Ricerca&Innovazione

Realizzazione di celle solari e circuiti elettronici in stampa

Un bell’esempio di collaborazione tra il mondo dell’industria e quello della ricerca scientifica. Prosegue la collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e Omet per la realizzazione di celle solari e circuiti elettronici stampati. E si concretizza con la creazione di una società per la vendita dei primi prodotti realizzati.

Quasi due anni fa, sul numero di dicembre 2014 di Italia Grafica, avevamo dedicato un servizio alle ricerche nell’ambito dell’elettronica stampabile effettuate dal Center for Nano Science and Technology di Milano (CSNT), nato nel 2010 e appartenente alla rete dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). In particolare avevamo parlato del lavoro del gruppo ricerca di Mario Caironi sulla Printed and Molecular Electronics, che è riuscito a mettere a punto un procedimento che permette di stampare circuiti elettronici organici su supporti che spaziano dalla plastica alla carta. Non solo: all’interno del gruppo guidato da Caironi erano già a buon punto gli studi del ricercatore Marco Carvelli e dei suoi colleghi sulle celle solari organiche stampabili, che poteva contare sulla presenza in sede di una macchina flessografica Omet per le ricerche. Una forma interessante di collaborazione tra il mondo della ricerca e quello industriale (nella quale IIT è particolarmente versato) che abbiamo voluto approfondire, scoprendo che si è tradotta nella costituzione tra i ricercatori e Omet di Ribes, una società a responsabilità limitata per iniziare a commercializzare i primi prodotti messi a punto dal laboratorio.

Dal progetto alla startup

«Stiamo investendo da anni sull’elettronica stampata – ci racconta Antonio Bartesaghi – collaborando sia con università americane sia con l’Istituto Italiano di Tecnologica, fornendo le nostre macchine per la ricerca. L’obiettivo è quello di creare con un processo di stampa quello che fino a oggi è stato ottenuto con procedimenti diversi.

Antonio Bartesaghi, amministratore delegato di Omet.
Antonio Bartesaghi, amministratore delegato di Omet.

Il vantaggio che si otterrebbe, uso il condizionale perché la ricerca in questa direzione è ancora decisamente migliorabile nonostante abbia fatto passi da gigante negli ultimi anni, è di abbassare in maniera drastica i costi dell’elettronica con un impatto diretto sui costi dei prodotti di largo consumo e anche sulla possibilità di progettarne di nuovi, dagli schermi flessibili alla sensoristica con l’unico limite della fantasia applicativa».

Omet ha una conoscenza specifica dei processi di stampa con tutte le tecnologie presenti sul mercato e ha anche, da sempre, una buona propensione per l’innovazione. «Non soltanto partendo dalla conoscenza che abbiamo e che utilizziamo nei settori per noi tradizionali», precisa Bartesaghi «ma cercando di guardare oltre gli orizzonti consueti. Qualche tempo fa abbiamo pensato che se si potevano stampare circuiti elettronici, forse si sarebbero potuti stampare con lo stesso principio anche pannelli fotovoltaici. Attraverso un docente universitario del Politecnico siamo stati messi in contatto con IIT, una realtà che allora non conoscevo se non marginalmente. Abbiamo trovato un terreno fertile e ne è scaturito un accordo grazie al quale abbiamo fornito alla sede milanese dell’Istituto un nostro macchinario flessografico, sul quale i loro ricercatori assieme ai nostri tecnici hanno cominciato a lavorare sul fotovoltaico stampato».

Una collaborazione che ha cominciato a dare buoni frutti. «Non abbiamo ancora realizzato un processo industriale per questi prodotti», sottolinea Bartesaghi «ma siamo riusciti a stampare piccoli pannelli fotovoltaici che funzionano e generano effettivamente energia. Quando sono sottoposti alla luce artificiale la loro efficienza è paragonabile a quella dei pannelli tradizionali, mentre alla luce del sole hanno un’efficienza ancora non del tutto soddisfacente. Ovviamente la ricerca deve continuare secondo il tipico cammino dello sviluppo tecnologico, step by step. La cosa importante è che abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo proposti di raggiungere nei tempi previsti».

