I consumatori diventano sempre più diffidenti e consapevoli e la sfida per i brand si fa ancor più impegnativa. Sembra che ormai anche gli strumenti di marketing più sofisticati non riescano a far presa su un pubblico sedotto dalle offerte del momento e insofferente ai programmi di fidelizzazione. Il packaging, ora più che mai, può fare la differenza. Ma come può un contenitore assolvere a questa funzione?
Il Neurodesign può essere la risposta giusta per progettare confezioni sempre più efficaci sfruttando le reazioni del nostro complesso sistema nervoso. Alberto Gallace, ricercatore in Psicobiologia presso l’Università di Milano-Bicocca e professore a contratto di Neuroscienze dei Consumi presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano ci ha svelato alcuni aspetti di questa disciplina che promette sviluppi interessanti nel breve termine.
Il design di un oggetto o servizio non è arte. Non si tratta di dare libero sfogo alla propria immaginazione, ma di creare un prodotto che sia qualitativamente il migliore possibile e che l’utilizzatore percepisca nel migliore dei modi.
Il neurodesign è una nuova disciplina volta a identificare quegli aspetti del design e dello sviluppo di oggetti, prodotti, ambienti e servizi (siano essi reali o derivati da interazioni uomo-macchina e virtuali) che il nostro sistema nervoso centrale identifica come più piacevoli e adeguati. Può essere considerato, almeno in parte, come uno sviluppo della neuroestetica, la disciplina che si occupa di studiare i correlati neurali delle nostre valutazioni estetiche. La ricerca in questo campo ha identificato le aree cerebrali responsabili della percezione del bello e del piacere. Per esempio, è stato mostrato come l’attivazione di centri cerebrali quali la corteccia orbitofrontale, indica il coinvolgimento del sistema della ricompensa umana, quel network neurale che determina la nostra motivazione a intraprendere determinate azioni per raggiungere un obiettivo o un rinforzo. A livello applicativo, questo dato è molto importante, anche perché, più tale sistema è attivato e maggiore è la nostra propensione a pagare un prezzo più alto per acquistare un prodotto. Questo implica che un servizio o prodotto di successo e qualità, in molti casi dovrebbe mirare a massimizzare l’attivazione proprio di tali sistemi. Le neuroscienze cognitive ci possono aiutare a capire come ottenere questo risultato.
È evidente che informazioni di tale portata possano costituire una grande risorsa per chi di mestiere progetta e realizza packaging: se utilizzate adeguatamente potrebbero limitare o addirittura impedire di commettere errori che potrebbero determinare il fallimento di nuovi prodotti immessi sul mercato. Grazie al neurodesign è possibile individuare quegli aspetti del design che il nostro sistema nervoso centrale identifica come più piacevoli e adeguati e in questo modo sarà più semplice ottenere prodotti di successo.
Il cervello determina le nostre abitudini di acquisto
Il nostro sistema nervoso riceve una serie d’informazioni in ingresso riguardo a un prodotto, le traduce in un linguaggio elettrochimico, le processa, le immagazzina, le confronta con dei dati a sua disposizione e dà poi origine a determinate risposte cognitivo-comportamentali, fisiologiche ed emozionali. «Quello che noi ricercatori cerchiamo di far capire a designer ed esperti di marketing – ci racconta Alberto Gallace, ricercatore e docente universitario – è che noi non acquistiamo o valutiamo mai un singolo oggetto ma una complessa esperienza multisensoriale. Le neuroscienze cognitive ci aiutano a comprendere quali combinazioni sensoriali producono l’esperienza che desideriamo veicolare, riducendo i rischi di mettere sul mercato un prodotto o un servizio destinati a fallire».
Percepire il prodotto attraverso il packaging
Diversi esperimenti condotti nei laboratori di ricerca diretti dal dr. Gallace hanno dimostrato che, per esempio, la percezione di piacevolezza e frizzantezza di una bevanda può variare in funzione del colore, del peso e della ruvidità del contenitore nel quale viene consumata. Non a caso alcune aziende iniziano a brevettare le sensazioni tattili veicolate dal loro packaging, così come si fa per loghi, nomi, colori e suoni legati a un determinato brand. «Spesso le finiture adottate dalle case produttrici si limitano a dei timidi tentativi – continua Gallace – mentre grazie alle neuroscienze cognitive sarebbe possibile osare di più riuscendo a conferire ai contenitori la percezione del lusso, della qualità, della praticità o dell’ecosostenibilità.»
Razionalità o emotività: quale prevale durante gli acquisti?
