Etichette

Come nasce un’etichetta: il rapporto tra aziende e stampatori

Negli ultimi dieci anni, in Italia, gli store brand hanno triplicato le vendite, raggiungendo la soglia dei 10 miliardi di euro. Un mercato interessante per gli etichettifici capaci di rispettare gli stringenti requisiti imposti da questi particolari clienti. Due case history a confronto.

Nessun Paese e categoria di prodotti sono immuni dall’affermazione degli store brand. La grande distribuzione incrementa gli investimenti in tal senso e i consumatori apprezzano, non più solo per i prezzi vantaggiosi, ma per la garanzia di qualità data dall’insegna.
L’inasprirsi della competizione ha messo diversi grandi marchi di fronte a un bivio: trovare il modo per difendere le proprie quote di mercato o diventare copacker (aziende che producono conto terzi, ossia non prodotti con marchi propri ma con marchi di clienti, per esempio per conto della GDO).
Le strategie difensive basate su investimenti in innovazione di prodotto e packaging danno buoni frutti, indipendentemente dal prezzo, ma un minimo cedimento in termini di nuove proposte consente alle private label di riconquistare terreno.
Chi invece abbraccia la causa della grande distribuzione imposta la collaborazione su un più efficiente impiego delle risorse, soprattutto in presenza di prodotti sovrapponibili o molto simili ai propri e di tecnologie consolidate. Aggiudicandosi esclusive pluriennali, queste aziende beneficiano di sinergie logistiche (massa critica di acquisto, organizzazione della produzione, trasporti) trainate da grandi volumi o buone prospettive di crescita.
Per chi opera nel segmento premium, ha poco senso entrare in questo comparto, infatti il leader di mercato è chiamato a innovare e rafforzare il proprio marchio con continuità e i follower cercano di occupare gli spazi lasciati liberi dal primo in classifica.
Nel segmento value la situazione è diversa: contrastare le private label significa concentrarsi sui costi, gestire le differenze di prezzo, investire in comunicazione i margini residui.

Del resto, analizzata con i giusti strumenti, la crescita delle private label non sorprende: aiutano le catene a differenziarsi dai concorrenti e la grande distribuzione è ormai sufficientemente strutturata per investire con cura nei propri brand, nella propria comunicazione e talvolta direttamente nella realizzazione e stampa del proprio packaging.

Il caso Wal-Mart

Con 200 milioni di clienti ogni settimana e oltre 10mila punti vendita suddivisi in 69 insegne presenti in 27 Paesi, Wal-Mart si conferma leader mondiale della grande distribuzione.
Per la stampa delle etichette dei propri prodotti a marchio l’azienda ha optato per lautoproduzione presso il Pmdc (Print and Mail Distribution Center) di Bentonville, Arkansas, struttura che lavora sia per la casa madre, sia per alcuni clienti esterni, utilizzando tecnologie offset, flexo e stampa digitale. Per quanto articolate, le motivazioni di questa scelta si possono riassumere nel desiderio di avere tutto sotto controllo, packaging compreso. Pmdc non è solo il fornitore d’elezione, ma ha anche il ruolo di «benchmarking» rispetto a etichettifici esterni interessati a fornire Wal-Mart. I suoi prezzi, la sua qualità, i suoi tempi di realizzazione sono i parametri sui quali tararsi.
Il valore di Pmdc non è solo in ciò che stampa, ma nella possibilità di calmierare i prezzi, produrre sempre secondo specifica, lavorare con i tempi ottimali. Per esempio, i tempi di predisposizione e stampa di un’etichetta sono inferiori ai 15 giorni.
Conoscendo a fondo le procedure e i meccanismi del proprio principale cliente Pmdc è in grado di programmare e riprogrammare la produzione in base alle reali priorità di Wal-Mart, flessibilità che non sempre un fornitore esterno è in grado di garantire.
Un aspetto cui il retailer tiene molto è la segretezza del prodotto finito, fino alla distribuzione del prodotto: non è detto che un fornitore esterno violi il patto di riservatezza, ma è comunque un rischio da non correre.
La principale complessità che Pmdc deve affrontare è la molteplicità di versioni della medesima etichetta. Le fonti di variabilità sono le lingue parlate nei diversi Paesi di destinazione e le differenze normative tra nazioni e spesso anche tra i diversi Stati USA.
Ogni etichetta può avere numerose varianti, il converter deve quindi lavorare sempre con la massima concentrazione per evitare errori di stampa, confusioni o disguidi logistici.
Importantissima è la gestione dei colori e del coordinamento tra colore delle etichette e dei corrispondenti materiali POP: la qualità è gestita con riunioni giornaliere dove si analizzano gli eventuali errori, se ne discutono le cause, si impostano le azioni correttive per evitare che le non conformità si ripetano.

