Packaging

Case history, rebranding e packaging system design

Il packaging flessibile si presta bene a operazioni di rebranding per migliorare le performance dei prodotti. Il caso di Loacker, storica azienda altoatesina, che ha ripensato il pack, i suoi elementi grafici, parole e immagini, lo dimostra.

Dietro il rebranding di un brand di successo c’è un processo ben strutturato, come spiegato al congresso Giflex tenutosi a Roma il 17/18 aprile 2024. Questo approccio, che ha ben poco d’artigianale, sebbene richieda un tocco di creatività, è scientifico a tutti gli effetti. «La crescita molto veloce della società ha portato ad avere delle identità di marca diverse nei vari paesi. – ha esordito Andrea Canale, art director e head of graphics arts di Loacker – in Europa il brand è percepito come tradizionale e radicale, negli Stati Uniti, dove siamo entrati da poco, potrebbe essere definito “hipster”, mentre nel mondo arabo, che per fatturato per noi è il secondo il brand, come di lusso e in Asia come “figo”, se mi passate il termine». È chiaro che per un’azienda che è cresciuta ma appartiene ancora alla categoria delle multinazionali tascabili diventa problematico affrontare delle simili complessità ma si rende necessario se si pensa che l’azienda produce il 76% del proprio fatturato fuori dall’Italia, distribuendo i propri prodotti in 100 paesi nel mondo, con sette categorie merceologiche. Il processo di rebranding ha avuto come base l’identificazione dei valori fondanti dell’azienda, sui quali è stato costruito un progetto di comunicazione integrato, con lo scopo di creare una percezione uniforme del marchio in tutti i mercati e per tutti i consumatori. Cosa non semplice perché appoggiandosi ai distributori l’azienda “subiva” la loro comunicazione locale, mentre le diverse tempistiche dovute a questo fenomeno, tra comunicazione e packaging, che possono indurre in errori. Per Loacker, il packaging è il veicolo di comunicazione più importante, – come affermato da Canale – non avendo investimenti pubblicitari altissimi, è il nostro biglietto da visita nello scaffale, insieme alla qualità del prodotto. La prima decisione presa è stata quella di unificare la comunicazione a tutti i livelli sotto il marchio Loacker per raggiungere un equilibrio tra un’integrazione verticale, percepita dal consumatore davanti a un blocco di prodotti a marchio singolo, e una differenziazione orizzontale, che permettesse la riconoscibilità delle specificità dei singoli prodotti all’interno del blocco stesso».

In sintesi, l’obiettivo è stato quello di unificare e rafforzare la percezione del marchio, con maggiore riconoscibilità e impatto sullo scaffale. Obiettivo che è stato raggiunto attraverso la creazione di un logo, con un sistema e un’architettura di design che disegnasse una chiara gerarchia tra marchio e prodotto attraverso l’integrazione verticale e la differenziazione orizzontale.

Le neuroscienze per conoscere le dinamiche

Per raggiungerlo, l’azienda ha condotto una ricerca mirata che ha valutato la risposta emotiva e non filtrata dei consumatori alle diverse opzioni di design, considerando anche i pochi secondi cruciali trascorsi davanti agli scaffali. Inoltre, ha incluso l’analisi dell’impatto del design sul comportamento effettivo dei consumatori nel negozio e ha garantito un’ampia pertinenza escludendo i pregiudizi culturali.

Nei mesi di febbraio e marzo del 2019, BrainSigns, una spin-off company dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha condotto una ricerca internazionale di marketing per misurare la percezione di cinque diverse soluzioni creative per i layout delle confezioni di diverse linee di prodotti Loacker. Questa ricerca è stata condotta in Italia (Roma e Milano), negli Emirati Arabi Uniti (Dubai), in Australia (Melbourne) e negli Stati Uniti (New York e San Francisco), tenendo conto dei prodotti distribuiti sui mercati locali nei quattro paesi. In ogni Paese il campione dell’indagine era composto da 48 persone, per il 50% a parità di genere maschi e il 50%, appartenenti a due fasce d’età 25-34 anni e 40-54 anni, consumatori Loacker tra il 50% e il 30%, il 50% composti da famiglie con figli e il 50% senza. A questo campione sono state proposte le versioni del packaging dei prodotti per così dire in produzione e quattro alternative possibili.

L’attività di ricerca ha fornito una serie di indicatori a livello inconscio, comportamentale e conscio che includono:

•               interesse, misurato come un indicatore cerebrale che valuta il grado di attrazione o repulsione verso uno stimolo, basato sul segnale EEG, che rileva il potenziale bioelettrico legato all’attività cerebrale;

•               emozione, valutato come un indicatore di coinvolgimento emotivo, ottenuto combinando la misurazione della frequenza cardiaca e della risposta galvanica della pelle, entrambe correlate all’attivazione del sistema limbico;

•               fissazione ottica, rilevata attraverso il tracciamento dello sguardo con la tecnologia eye tracker, fornendo informazioni sulla percentuale di fissazioni generate in una specifica area di interesse;

•               scelta del prodotto, osservata negli scaffali virtuali per comprendere le preferenze effettive dei consumatori;

•               dichiarazioni verbali, raccolte attraverso interviste per ottenere feedback diretto dai consumatori.

Da queste rilevazioni si sono ottenute due classifiche. La prima, ha decretato quale fosse la soluzione migliore in assoluto e la seconda, ha visto la valenza della stessa in relazione all’area geografica. Da notare che l’interesse sullo schermo è stato stimato attraverso due diverse fasi: su grande schermo e sullo schermo di un Pc portatile. I punteggi, nella stragrande totalità dei casi, hanno premiato la proposta W2, il cui packaging è stato declinato in base all’integrazione verticale e alla differenziazione orizzontale, con il nuovo logo dell’azienda che unisce i valori fondamentali in unico elemento grafico combinando gli elementi più riconoscibili già presenti in precedenza.

Prove sul campo

A questo punto, il test sul nuovo packaging si è svolto direttamente sul campo «Abbiamo seguito 18.325 acquirenti in quattro mesi di fronte allo scaffale. – afferma Canale – con il confronto tra il comportamento degli acquirenti e le vendite effettive delle vecchie e delle nuove confezioni, tracciato attraverso il video tracking direttamente sullo scaffale, in combinazione con l’analisi dei dati di vendita. Le risposte da ottenere erano del tipo se il nuovo design fosse più attraente, se coinvolgesse più di quello attuale, se fosse più chiaro e “più semplice”. Ma soprattutto, aiutava la vendita? Il risultato è stato positivo. L’indice di preferenza tra la vecchia e la nuova versione è aumentato tra il 33% e il 75% per le Tortine da 125 gr., ma le percentuali non spiegano, ciò che conta sono i valori assoluti. I Napolitaner da 175 gr hanno ottenuto “solo” un 45% d’aumento dell’indice di preferenza, passato da 2,3 della vecchia confezione a 3,4. Tradotto: se in precedenza, con il vecchio packaging, cento possibili acquirenti che osservano lo scaffale producevano 2,3 pezzi venduti, dopo il cambio di packaging i prodotti venduti sono diventati 3,4». Il tutto a parità di contenuto, quantità del prodotto e prezzo.

La conclusione di questa esperienza ha rivelato che il nuovo design ha attratto più acquirenti rispetto al precedente grazie alla sua semplicità e chiarezza, risultando più coinvolgente. Questo ha avuto un impatto positivo sulle vendite: non solo ha migliorato le performance dei prodotti già più venduti, ma ha anche aumentato le vendite percentuali di quelli meno popolari e potrebbe innescare nel tempo un effetto volano positivo su questi ultimi prodotti.

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