Font

Comunicare con carattere

Il font è la voce della comunicazione, eppure la sua importanza non sempre è colta appieno. Avere competenze anche su questo versante, invece, permetterà di elaborare una comunicazione integrata su più canali.

La comunicazione è fatta di molti elementi. Per un messaggio efficace e d’impatto è necessario scegliere la carta, l’inchiostro e il packaging giusto. Basta così? Non proprio. Un’attenzione particolare va riservata anche alla selezione del font più indicato, aspetto su cui non sempre vi è l’adeguata attenzione da parte di stampatori, grafici e agenzie. In realtà, come spiega Antonio Cavedoni, esperto del tema, tra i progettisti del font San Francisco per la Apple e titolare della nascente Fonderia Cavedoni, «il carattere è la voce di un’applicazione di comunicazione, ogni utente finale lo registra immediatamente a livello inconscio: se si sceglie quello sbagliato, l’efficacia del messaggio crolla». Sulla base di questa premessa, ben si comprende, quando si ha a che fare con i font, quanto si rischi di camminare su un terreno scivoloso, risultando un tema sì decisivo, ma al tempo stesso tendenzialmente sottovalutato. Eppure, sapersi districare tra i font e le loro caratteristiche permette di affrontare una delle sfide più attuali nella comunicazione di oggi: l’integrazione tra canali on-line e off-line.

Antonio Cavedoni esperto di font, tra i progettisti del font San Francisco per la Apple e titolare della nascente Fonderia Cavedoni.

Quando si parla di font, qual è oggi il rapporto tra digitale e stampa?

Fino a circa dieci anni fa sul web non si potevano usare gli stessi caratteri della stampa e, perciò, si utilizzavano esclusivamente quelli di sistema, progettati per lo schermo. Questa scarsa varietà risultava penalizzante nell’elaborazione di una determinata strategia di comunicazione. Anno dopo anno lo scenario si è modificato ed è migliorato, consolidandosi sempre di più. Un grande miglioramento è stato dovuto all’aumento della risoluzione degli schermi, che ormai permette di visualizzare bene anche sui display i caratteri realizzati per la stampa. La questione, ora, è quella di affrontare il rapporto tra il digitale e la stampa non più come due mondi separati. L’altro miglioramento è stato dovuto dai nuovi formati di caratteri per il web, i cosiddetti web font.

Ci può fare un esempio di collegamento tra digitale e stampa?

San Francisco, il carattere su cui ho lavorato in Apple assieme al resto del team, è un carattere inizialmente nato per lo schermo e successivamente applicato anche sulla carta. Quindi ha fatto un percorso che dimostra, una volta di più, il collegamento tra digitale e stampa. Si tratta di un esempio che riporto per fare capire che ora è il momento in cui si può investire su una comunicazione integrata su vari media. Potrei farne anche altri di esempi, naturalmente. La differenza tra questi e il progetto di Apple consiste fondamentalmente nel fatto che a Cupertino viene tutto controllato in maniera verticale, profonda e monolitica. Quindi, il font San Francisco è uscito contemporaneamente su stampa, carta, schermo e software, in modo unificato. Chiaramente questa opportunità di comunicazione uniformata su tutti i canali è molto rilevante per chi si occupa di grafica e di stampa.

Quali competenze sono chiamate in causa nella progettazione dei font?

Sono entrato in Apple grazie alla mia esperienza di programmatore, ma avevo alle spalle anche un master in type design, presso l’università di Reading in Inghilterra. Si tratta, perciò, di un lavoro ibrido, che chiama in causa grafica, programmazione e disegno. Proprio per il fatto di coinvolgere diverse discipline, ci si arriva a svolgerlo attraverso una serie di esperienze differenti. Ci sono, inoltre, anche competenze legate alla tipografia, ovvero alla composizione del testo, dato che bisogna anche capire come funzionano e come sono usati i caratteri. Conoscere la storia della tipografia, inoltre, penso sia un prerequisito fondamentale.

