Etichette

Etichette, chi condurrà le macchine da stampa domani?

Per il mercato delle etichette si prevede un incremento medio annuo del 4,2% nel periodo 2021-2026. È un numero importante che testimonia una vivacità che sicuramente non è caratteristica di altri segmenti del comparto della stampa. Senza indagare sulle motivazioni, si può affermare che da questo fronte nasceranno esigenze di potenziamento delle risorse aziendali, sia strumentali sia umane, per far fronte a produzioni più cospicue.

È una buona notizia che però pone anche degli interrogativi che per la verità già da qualche anno fanno capolino in quei momenti di confronto offerti da eventi fieristiche da convegni, o più semplicemente dal confronto con le aziende. Mi piace qui citare una frase che era anche l’incipit di una presentazione tecnica a un FTA meeting negli Stati Uniti di qualche anno fa. Diceva: «Chi condurrà le mie macchine da stampa domani?». La carenza di stampatori qualificati in questo intervento veniva manifestata dagli imprenditori della stampa come seria preoccupazione nonché potenziale rischio per la competitività. Da qui allora bisogna partire a interrogarsi per capire quali sono le competenze che un moderno stampatore deve mettere in campo per affrontare le sfide di un mercato sempre più competitivo e esigente in termini di qualità, economicità e reattività.

Ma perché mancano gli stampatori? Perché questa professione, un tempo giudicata quasi “nobile”, con dei tratti “artistici” e per tale ragione affascinante opzionata dai giovani che approcciavano le arti grafiche, oggi non riscuote lo stesso fascino? La risposta non è semplice ma si può dire qualcosa. Prima di tutto nell’immaginario collettivo la figura dello stampatore e della stampa è qualcosa di un po’ datato e anacronistico e non incontra quello che oggi mediamente un giovane immagina in un lavoro. La “tipografia” è legata a un’idea di laboratorio artigiano, mani sporche di inchiostro, vecchie macchine da stampa e cose così. È evidente che i giovani si orientano preferibilmente verso altre mansioni del processo, dove l’impiego del computer, la creatività, sono elementi distintivi. Quindi ci troviamo con tanti ragazzi che desiderano fare i creativi, o gli operatori di prestampa e pochi che trovano nella professione di colui che dà massa e colore ai progetti di packaging una prospettiva professionale appetibile. Come se lo stampatore venisse percepito come una figura di livello inferiore rispetto a chi utilizza il computer.

A fronte di questo dato oggettivo, vorrei però esporre una mia visione (frutto di una condivisione con colleghi, aziende e esperti di settore) a sostegno della tesi che fare lo stampatore è invece un’attività che riveste un ruolo centrale nel processo produttivo, soprattutto in segmenti di mercato come quello del packaging e delle etichette, assolutamente strategico per le aziende e fortemente permeato da competenze di alto livello, che spaziano dall’informatica alla colorimetria, alla gestione dei dati all’utilizzo di piattaforme digitali. Come dire: lo stampatore moderno è un operatore da camice bianco piuttosto che da tuta blu.

Vediamo perché, concentrandoci sugli aspetti di competenze che questo professionista deve avere, per gestire nel migliore dei modi i processi cui è preposto. Con un affondo sulla figura del colorista, un addetto che non tutte le aziende hanno, (quelle piccole prevalentemente no) ma che nel mercato delle professioni grafiche è fondamentale per la gestione ottimizzata del processo di riproduzione del colore sugli stampati, come unanimemente confermato dalle aziende interpellate nei nostri incontri qui di seguito citati.

