Diritto industriale

Il packaging come marchio tridimensionale

Anche il packaging può godere dei diritti di proprietà intellettuale al pari di un marchio registrato o di un brevetto. Ecco come districarsi in una materia, quella del diritto industriale, ricca di opportunità per le aziende e per il loro branding.

Accade spesso che un buon progetto di packaging venga copiato dalla concorrenza, anche in modo parziale, e che sia motivo di una disputa legale per i diritti di utilizzo dello stesso. Come si interviene in questi casi, e come può tutelarsi il piccolo imprenditore che non ha dimestichezza con questa specifica materia giuridica?

È bene innanzitutto ricordare che i diritti di proprietà industriale si acquisiscono solo attraverso la brevettazione, la registrazione e poche altre modalità previste dal Codice della proprietà industriale, che disciplina una materia apparentemente molto complessa. In realtà la prassi dimostra che la tutela della proprietà intellettuale è legata a pochi, semplici passaggi logici e normativi la cui conoscenza può scongiurare il pericolo di plagio di una buona idea imprenditoriale.

Secondo l’art. 45 del Codice della proprietà industriale, non sono da considerarsi invenzioni: i metodi matematici, le scoperte e le teorie scientifiche; i piani, i principi e i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale e i programmi per elaboratore; le presentazioni di semplici informazioni.

Il fatto di non essere considerate invenzioni non impedisce a molte di queste fattispecie di essere in qualche modo protette: per esempio i programmi software sono protetti dal Diritto d’autore, purché siano originali, come pure i loro materiali preparatori. Per capire come si tutela un progetto innovativo di packaging occorre allora addentrarsi in alcuni passaggi precedenti e intermedi, cioè quelli riguardanti la registrazione di un marchio, di un disegno o un design, il deposito di un brevetto e di un modello di utilità. Tutte operazioni di tutela che consentono di conseguire, grazie all’uso intelligente degli strumenti previsti dalla Legge, titoli di proprietà industriale. Per farlo ci avvarremo dell’aiuto di due esperti di Diritto Industriale, gli avvocati Emanuela Bianco e Luigi Saglietti, titolari dello Studio Legale Saglietti-Bianco www.sagliettibianco.com, specializzato nella tutela della proprietà intellettuale.

Creatività e proprietà intellettuale

Prima di affrontare la forma più semplice di protezione, cioè il deposito di un logo, è giusto chiarire alcuni rudimenti relativi al Diritto d’autore e alla tutela della proprietà intellettuale.

La Legge prescrive infatti che siano «protette con il diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione». Questa lontanissima Legge del 1941 (n° 633), ancora in vigore, ha subíto nel corso del tempo molte modifiche nelle sue disposizioni (i cosiddetti decreti applicativi o attuativi), in recepimento anche di diverse direttive dell’Unione europea, ma il suo impianto è rimasto più o meno invariato. La legge sostanzialmente dice questo: il diritto d’autore non tutela solo opere che presentano un valore artistico, sebbene esse debbano sempre mostrare una chiara peculiarità della personalità dell’autore (intesa come «originalità» dell’opera). Sussiste una distinzione tra opere dell’ingegno molto creative o poco creative, ma anche queste ultime sono tutelate dalla legge. Il Diritto d’autore non protegge quindi l’idea (che può essere anche del tutto banale) bensì la forma espressiva con la quale è stata narrata, mostrata o suonata.

Il Diritto d’autore non protegge quindi l’idea (che può essere anche del tutto banale) bensì la forma espressiva con la quale è stata narrata, mostrata o suonata. «Dovendo scendere nel dettaglio di un esempio pratico», dice Luigi Saglietti, «il supporto sul quale viene pubblicata un’idea “espressiva” può essere acquistato e quindi essere nel possesso personale di chiunque, come un Cd musicale, un Dvd o la riproduzione di un quadro famoso. Ma il diritto dell’autore di quell’opera continuerà a sussistere, e il proprietario di quel supporto sarà comunque sottoposto ad alcune limitazioni nell’utilizzo dell’opera stessa, come la riproduzione in luogo pubblico o a fini commerciali e lucrativi».