Il ricercatore di IIT Marco Carvelli mostra le prime celle solari stampate con una macchina flessografica della Omet.
Il ricercatore di IIT Marco Carvelli mostra le prime celle solari stampate con una macchina flessografica della Omet.

Le applicazioni di questa tecnologia sono importanti, limitate soltanto dalla fantasia applicativa. Pensiamo ad esempio a un sensore di allarme che può essere alimentato da un pannello fotovoltaico stampato che riceve energia dall’illuminazione di interni, senza bisogno di cavi o di sostituire pile. O all’etichetta di un packaging che può riprodurre filmati, alimentata da una cella solare integrata nella confezione.

«Ribes», conferma Mario Caironi, team leader del Printed and Molecular Electronics del CNST di Milano «si occuperà in generale di stampa di materiali intelligenti. Il filone principale sarà il fotovoltaico in generale, operando sia nel mercato della conversione della luce solare sia in quello della conversione della luce artificiale. Uno dei primi settori sul quale ci concentreremo è quello dell’Internet delle cose, che ha bisogno di energia perché tutti i dispositivi devono essere alimentati. Le nostre celle solari possono sostituire o affiancare le batterie di questi dispositivi, aprendo nuovi scenari tecnologici perché questi oggetti possono essere energicamente dipendenti».

Mario Caironi, team leader del gruppo Printed and Molecular Electronics dell'IIT.
Mario Caironi, team leader del gruppo Printed and Molecular Electronics dell’IIT.

Se la ricerca va avanti per migliorare il prodotto, i tecnici di Omet e i ricercatori di IIT si sentono già pronti a entrare a tutti gli effetti sul mercato. «Dallo scorso novembre il progetto di collaborazione si è trasformato nella costituzione di una società nata per fornire i primi prodotti basati sull’elettronica stampata funzionali alle sperimentazioni da parte delle aziende che stanno mettendo a punto i prototipi per applicazioni concrete. Andiamo ancora avanti con la ricerca ovviamente, perché siamo arrivati soltanto ai primi step di quanto ci eravamo prefissati, ma dal momento che abbiamo già dei prodotti vendibili, abbiamo deciso di affrontare il mercato con una società a responsabilità limitata, partecipata sia da noi sia dai ricercatori che hanno partecipato al progetto in questi anni».

Il rischio della ricerca pura

Investire nella ricerca pura non è cosa comune a molte aziende. Un conto è mettere dei soldi nella ricerca e sviluppo sui prodotti che fanno parte del core business aziendale, come le macchine flessografiche o quelle per il converting, nel caso di Omet. Un altro è investirli in un progetto sul quale inizialmente ci sono solo vaghe possibilità di un ritorno economico. «L’investimento nella ricerca per noi è un obbligo ed è l’unico modo per garantire la continua competitività e la crescita dell’azienda sul mercato» spiega Bartesaghi. «A questo bisogna aggiungere che noi siamo per natura portati a investire dove ci sia vera innovazione, fare cose che gli altri non fanno. Ogni azienda che investe in ricerca e sviluppo sa che questa attività è fonte di un potenziale reddito e nello stesso tempo rischioso. Nel caso dell’elettronica stampata il rischio iniziale era più alto, perché non avevamo la certezza che si potesse realizzare veramente quello che avevamo in mente. Era un tentativo basato sulla fiducia che avevamo nelle nostre competenze e in quelle di IIT. Oggi invece siamo sicuri, alla luce di quello che abbiamo fatto fino a ora, che questa attività diventerà un ambito di ritorno di investimento e quindi di reddito».

Un prototipo delle celle solari stampate nei laboratori del CNST di Milano mediante flessografia.
Un prototipo delle celle solari stampate nei laboratori del CNST di Milano mediante flessografia.