È impossibile dire con precisione quale componente – razionale o emotiva – abbia il sopravvento durante la fase di acquisto di un prodotto poiché dipende da una serie di importanti variabili quali il tempo a disposizione, il livello di coinvolgimento nell’acquisto, la tipologia di prodotto che si sta acquistando e così via. Sappiamo però che la componente emozionale è di gran lunga superiore rispetto a quanto si possa pensare. «Negli ultimi anni si parla di marcatori somatici, e di quanto questi siano rilevanti nel determinare le nostre scelte e decisioni», spiega Gallace. «Per esempio, quando ci troviamo davanti a un prodotto, il nostro sistema neurale lo classifica immediatamente come piacevole e non piacevole e produce una risposta fisiologica appropriata: può aumentare il battito cardiaco, la frequenza di respirazione, la produzione di alcuni mediatori chimici e così via. Quando incontriamo nuovamente lo stesso prodotto, una risposta fisiologica simile viene attivata automaticamente dal nostro cervello in particolare quando non sappiamo decidere tra due prodotti simili e siamo di fretta o ci troviamo in un ambiente rumoroso o affollato.»
Ciò dimostra che la risposta emozionale e fisiologica spesso domina sulla nostra capacità di ragionamento nel determinare il nostro comportamento, anche quando riteniamo che non sia così.
Il tatto orienta le nostre scelte
Spesso sottostimiamo il ruolo del tatto perché agisce in gran parte a livello automatico. Il nostro cervello elabora l’informazione che ci viene dal contatto diretto con superfici, ambienti e persone e la utilizza per orientare le nostre scelte. Gallace ci spiega che alcuni dei prodotti di design di maggiore successo come la bottiglia della Coca-Cola o i prodotti Apple, hanno un’inconfondibile e unica componente tattile. «Nei nostri laboratori abbiamo mostrato che le risposte del sistema nervoso autonomico (quello che produce cambiamenti nel battito cardiaco, respirazione e sudorazione), che sono poi quelle che ci fanno approcciare o evitare uno stimolo, sono molto più marcate se esploriamo tattilmente un oggetto e non se ci limitiamo a guardarlo. La ricerca neuroscientifica ci mostra inoltre che le risposte fisiologiche e emozionali al contatto con un prodotto possono essere diverse per uomini e donne o variare in funzione di determinate caratteristiche della persona, un dato particolarmente utile quando ci si confronta con un bisogno di segmentazione di mercato.»
Creatività e razionalità possono convivere
Spesso quando si parla di design si pensa all’aspetto più propriamente creativo. L’uso di un dato scientifico, da questo punto di vista, sembra quindi “inquinare” la componente creativa. D’altra parte però, il design di un oggetto o servizio non è arte. Non si tratta di dare libero sfogo alla propria immaginazione, ma di creare un prodotto che sia qualitativamente il migliore possibile e che l’utilizzatore percepisca nel migliore dei modi. «Io posso dire a un designer che per riprodurre una particolare esperienza percettiva ed emozionale derivante dall’uso di un certo oggetto, andrebbero usati specifici colori, texture di superficie, forme – sottolinea Gallace – e che la combinazione di forme su cui sta attualmente lavorando potrebbe non essere la più efficiente o ancora che in quel prototipo di prodotto manca un elemento importante per la valutazione del consumatore.» Sta alla creatività e all’esperienza del designer mettere insieme al meglio i suggerimenti offerti dalle neuroscienze e trovare soluzioni innovative.
Le reazioni della comunità creativa
Ma i creativi che atteggiamento assumono rispetto a questi studi? Ci sono sicuramente gli entusiasti e gli scettici ma in linea generale sembra che tra i designer e le neuroscienze applicate ci sia spesso una relazione di amore-odio. «Cerco sempre di ricondurre le reazioni su un campo neutro – continua Gallace – non si può reagire al dato scientifico con emozionalità, bisogna valutarne i possibili benefici e limitazioni in modo razionale.»
In particolare il ricercatore ci racconta che sono soprattutto le aziende italiane a non mostrare interesse per questi studi che invece potrebbero essere di grande aiuto. «Il nostro Paese ha le potenzialità per essere ai massimi livelli in moltissimi campi produttivi e nel design la nostra forza non è in discussione. Ma puntare sull’innovazione e sulla ricerca è indispensabile per un’azienda che voglia competere a livello mondiale.»
L’inefficacia delle ricerche di mercato e dei focus group
A questo punto sorge spontanea una domanda: questi studi soppianteranno le classiche ricerche di mercato e i focus group normalmente utilizzati per conoscere le abitudini e le preferenze dei consumatori? «Sono sicuramente strumenti importanti sia per lo sviluppo di prodotti, che per la decisione su una strategia di marketing» conclude Gallace. «Il vero problema è quando queste vengono utilizzate senza ulteriori supporti, per esempio quello offerto dalle neuroscienze cognitive.» In generale il punto della questione è che alcuni dei metodi classici attraverso i quali si ottengono informazioni sulle caratteristiche considerate importanti per la valutazione di un oggetto, nella fattispecie i focus group, non sono più sufficienti a indirizzare lo sviluppo e il design di un nuovo prodotto se utilizzati singolarmente.