Analisi della realtà

Circa un anno mezzo fa Fondazione Daimon, la scuola grafica di Saronno, per la quale mi occupo di coordinare le attività tecniche, ha deciso di ripensare agli obiettivi della formazione tecnica nei percorsi di Formazione Professionale e Istituto Tecnico (Formazione Professionale Padre Monti e Istituto Tecnico Luigi Monti). Dall’analisi emergeva che gli argomenti e le esercitazioni pratiche focalizzate sulla stampa offset e digitale e sui prodotti commerciali e editoriali evidenziavano limiti che necessariamente andavano superati. La scollatura tra i laboratori e le imprese nelle quali gli studenti frequentavano (e frequentano) gli stage stava diventando evidente; la provenienza delle manifestazioni di interesse per assumere operatori si stavano spostando. In sintesi, sempre meno aziende commerciali chiedevano operatori, sempre più aziende di packaging o digitali manifestavano interesse. Decidemmo quindi di circondarci di esperti nell’area del packaging che potessero aiutarci in uno studio per riconvertire i laboratori e rendere più attuali i profili dei ragazzi in uscita. La fortuna di avere vicino a noi persone e realtà di livello assoluto come Giuseppe Gianetti (già director business development flexible packaging per Hubergroup e operations director per Goglio) e Carlo Carnelli (owner of Color Consulting, president of Color Consulting USA Inc. membro di Acomga, coordinatore Commissione UNI e past president di Taga) hanno permesso di approcciare lo studio con la sicurezza di non cadere nell’errore di essere autoreferenziali ma avere invece le porte aperte presso le fonti preziose da cui attingere informazioni utili (le aziende).

Abbiamo quindi iniziato a realizzare una serie di incontri con responsabili o titolari di aziende del packaging (flessibile, etichette, in carta e cartone) alle quali abbiamo domandato quali fossero le competenze chiave che i moderni operatori del reparto prestampa e stampa devono avere per condurre gli impianti e gestire i processi produttivi aziendali. Senza grande sorpresa emerse che tra le competenze fondamentali, la conoscenza e la gestione del colore ricopre un ruolo importante. Questo perché è una competenza di base che molto difficilmente può essere acquisita da zero in azienda, dove piuttosto si perfeziona, si apprende come utilizzarla nelle applicazioni, si migliora con l’esperienza quotidiana. In azienda la competenza è molto spesso legata all’utilizzo di strumenti e all’applicazione di regole e formule, non a una comprensione dei principi scientifici.

Quali sono le aree di competenza sul colore di un moderno addetto alla produzione di etichette?

Principi della colorimetria

L’applicazione dei principi della colorimetria pervade tutti i processi di riproduzione del colore dei moderni flussi di lavoro. A partire dal file in ingresso (PDF), che deve specificare un intento di output (PDF/X), passando per la gestione delle conversioni colore all’interno del processo di prestampa (RGB/CMYK, RGB/CMYKOGV, CMYK/CMYK, SpotColor/CMYK, SpotColor/CMYKOGV, ecc.), per arrivare nella fase di stampa alla formulazione degli inchiostri spot, alla prova e correzione degli stessi.

Vi sono quindi alcune conoscenze/competenze di base indispensabili per qualsiasi operatore coinvolto nel flusso di riproduzione del colore:

–                cos’è il colore e come viene percepito

–                la curva spettrale di riflessione

–                come si rappresenta numericamente (spazi colore CIELAB e CIELCh)

–                quali sono i limiti di queste rappresentazioni

–                Il metamerismo e gli illuminanti

–                il concetto di delta E (differenza di colore)

–                utilizzo delle diverse formule di delta E, quale preferire per i calcoli

–                come impostare correttamente uno strumento di misura facendo riferimento alle norme ISO.

Proprietà chimiche di base degli inchiostri 

Il packaging e il labelling è il mondo dei colori spot oltre che della quadricromia  (o esa/eptacromia). Ma è anche un mondo dove sono presenti molteplici requisiti che impattano sulla possibilità di usare il colore in modo indiscriminato. O meglio di usare sostanze e componenti negli inchiostri svincolati da regole e norme che tutelino la sicurezza. E talvolta questo impatta con la qualità dei colori riproducibili. Un esempio: un prodotto che deve essere sterilizzabile richiede l’utilizzo di inchiostri basati su pigmenti che per loro natura raggiungono una saturazione inferiore a quelli standard. Di conseguenza si avrà una riduzione del gamut stampabile. Questo aspetto deve essere noto a chi opera nel processo di riproduzione, ma anche a chi si relaziona con il brand owner o l’agenzia grafica. Più in generale le proprietà di resistenza dei pigmenti (e degli inchiostri e vernici di nobilitazione) agli agenti esterni e alle lavorazioni successive (confezionamento del prodotto), fanno parte del bagaglio tecnico e cultura che l’azienda deve possedere, custodire, tramandare.