Naturalmente esistono casi specifici in cui la «forma espressiva» coincide in tutto e per tutto con il supporto, cosa che accade per esempio per la scultura, che deroga totalmente rispetto alle condizioni sopra esposte. Ma quella della scultura rappresenta davvero un’eccezione. Anche se, come vedremo più avanti, alcune fattispecie riguardanti le opere di design e i prodotti di packaging presentano caratteristiche simili, ma non uguali, per le quali sarà doveroso fare dei distinguo precisi e mostrare le differenze rispetto al diritto d’autore.

La registrazione di un marchio

È importante a questo punto fare una distinzione precisa tra marchio e brevetto, ossia tra «registrazione» e «brevettazione». Si tratta infatti di due forme di protezione molto diverse perché riguardano oggetti distinti.

Quando un’azienda crea un prodotto innovativo, prima di immetterlo sul mercato, si trova nella necessità di tutelarlo sia per quanto riguarda il rischio di copiatura da parte dei concorrenti, sia per quanto riguarda l’unicità del nome e la sua riconoscibilità. «Nel primo caso il deposito di un brevetto proteggerà la soluzione innovativa dalle possibili imitazioni, assieme a tutte le sue caratteristiche tecniche», dice Emanuela Bianco. «La registrazione del logo permetterà invece all’azienda di tutelare l’unicità del marchio che accompagna il prodotto stesso. Naturalmente queste due forme di tutela sono possibili in forma alternativa o anche cumulativa. La registrazione del logo (del marchio) non serve quindi a proteggere la soluzione tecnica o l’invenzione, bensì a identificare il prodotto sul mercato».

Possono essere registrati come marchio tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente da parole, nomi, disegni, lettere, cifre, forme, colori, suoni o da una combinazione di alcune di queste cose, «purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese» (art. 7 del Codice della proprietà industriale). I diritti decorrono dalla data di deposito della domanda di registrazione e durano dieci anni, dopodiché saranno ancora rinnovabili presentando una nuova domanda per ulteriori dieci anni. I diritti derivanti dalla brevettazione e dalla registrazione sono rilasciati dall’Uibm (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) su domanda dell’interessato e dopo la verifica della sussistenza dei requisiti di legge.

È possibile ottenere la registrazione di un marchio anche senza utilizzarlo subito, ma occorre tuttavia impiegarlo entro cinque anni dalla data del primo deposito. Superati i quali, si rischia di perderlo qualora qualcuno registrasse a sua volta quello stesso marchio.

Il marchio può essere tridimensionale?

Come abbiamo visto il marchio è un segno distintivo che consente ai consumatori di identificare l’origine di prodotti o servizi provenienti da una azienda rispetto a quelli di altre imprese, come recita il Codice della proprietà industriale. Oltre a tutti i segni suscettibili di essere rappresentanti graficamente (parole, nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni ecc.), possono costituire oggetto di registrazione anche la forma di un prodotto o della sua confezione, purché siano ben distintivi. «È però possibile registrare un marchio tridimensionale solo quando si tratta di una forma inconsueta o di fantasia», afferma Luigi Saglietti, «la quale non deve inoltre possedere caratteristiche funzionali. In quel caso, infatti, la forma rientrerebbe nelle prerogative di tutela tipiche dei brevetti e dei modelli di utilità».