Omet
Il Gruppo Omet, con sede a Lecco, è formato da due società: Omet e O-Pac. La prima è stata fondata nel 1963 ed è formata da tre divisioni (ognuna con un proprio stabilimento) che si occupano rispettivamente della produzione di macchine da stampa in fascia stretta e media per la produzione di etichette e imballaggi, di macchine automatiche per la produzione di tovaglioli e asciugamani usa e getta e di sistemi a movimentazione a cuscinetti. O-Pac invece, fondata nel 1989, produce salviettine umidificate per vari usi. L’intero gruppo impiega circa 287 persone in Italia e 48 all’estero nelle tre filiali di Cina, Spagna e Stati Uniti. Omet Lavorazioni Meccaniche, con sede nella città di Lecco, è il quinto stabilimento produttivo del gruppo e serve le altre unità di business per quanto riguarda le parti e le lavorazioni meccaniche in genere. Le divisioni di Omet che producono macchine per la stampa di etichette e imballaggi e per il tissue converting hanno realizzato più di 1.300 progetti in tutto il mondo.
Innovazioni a tutto tondo. Se quella relativa all’elettronica stampata è innovazione pura, in casa Omet non viene naturalmente tralasciato il filone di ricerca e sviluppo più tradizionale, legato alle macchine da stampa per etichette che per il gruppo di Lecco rappresentano una delle sua attività di spicco. L’ultima novità riguarda la iFlex (un dettaglio nella foto), una macchina entry-level che introduce per la prima volta nel mondo della stampa flessografica un sistema di pre-registro assistito da laser denominato iLight e il controllo di registro iVision. Il primo è un sistema di pre-registro caratterizzato dalla presenza di un puntatore laser su ogni unità di stampa. I puntatori laser guidano l’operatore nell’allineamento di tutti i cliché, accelerando il cambio lavoro e riducendo gli scarti. Puntatori laser di fatto identici sono posizionati sull’unità di fustellatura – uno perpendicolare al taglio, per un accurato registro longitudinale, e uno allineato con il materiale per il miglior risultato di taglio/stampa. iVision, invece, è un sistema di registro assistito da videocamere (una per unità di stampa). Le immagini scansionate dal sistema sono inviate al display iVision per il supporto alla regolazione del registro manuale prima che il materiale raggiunga la fine della linea.
Un circuito elettronico stampato, in questo caso con una tecnica diversa dalla flessografia. Un’altra delle sperimentazioni fatte nella sede milanese dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Un circuito elettronico stampato, in questo caso con una tecnica diversa dalla flessografia. Un’altra delle sperimentazioni fatte nella sede milanese dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

Istituto Italiano di Tecnologia
IIT è una fondazione di diritto privato istituita congiuntamente dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dal Ministero dell’Economia e Finanze. Il suo obiettivo principale è di promuovere nel nostro Paese lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione in ambito scientifico e tecnologico, ma la sua particolarità più interessante è rappresentata dal fatto che il suo programma mira a integrare la ricerca scientifica di base con lo sviluppo di applicazioni tecniche. E non solo sulla carta: la conversione in legge del decreto del 24 gennaio 2015 consente all’IIT di costituire o partecipare a start-up innovative e altre società, con soggetti pubblici o privati, italiani o stranieri. Come nel caso di Omet, ad esempio, che collabora in particolare con il Center for Nano Science and Technology che l’Istituto Italiano di Tecnologia ha aperto nel 2010 nelle vicinanze del Politecnico di Milano. Vi opera un centinaio di ricercatori (sono 800 quelli presenti nella sede centrale di Genova di IIT). Scopo dell’attività di ricerca del CNST è fare innovazione tecnologica partendo dalla ricerca di base. In particolare i campi di applicazione specifici sono la conversione fotovoltaica, i sistemi bio-mimetici e l’elettronica stampata. L’IIT ha al suo attivo di oltre 300 brevetti, che spaziano dai nuovi materiali alle nanotecnologie.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here