Etichetta "Aranciata" di Nocera Umbra.
Etichetta “Aranciata” di Nocera Umbra.

Altrettanta attenzione è dedicata alla sicurezza sul lavoro e alla sostenibilità, lo stabilimento si è infatti posto l’obiettivo «rifiuti zero».

Intervista a Cristiano Fabbri e il caso SEM

Sorgenti Emiliane Modena (SEM) ha tre anime: imbottigliamento di acque minerali a marchio proprio e private label, acqua in boccioni (a rendere e perdere) e relativi distributori, produzione di soft drink. La società avvia la produzione nel 1987; dieci anni più tardi affronta il mondo delle private label, imbottigliando acqua minerale per conto di Coop Italia.
Nel 1998 i suoi interessi coinvolgono il settore boccioni e refrigeratori per acqua; nel 2006 annette la società Nocera Umbra – Fonti Storiche SpA che imbottiglia bibite analcoliche (full sugar, RCC – ridotto contenuto calorico e Zero), acqua minerale naturale Angelica e Flaminia, acqua a marchio Coop, Conad e Auchan.
Nel 2007 crea la società Nuova S.A.Mi.Cer SpA che imbottiglia e commercializza l’acqua minerale Ventasso e Lieta a marchio Conad.
Tre anni fa ha avviato l’espansione internazionale esportando in diverse aree, Nord e Sud America, Emirati Arabi Uniti, Cina, India ed Europa.
Cristiano Fabbri, bolognese, è laureato in Chimica e tecnologia farmaceutiche, ed è Responsabile assicurazione qualità di SEM SpA, gruppo cui fanno capo quattro stabilimenti: SEM SpA Sorgenti Emiliane Modena a Ospitale e Fanano (Modena), Nocera Umbra Fonti Storiche (PG) e Nuova S.A.Mi.Cer Cervarezza Terme (RE). Gli abbiamo fatto qualche domanda. 

Cristiano Fabbri, Responsabile assicurazione qualità di SEM S.p.A.
Cristiano Fabbri, Responsabile assicurazione qualità di SEM S.p.A.

Dott. Fabbri, la grande distribuzione ha buyer dedicati solo alle private label?
«Sì, la collaborazione non riguarda solo il prodotto del momento, ma anche la possibilità di sviluppare nuovi item, per tenere sempre vivo il circolo virtuoso dell’innovazione.»

Chi realizza la grafica delle etichette?
«Un’ agenzia grafica che risponde direttamente ai responsabili del packaging e del marketing della catena della grande distribuzione coinvolta. I file sono inviati al nostro “gruppo di lavoro private label” composto da un buyer, un commerciale e dal responsabile qualità. Insieme scegliamo il fornitore più adatto, valutando talvolta anche un eventuale fornitore suggerito dal buyer del cliente. Il responsabile qualità packaging del gruppo SEM tiene i rapporti con il fornitore scelto.»

Che caratteristiche/requisiti minimi deve avere un fornitore di etichette che voglia lavorare con voi a un progetto private label?
«Dopo aver visitato l’azienda e incontrato il personale coinvolto nel progetto, acquisiamo gli elementi per poter valutare il fornitore, la sua organizzazione, il suo sistema qualità, le tecnologie di stampa disponibili, la possibilità di usare colori e tecniche rispettose di quanto previsto dalle linee guida EuPIA (European Printing Ink Association).»