«E qui entra in gioco una particolare analogia con quanto accade per i modelli di design, in grado anch’essi di proteggere e tutelare l’aspetto esteriore di un prodotto o il suo packaging. Le definizioni sono tuttavia di difficile interpretazione», continua Saglietti, «perché risultano molto simili e spesso è difficile valutare la corretta appartenenza all’una o all’altra forma di tutela. È capitato che marchi tridimensionali registrati in un Paese abbiano poi ricevuto parere negativo una volta estesi a livello comunitario o internazionale. Questo perché le differenze fra un modello di design e un marchio tridimensionale generano molti dubbi interpretativi. Una buona regola euristica, che emerge da già dalle sentenze in materia, è che la forma tridimensionale di un prodotto o di un packaging dovrebbe possedere un alto carattere di distintività. L’esempio classico è quello della CocaCola, dove la forma particolare della bottiglia permette al consumatore di associarla immediatamente all’azienda produttrice, anche senza la vista del marchio».

Brevetto e la sua «altezza inventiva»

Passiamo ora al brevetto, un deposito nel quale è molto più importante l’elemento «contenuto» rispetto alla componente «forma». Se infatti nel Diritto d’autore viene tutelato principalmente il carattere «espressivo» di un’opera e non il suo contenuto, nel brevetto il valore primario da tutelare è proprio quest’ultimo, inteso qui come «invenzione».

I requisiti di validità del brevetto sono racchiusi in cinque requisiti: la novità, l’attività inventiva, l’industrialità, la liceità e la sufficiente descrizione. «Partiamo dalla prima proprietà, la più importante, perché caratterizza più delle altre il senso vero di un’invenzione», chiarisce Emanuela Bianco. «L’art. 46 del Codice della Proprietà Industriale afferma che un’invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato attuale dell’arte o della tecnica, dove per «stato della tecnica» si intende tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello stato o all’estero prima della data del deposito della domanda di brevetto».

«L’attività inventiva, detta anche “altezza inventiva”, è relativa invece alla bontà dell’invenzione, ossia ai risultati e alle performance tecniche che la nuova soluzione consente di ottenere rispetto a quelle che l’hanno preceduta», continua Bianco. «La nuova soluzione/invenzione deve inoltre permettere un’applicazione industriale, quindi deve essere tecnicamente realizzabile e riproducibile con caratteristiche sempre costanti, e inoltre deve essere lecita, cioè non contraria al buon costume o all’ordine pubblico. L’invenzione deve infine essere sufficientemente descritta nel documento del brevetto, in modo tale da consentire all’esperto medio del settore di comprenderla e realizzarla».

I modelli di utilità

Il brevetto ha una durata di 20 anni e non può essere rinnovato alla sua scadenza. In Italia e in pochi altri Paesi esiste però anche una tipologia di deposito che si distingue dal brevetto per invenzione. Si tratta del brevetto per modello di utilità, una forma di tutela alla quale si ricorre per proteggere quegli oggetti (e non i processi) che modificano altri oggetti già esistenti, migliorandone le prestazioni e l’usabilità. Nel modello di utilità si va quindi a tutelare una specifica funzionalità tecnica che risulta innovativa rispetto allo stato attuale della tecnica. «In sostanza se l’invenzione rappresenta una soluzione innovativa a un problema tecnico, il modello di utilità rappresenta una modifica migliorativa di oggetti esistenti. A volte è difficile scegliere tra invenzione e modello di utilità», sottolinea Luigi Saglietti, «e il Legislatore ha previsto la possibilità di depositare un modello d’utilità e poi, in un secondo momento, chiederne la «trasformazione» in brevetto oppure viceversa». Diversamente dal brevetto, il modello di utilità dura soltanto dieci anni, non è rinnovabile e viene concesso senza alcun esame particolare. È quindi molto più facile da ottenere.

Il disegno o modello

Per quanto riguarda la protezione dei soli aspetti esterni e decorativi, esiste un’altra forma di tutela della proprietà intellettuale oltre al marchio. Si tratta della protezione offerta dalla registrazione del modello, che concerne tutto ciò che attiene al design e che spesso rappresenta una pura scelta di stile. Dunque nulla che sia attinente alla funzione e agli aspetti tecnici del prodotto. L’art. 31 del Codice della Proprietà Industriale stabilisce infatti che può essere registrati come disegno o modello «l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento, a condizione che siano nuovi e abbiano carattere individuale».

