che già oggi fanno fatica a trovare risorse a causa dei noti problemi demografici.

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