Dal momento che una comunicazione coordinata su vari canali oggi è possibile, ci sono font più utilizzati, diffusi o adatti a tal scopo?

Diciamo che cominciano a essere disponibili le prime famiglie di caratteri che prendono in considerazione più ambienti di output, quindi solitamente realizzati per la stampa, lo schermo e il packaging. Maggiore versatilità significa più opportunità di impiego di un medesimo font in più ambienti di utilizzo. Quindi, quando si progetta un carattere, si pensa già a tutti gli ambienti di sviluppo contemporaneamente. Anche se in realtà sono ancora relativamente pochi, ci sono già caratteri concepiti e realizzati in questa maniera: la chiave di lettura diventa il loro utilizzo, con riferimento alla loro dimensione finale, dato che un carattere disegnato per essere letto a 4 punti ha caratteristiche diverse rispetto a uno disegnato per essere letto a 85 punti. Perciò, se si prendono in considerazione tante dimensioni diverse, automaticamente una determinata famiglia di caratteri si adatta ai diversi scenari. Penso siano le famiglie di caratteri con queste caratteristiche quelle che meglio si allineano con la comunicazione integrata del mondo di oggi.

Visto che è impegnato anche con incontri e presentazioni, qual è in Italia la preparazione degli operatori su questi temi?

Purtroppo non posso fare a meno di notare che in Italia siamo ancora legati a delle strutture e a dei modi pensare superati. Per esempio, il passaggio ai caratteri per lo schermo nel nostro Paese non è ancora sufficientemente diffuso e, quando lo si fa, si scelgono quelli a disposizione gratuitamente, dalla qualità non sempre apprezzabile. Anche sul fronte dell’integrazione dei canali on-line e off-line si potrebbe fare di più. Ritengo che il mondo della stampa e della grafica abbia bisogno ancora oggi di educazione, formazione e informazione. Parte di quello che faccio è proprio questo, spiegare come funzionano i caratteri, cosa si può fare con ciascuno di essi e come trarre spunti e indicazioni dalla storia della tipografia per affrontare le sfide di oggi.

A proposito di stampatori e grafici, ci sono differenze di approccio su come affrontare questi temi?

Sostanzialmente lo stampatore si occupa di tre aspetti: carta, inchiostro e stampa. La legatura e la confezione sono ovviamente passaggi fondamentali di un prodotto a stampa e su cui lo stampatore presta comunque attenzione, ma l’impaginazione e la scelta del carattere vengono spesso delegate ai grafici. Credo che gli stampatori debbano avere maggiore attenzione su questi temi, dato che il carattere è un elemento fondamentale della comunicazione. Per esempio, ci sono pubblicazioni stampate benissimo ma con caratteri non all’altezza, andando a pregiudicare la qualità del lavoro finale. Eppure l’Italia è la culla del carattere.

Considerato tale scenario, quale messaggio cerca di trasmettere a stampatori e grafici quando li incontra?

Innanzitutto, di non considerare il carattere come un qualcosa di risolto, perché si può sempre modificare e migliorare: ci possono sempre essere nuove versioni e forme. In pratica, il font andrebbe considerato come un ambito di ricerca continua. In questo modo, se ne afferrano le ampie possibilità.

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

Dal punto di vista formale la ricerca sui font andrà sicuramente avanti, così come, dal punto di vista tecnico, si procederà nell’integrazione di schermo e stampa, visti come un tutt’uno. Poi, chiaramente, dal momento che c’è una grande offerta di caratteri in questo momento, alcuni realizzati meglio di altri, ci sarà sicuramente anche un processo di selezione.

LAVORARE CON OCULATEZZA

Per selezionare il font più adatto, stampatori e grafici non solo devono avere le competenze adeguate, ma, al tempo stesso, devono tornare a dare a tale tema la giusta attenzione. Come? «L’attività di composizione del testo va considerata una componente importante come tutte le altre che appartengono al mondo della stampa, proprio come la scelta dell’inchiostro, della carta o della macchina da stampa», spiega Cavedoni.

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