Supporti e gamut cromatico

Le etichette sono tipicamente un mercato che impiega una varietà di supporti veramente importante. E talvolta questi sono molto diversi in termini di resa cromatica con gli standard prevalentemente adoperati dai creativi nella preparazione del file, in modo più o meno consapevole. (Per inciso, anche se ha poca rilevanza in questo specifico contesto: i più operano ancora con il FOGRA39, quando dal 2013 esiste un nuovo standard di riferimento basato su caratterizzazioni diverse, FOGRA51. Entrambe però riferiti al risultato di stampa su carte patinate di qualità, con processo offset a foglio). Spesso non è questo la condizione standard della produzione delle etichette. Eppure capita che le prove colore o le tirelle (prove di carica) degli inchiostri spot, siano effettuate su carte che nulla hanno a che vedere con il supporto finale. Gli operatori che gestiscono colore in azienda devono essere consapevoli di come queste variabili possono influire sul risultato finale, dato che non è sempre possibile realizzare prove sul supporto di produzione data la variabilità di questi. Per mettere in guardia coloro che devono prendere le decisioni, fornendo loro un fattore di realtà rispetto ai risultati attesi.

Ripetibilità cromatica, controllo dei processi, manutenzione

C’è un concetto che riguarda la gestione del colore che nella mia esperienza ha sempre trovato difficile razionalizzazione da parte degli addetti alla produzione. E talvolta anche nei responsabili della produzione. Spesso si crede che se si ha una corretta filiera in termini formali di gestione del colore (profili colore in input, output, repurposing) si ha la garanzia del risultato cromatico. Niente di più sbagliato! Il color Management System, così come la riproduzione dei colori spot, si basa sulla codifica numerica (valori colorimetrici) di un certo processo di riproduzione (macchina, processo, supporto, inchiostro). È una fotografia fatta in un certo momento, che può essere indifferentemente uno standard disponibile sul mercato (es. CRCP…, FOGRA…) oppure una caratterizzazione fatta all’interno dell’azienda. Perché funzioni nel tempo è indispensabile che i mezzi tecnici del processo (dalla prestampa alla stampa) vengano mantenuti secondo una condizione nota e ripetibile. Ogni scostamento dovuto alla scarsa manutenzione, invecchiamento o cambio di componenti e materiali, richiede una verifica dello stato di allineamento del sistema. Sicuramente questa consapevolezza deve appartenere alla cultura aziendale e si fonda sulle competenze espresse prima.

Un altro esempio che vale la pena menzionare, nel campo degli inchiostri liquidi (tipicamente in flessografia), riguarda il riutilizzo dei resi di produzione, che rappresentano una voce di costo importante per l’azienda, che evidentemente si tende a ottimizzare. Il colorista che in azienda formula e riproduce le tinte da campione, si impegna riutilizzare i resi delle produzioni precedenti. In questa attività la conoscenza del metamerismo e quindi degli illuminanti è fondamentale, basato sulla conoscenza e interpretazione delle curve spettrali dei pigmenti. Può accadere infatti che diverse formulazioni dello stesso colore (misurato nel pieno) diano diversi risultati nelle gradazioni di colore (scala retinata). E gli esempi potrebbero continuare.

Formare professionisti

Questa rassegna vuole ha voluto tracciare uno spaccato del bagaglio tecnico-professionale che un nuovo addetto che si affaccia al processo di riproduzione (prestampa e stampa) dovrebbe possedere in modo tale da far tesoro dell’esperienza pratica che l’affiancamento al personale esperto gli procurerà. Grazie a questo bagaglio di conoscenze e competenze il giovane potrà interfacciarsi al meglio con i moderni software e con le apparecchiature per l’analisi e controllo del colore.

È l’intento che Fondazione Daimon sta mettendo in pratica con i rinnovati laboratori di prestampa e stampa orientati al mercato del packaging e dotati di tutte le tecnologie per la riproduzione dei colori (di processo e spot), dalla gestione del file (con le tecnologie ESKO Graphics), alla prova colore (con la tecnologia GMG e Xrite), alla cucina colore per la formulazione delle tinte (tecnologia Xrite) alle apparecchiature di prova degli inchiostri liquidi e grassi (proofer offset, flexo e rotocalco). Competenze che vedono poi nel corso biennale di specializzazione post diploma Packaging Specialist di ITS Angelo Rizzoli il naturale sbocco, per un completamento della figura professionale arricchito di tutte le integrazioni e approfondimenti necessari per formare un professionista al passo con i tempi.

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