Il deposito del disegno o modello mira all’ottenimento di una protezione legale che si concentra sugli aspetti ornamentali ed estetici che rendono un prodotto distintivo e originale. Tramite registrazione è possibile dunque tutelare qualsiasi caratteristica esterna di un prodotto purché sia innovativa e lo renda riconoscibile rispetto agli altri. È evidente che per essere valido un modello deve essere nuovo, lecito e dotato di «carattere individuale».

E qui sorgono i problemi perché non è sempre facile stabilire quando un modello possegga un «carattere individuale». Sempre l’art. 31 del Cpi afferma che «un disegno o modello ha carattere individuale se l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest’ultima». «La formulazione sembra molto chiara. Cionondimeno la sua corretta interpretazione può risultare lunga e faticosa», sottolinea Luigi Saglietti, «perché, prima di dire se un modello ha davvero carattere individuale, occorre conoscere tutti i modelli noti al momento del deposito per quel genere di prodotto, oltre a domandarsi se un «utilizzatore informato», cioè un esperto, abbia di quel modello un’impressione diversa rispetto a quelle suscitate dagli altri modelli precedenti. Insomma, un’analisi per niente facile».

Design: c’entra anche il Diritto d’autore

Abbiamo illustrato come un prodotto di design (inteso come disegno o modello) possa essere protetto dalla registrazione per i suoi aspetti estetici e decorativi, e non per quelli tecnici o funzionali. Attributi che attengono invece alla brevettazione.

Esiste tuttavia una casistica, molto limitata, di opere del disegno industriale che presentano un carattere creativo e un valore artistico, e che per questo sono tutelate anche dal Diritto d’autore. In questa casistica può trovare tutela anche il packaging. Ma ciò accade in rari casi, cioè in quelle opere di design sviluppate come forma estetica di un prodotto industriale che, con il tempo, hanno acquisito una dimensione artistica e storica attraverso il riconoscimento collettivo da parte del mercato e della società. Si tratta quindi di un valore artistico che supera la sua originaria valenza estetica o funzionale.

Quando il packaging può essere tutelato

Oltre all’esempio sopra riportato, piuttosto raro e condizionato pesantemente dalla variabile temporale, esistono forme di tutela più immediata per i prodotti di packaging. Il primo lo abbiamo accennato in apertura parlando della registrazione di un marchio tridimensionale. Il Regolamento del Marchio Comunitario, all’art. 4 (come anche l’art. 7 del Cpi) sancisce che «possono costituire marchi tutti i segni riproducibili graficamente, come le parole, i disegni, la forma del prodotto e il suo confezionamento a condizione che siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese». In questo caso si può comunemente parlare di veri e propri «marchi di forma», costituiti appunto dalla forma complessiva del prodotto, dalla sua confezione o da singoli aspetti esteriori (colori ecc.) percepiti come qualità distintive dell’oggetto.

Naturalmente per questi marchi va verificata attentamente la capacità distintiva intrinseca del prodotto derivante proprio dalla loro forma. Operazione non facile, per la quale è indispensabile affidarsi a esperti di Diritto industriale a conoscenza delle principali sentenze in materia. «Esistono dei particolari limiti alla registrazione di un marchio di forma», spiega Emanuela Bianco, «che soltanto la buona conoscenza della letteratura specifica è in grado di chiarire. Questi impedimenti possono discendere dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, oppure dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o ancora dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto. Tutti quei segni costituiti esclusivamente da una di queste limitazioni sono purtroppo esclusi dalla possibilità di essere registrati come marchi. Inoltre queste tre tipologie di impedimento sono indipendenti tra loro ed esigono un esame separato e piuttosto accurato».

Andando alla sostanza, i packaging particolarmente innovativi e distintivi, insieme a quelli che presentano una funzione tecnica volta a migliorare il progresso tecnico, possono e devono essere tutelati dal diritto industriale e intellettuale. Ma occorre seguire precise prassi per l’ottenimento di questi diritti che solo un operatore specializzato può fornire.