In quanto tempo si arriva alla definizione dell’etichetta: dall’idea all’etichetta consegnata?
«Per una etichetta private label, non è facile rispondere, i fattori in gioco sono tanti e variano di volta in volta. Per quanto riguarda invece le etichette e i materiali coordinati dei prodotti immessi in commercio con i marchi del gruppo SEM trascorre in media un mese dalla prima riunione con l’agenzia grafica all’approvazione definitiva dell’esecutivo. Passano poi altre tre settimane per la consegna dei materiali allo stabilimento di utilizzo.»

Come sono scelti i materiali e i formati delle etichette?
«È una decisione meditata e condivisa nei minimi dettagli con il buyer della catena della grande distribuzione titolare del progetto. Si sceglie in funzione delle caratteristiche delle linee di imbottigliamento disponibili e talvolta si programmano futuri sviluppi come, per esempio, è avvenuto con il passaggio da etichette in carta a etichette in plastica.»

Chi decide il layout dell’etichetta?
«È vincolato al tracciato di fustella, ossia al file che il costruttore dell’etichettatrice consegna all’imbottigliatore. Il tracciato definisce le dimensioni dell’etichetta, le zone dove stampare e le zone da lasciare libere. Le diciture riportate nell’esecutivo sono valutate dal responsabile qualità di SEM, mentre le eventuali richieste di modifiche sono condivise con l’ufficio legale del cliente.»

Ci sono accordi di riservatezza che tutte le parti coinvolte nell’attività devono rispettare?
«Non sono esplicitati dai contratti, ma ovviamente rispettiamo e chiediamo ai fornitori di rispettare dei gentleman’s agreement, ovvero.»

Ci sono personalizzazioni differenti Regione per Regione, area per area?
«No, si tende a uniformare il più possibile grafiche, contenuti, codici a barre, ovviamente nel rispetto della differenziazione del prodotto, per esempio l’etichetta dell’Acqua minerale naturale Lieta Conad imbottigliata in S.A.Mi.Cer. e l’etichetta dell’Acqua minerale naturale Flaminia Conad imbottigliata a Nocera Umbra non sono intercambiabili.»

A quanto ammonta il lotto di etichette stampato ogni volta?
«Lavoriamo con lotti minimi da 500mila o 1 milione di pezzi.»

La grande distribuzione opera in un’ottica di miglioramento continuo, come si sono evolute le etichette negli ultimi anni?
«Si è passati da etichette di carta a etichette di plastica (PP), più leggere e accattivanti, smaltibili direttamente nella raccolta differenziata con la bottiglia in PET e il tappo in PE. Interessanti sviluppi nel settore sono le etichette in plastica termosaldate e le etichette tipo sleeve.»

Quale è il futuro delle vostre etichette?
«Interattività: tramite codici QR e altri strumenti per la realtà aumentata; stampa laser o serigrafia su bottiglia evitando l’etichetta, i costi per la sua applicazione e l’impatto ambientale degli inchiostri; etichette in materiali biocompostabili.»

Le private label in Italia
Negli ultimi 10 anni, in Italia, gli store brand hanno triplicato le vendite, raggiungendo la soglia dei 10 miliardi di euro.
È stata una vera crescita che ha accomunato prodotti nuovi e prodotti già referenziati, coinvolgendo in primis i segmenti premium.
La marca retail, percepita inizialmente come prodotto primo prezzo – discount in store – è poi cresciuta soprattutto dove ha conquistato il primato di categoria o la posizione di second best, soffre invece laddove si pone come riempitivo in termini di prezzo.
Il 2014 è stato anomalo, per la prima volta in 11 anni, sono stati riconfermati i dati del 2103 (18% di share), peraltro con ottime performance delle gamme premium e bio.
Tra le ragioni di questa piccola ma significativa frenata ci sono la riduzione delle novità proposte, le aggressive politiche di prezzo delle aziende di marca, la disaffezione dei consumatori per i prodotti primo prezzo, il cui numero sta progressivamente diminuendo.
Le Regioni dove le marche retail riscuotono maggior successo sono Emilia-Romagna, Toscana e Liguria; Basilicata e Calabria sono in coda alla classifica. Coop e Conad devono più di un quarto del fatturato alle private label, dato che evidenzia come l’Italia sia ancora lontana dallo scenario europeo dove la marca commerciale corrisponde in media al 40% del venduto. 
Etichetta e layout per l'acqua minerale della Coop.
Etichetta e layout per l’acqua minerale della Coop.

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