Il libro in trincea

Nel mondo digitale i contenuti stanno sempre più diventando una commodity e il rapporto diretto con l’autore sembra essere una delle chiavi di volta del nuovo modo di interpretare il concetto «libro».

«Il mio consiglio agli editori», ha raccontato Ted Striphas in una recente intervista, «è semplice: cominciare a realizzare i titoli nuovi e quelli di catalogo con il print on demand e fare una accordo con Amazon per vendere le edizioni digitali».

«Poi», continua Ted, «si dovrebbero spezzare i libri in piccoli formati, in modo da venderne le singole parti, in modo vincolato all’edizione integrale o anche a una versione e-book con contenuti extra». Infine, chiude, «bisognerebbe rendere molto economici gli e-book, dato che i lettori già da vent’anni hanno capito che i bit non costano come gli atomi».

Il concetto di libro

Striphas, autore di due libri importanti come The Late Age Of Print e An Infernal Culture Machine, è il teorico della «cultura degli algoritmi». La grande complessità dell’ecosistema (tra informazione e conoscenza) descrive un mondo in cui molti concetti sono destinati a cambiare. Il concetto di «libro», sicuramente, ma più a valle anche le modalità con cui prendiamo decisioni. Ed è un tema caldo, perché se ne sta parlando in ogni centro di cultura. Tra gli altri, David Weinberger, filosofo e grande firma del pensiero digitale, ha recentemente scritto un articolo sull’Atlantic in cui sostiene che la grande mole di dati che abbiamo oggi a disposizione è destinata a modificare il modo stesso in cui immaginiamo la conoscenza.

Il mondo del libro non fa eccezione. «Si stima che l’anno prossimo», scrive Doris Maria Heilman, una blogger che si occupa di marketing editoriale, «saranno pubblicati tra i dieci e i quindici milioni di libri». Anche questo è un segnale. Nel mondo digitale i contenuti, lo abbiamo scritto spesso, tendono a diventare una commodity, un bene facile da produrre e distribuire, ma anche un prodotto al quale diventa sempre più semplice accedere. E sono caratteristiche, queste, che tolgono valore ai beni in mercato come quello cui siamo abituati.

L’era dell’abbondanza

Così non stupisce che si continuino a leggere, nel mondo anglofono, titoli di guerra. «Gli editori di libri stanno morendo?», esagera Jeff Bullas in un suo post. «Il mondo dei libri», dice, «era locale e o nazionale, oggi è diventato multilingue e globale. Le opportunità non sono più costruite sull’idea della scarsità, tipica dei piccoli mercati, ma sul modello dell’abbondanza, con un volume di pubblicazioni che tenderà all’infinito, con i costi di distribuzione globale che tendono a zero».

Bullas cita Seth Godin, guru del marketing, e ricorda che per molta gente un libro di 100 pagine è un dono, mentre uno di 400 è un obbligo. E ragiona sul fatto che aumenta l’offerta ma non cresce la capacità di attenzione.

I grandi editori americani, intanto, stanno reagendo nell’unico modo possibile. Dopo l’annunciata fusione fra Penguin e Random House, si sta parlando di un’altra grande operazione. HarperCollins, che già era interessata a Penguin, potrebbe trattare l’acquisto di Simon&Schuster, un altro marcio dei «Big6» statunitensi.

È sicuramente una mossa giusta, che aiuta ad affrontare il mercato, a fare massa critica e probabilmente a ridurre i costi. Ma non è una battaglia facile da vincere. John Naughton, sul Guardian, osserva che potrebbe essere un risveglio tardivo. «Forse è ormai troppo tardi», scrive, «per un’industria editoriale che appare votata all’autodistruzione». Il punto di vista di John è che ormai da tanti anni gli editori si sono messi nelle mani di Amazon. «La cosa buffa», aggiunge, «è che gli editori, molto prima che il digitale diventasse una minaccia, si sono tenuti occupati a riorganizzarsi per essere più vulnerabili». Naughton cita il libro di John Thompson intitolato Merchants of Culture e racconta come l’evoluzione del mercato del libro abbia portato i grandi gruppi a concentrarsi sull’«ossessione del mercato a breve termine (e sui risultati quadrimestrali)».

Questo ha trasformato l’industria editoriale in un sistema che si dedicava ai bestseller e che rispondeva alle richieste di Wall Street. E oggi sta succedendo esattamente quello che è successo alle grandi etichette discografiche, che si sono ritrovate prigioniere di iTunes. Di fatto, oggi, gli editori hanno delegato la distribuzione e il mercato a giganti come Amazon.

L’errore degli editori

In un altro commento Sarah Lacy (editor in chief di Pandodaily) è persino più chirurgica (e forse cinica) nella sua visione. «Bezos», dice, «può permettersi di perdere denaro in ogni transazione pur di dominare il mercato. Gli editori non possono». Ma c’è un altro punto importante: «gli editori possono essere solo battuti da Amazon perché si sono messi da soli nella posizione di dover puntare solo sugli anticipi agli autori e sul piazzamento dei libri sugli scaffali. E sapete una cosa? Da quando c’è Amazon, tutto questo non serve più».

Anche il titolo del pezzo di Sarah la dice lunga: i sei grandi editori americani possono anche unirsi, ma non vinceranno mai la partita con Amazon.

Di sicuro non c’è nulla. Ma le tendenze che stiamo osservando, e che non sono destinate a invertire la rotta, ci dicono che il ruolo delle librerie fisiche è in declino, che lo spazio sugli scaffali diminuisce e che l’asset tipico del grande editore (la capacità di distribuire il prodotto di carta e di farlo trovare ai lettori) tende a essere sempre più irrilevante. Certo, nel nuovo rapporto con il mercato, quello costruito su librerie online «a scaffale infinito», conta sempre di più la potenza di fuoco di comunicazione, e il budget che vi si annida dietro.

Relazioni significative

Ma è anche vero che la pressione dei prezzi verso il basso, la diffusione degli e-book e il cambiamento nella «discoverability» del libro hanno diversi effetti collaterali. Il primo dei quali è che i volumi possono anche aumentare ma il fatturato potrebbe decrescere. E con il fatturato, i guadagni. E va considerata anche la forza e l’impatto della concorrenza in un mondo in cui, per citare Clay Shirky, «pubblicare e distribuire equivale a premere un bottone online».

Ai fatti industriali, poi, si deve aggiungere anche un cambiamento delle pratiche, che stanno ridisegnando il modo in cui il mercato funziona. «La gente», scrive Katie Leimkuehler, «non vuole più che le si venda un prodotto, vuole una relazione con l’autore». E anche questo è un terreno su cui l’editore perde importanza. «La chiave», continua Katie, «è che autori e scrittori devono essere capaci di innescare una relazione diretta con i loro lettori a livello personale».

Coinvolgere personalmente i lettori

Nel mondo dei social media, «la gente ama avere una connessione stabile con l’autore, e i social network stanno diventando il luogo in cui queste relazioni si coltivano e si alimentano».

Man mano che le vendite si spostano online (sia per i libri di carta sia, evidentemente, per gli e-book), gli editori hanno già cominciato ad assimilare questo passaggio. Gli autori più ricercati sono quelli che già hanno una capacità di coinvolgere online il proprio pubblico. ma il cambiamento che l’editoria sta vivendo è ancora all’inizio e occorre imparare molto, rischiare, investire, lavorare sulla mentalità oltre che sulla riduzione dei costi.

È facile che, come in ogni transizione, si creino molte opportunità. Ma per coglierle occorre avere la capacità di guardare avanti e non di difendere il modo in cui le cose funzionavano prima.

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