Mi hanno copiato il logo e il sito: un caso da manuale

Una grande azienda pugliese specializzata in packaging ha deciso di lanciare uno spin-off dedicato alla vendita online di prodotti di imballaggio flessibile, e ha scelto di chiamare la nuova attività con il nome SmartPack. Il caso e i nomi di questa breve storia sono del tutto inventati, ma ci permettono di comprendere i meccanismi di tutela di un nuovo marchio che si presenta sul mercato anche con la presenza di una piattaforma di e-commerce, quindi con un preciso nome di dominio. Il titolare della grande azienda leccese, il sig. Gianni, ha quindi proceduto a registrare il domain name www.smartpack.com presso un hosting provider italiano, rendendo subito visibile il sito di e-commerce nonostante questo non sia ancora operativo. Sulla home page è infatti possibile leggere la dicitura «sito in costruzione», dal momento che tutte le funzionalità della piattaforma non sono ancora idonee a ricevere ordini ed effettuare transazioni online. La decisione è stata presa dal sig. Gianni per accelerare il processo di diffusione della notorietà del nuovo brand. «È una buona operazione di marketing – lui pensa – e soprattutto è a costo zero».

Dopo meno di un mese dalla pubblicazione del sito, i collaboratori del sig. Gianni si accorgono che un’azienda di Pordenone è operativa con un proprio e-commerce, www.smartpack.net, che propone lo stesso genere di offerta, cioè astucci pieghevoli per il packaging in cartoncino. Il nome è lo stesso, anche se graficamente diverso, ma tanto basta per mettere in allarme il sig. Gianni, il quale chiede immediatamente ai propri legali di verificare se il concorrente friulano ha proceduto alla registrazione del marchio, anticipandolo così nelle operazioni di deposito. L’esito della ricerca è purtroppo positivo: l’azienda pordenonese ha già registrato SmartPack e gode dei diritti di proprietà intellettuale su quel marchio, pur avendo evidentemente copiato un’idea non sua.

Il sig. Gianni ha dunque intenzione di adire alle vie legali contro l’azienda friulana, perché si sente defraudato dal diritto di utilizzo di un brand che ha ideato lui per primo, anche se non è stato così sollecito nell’operazione di deposito. Ma i suoi legali lo sconsigliano vivamente, perché di fronte a un giudice non riuscirà mai a spuntarla. L’operazione dei friulani è infatti formalmente corretta: il nome del brand è depositato mentre l’attività è pubblica e ormai avviata. Viceversa l’e-commerce del sig. Gianni non è mai stato operativo. E sarebbe difficile dimostrare che SmartPack è un «marchio di fatto» senza l’esibizione di fatture che attestino un’operosa presenza pubblica e una certa notorietà sul territorio.

Anzi, purtroppo per il sig. Gianni, sarebbe proprio meglio cambiare nome del brand e presentarsi online con un altro dominio, prima di venir citati in giudizio dall’azienda friulana per plagio e concorrenza sleale.

Consiglio semplice: depositare il marchio prima di uscire sul mercato. Oltrettutto il costo è limitato.

IL NUOVO REGOLAMENTO SUL MARCHIO UE

Con il nuovo regolamento n° 207/2009 che è entrato in vigore dal 1 ottobre 2017, possono essere costituiti come marchi UE, tutti i segni, come le parole compresi i nomi di persone o i disegni, le lettere, le cifre, i colori, i suoni e anche la forma dei prodotti o dei loro imballaggi, a condizione che tali segni siano adatti: a) a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altra impresa; b) a essere rappresentati nel registro dei marchi dell’Unione europea in modo da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare in modo chiaro e preciso l’oggetto della protezione garantita al loro titolare.

Il nome dell’ufficio competente in materia è ora l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo) e l’appellativo del marchio comunitario è diventato Marchio dell’Unione europea.

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