Packaging

Il packaging per il settore alimentare

La richiesta di cibi pronti con ingredienti personalizzati, la riduzione dell’impatto ambientale degli imballaggi, la riorganizzazione della logistica imposta dalla globalizzazione e dalla diffusione dell’e-commerce guidano la progettazione del food packaging.

Con il cambiamento degli stili di vita e l’aumento degli acquisti online anche gli imballaggi per alimenti si rinnovano.

I nuovi contenitori devono essere versatili, funzionali e attraenti sia per la pubblicità e la distribuzione convenzionali, sia per la comunicazione e gli acquisti in Rete.

Personalizzazione del packaging e dell’alimento si intrecciano e trovano nuove vie per superare il problema degli extracosti e della minor produttività che tali scelte impongono al confezionamento industriale. Tra queste l’idea di frazionare le diverse fasi del processo. Accade per esempio con le confezioni multiscomparto delle insalate di IV gamma. Alla vaschetta base che contiene un’insalata indifferenziata, si sovrappone un vassoio plurialveolato al quale, su linee satelliti presso la medesima azienda di produzione, in centri di distribuzione attrezzati o nel punto vendita, sono aggiunti gli ingredienti e i condimenti caratterizzanti. Lo yogurt segue un percorso similare, l’aromatizzazione della base bianca passa dal caseificio al punto vendita dotato di una o più confezionatrici rotative che riempiono i vasetti con ingredienti scelti dall’acquirente. Il vantaggio è duplice: personalizzazione del prodotti e garanzia di freschezza/funzionalità degli ingredienti aggiunti. Progettare un vasetto per questa filiera breve è molto diverso dal progettare un vasetto per la distribuzione classica. Il web favorisce una personalizzazione ancor più spinta. È il caso dell’azienda scozzese Andrews of Bothwell Ltd che, tramite il sito www.whiskyblender.com, invita i clienti a creare un proprio blend. Il cliente, poi chiamato a dare il nome al prodotto e disegnarne l’etichetta, diventa il comaker di una bottiglia unica, da conservare, riutilizzare, collezionare.

Tra vintage ed edizioni limitate

Quando troppa tecnologia o troppo minimalismo non si addicono al marchio, le aziende alimentari si affidano a un packaging vintage: confezioni dall’aspetto familiare, talvolta nostalgico, riedizioni di grafiche storiche a sottolineare la longevità della marca, sinonimo di garanzia di qualità del prodotto. Il packaging vintage rende rassicurante anche un marchio relativamente nuovo.

Trasmette autenticità, affidabilità e immediata riconoscibilità. Lo stratagemma grafico più utilizzato è un font che riproduca la scrittura manuale. Conferisce alla confezione un’immagine calda, autentica, artigianale atta a ricordare che dietro a quel prodotto ci sono delle persone. Altrettanto efficaci sono le edizioni limitate che trasformano il packaging in un oggetto da collezione.

Si pensi per esempio alle reiterate campagne declinate da Nutella Ferrero, dapprima etichette con i nomi propri, a seguire i messaggi positivi per augurare una buona giornata rafforzati dalle campagne web The Message Deliverye Messaggi in Barattolo e dal temporary eshop dove gli utenti personalizzano e acquistano online il proprio barattolo. È stata poi la volta delle Dialettichette decorate con 135 diverse frasi dialettali, di Nutella Lampada dove la decorazione trasformava il barattolo in un diffusore colorato e di Nutella Unica, dove ogni etichetta aveva una grafica diversa attestata da un codice di autenticazione.

In tutti questi casi la confezione sarà conservata ben oltre il termine della shelf life del prodotto, di qui la necessità di un materiale e di una stampa che durino nel tempo.

La multisensorialità

Quando si coinvolgono più sensi si ha un effetto iper additivo sulle cellule nervose. La vista è colpita dal colore e dagli effetti ottici trasmessi dal packaging e ha ancor più importanza oggi, con lo shopping online, dove la confezione deve poter essere valutata in maniera mediata dallo schermo di un dispositivo elettronico. Ci sono poi le sensazioni tattili. Liscio, ruvido, morbido, setoso, freddo, caldo sono solo alcune delle sensazioni ricavabili con il tatto. Ma il tatto è utilizzato anche per veicolare importanti informazioni atte a evitare sprechi. Ne è un esempio il Bump Marksviluppato dalla designer Solveiga Pakastaite. Si tratta di una piccola etichetta multistrato contenente della gelatina bioattiva, la cui formula è calibrata in funzione della shelf life del prodotto che riporterà l’etichetta stessa. Dall’esterno verso l’interno è composta da: un film plastico stampabile, uno strato di gelatina bioattiva, uno strato di plastica rigido con protuberanze e dove gli spazi vuoti sono colmati dalla gelatina in modo che l’etichetta si presenti piana e per finire da un film plastico che andrà a contatto con la confezione. L’etichetta è inizialmente liscia al tatto, con il passare del tempo la gelatina si liquefa evidenziando le protuberanze. Toccando l’etichetta il consumatore sa che il prodotto ha superato la shelf life e non può più essere ingerito.

Personalizzato, compostabile, edibile: le ultime tendenze degli imballaggi per il food.

La stampa 3D

Nella progettazione packaging alimentare, la stampa 3D è utilizzata soprattutto per ridurre i tempi di prototipazione e per correggerne gli errori. I software per la stampa 3D permettono di creare tracciati vettoriali su misura, visualizzare il modello completo di grafica personalizzata e stampare l’imballaggio senza dover investire in attrezzature, fustelle e software dedicati.

Un’altra interessante evoluzione è la possibilità di rendere un tutt’uno packaging e prodotto. Lo ha fatto Smart Cups, azienda che produce bicchieri in biopolimero, biodegadabilie. Sul fondo interno del bicchiere sono stampate in 3D delle microcapsule solubili in acqua contenenti coloranti, aromi, vitamine e sali minerali. Il bicchiere è venduto tal quale in confezioni da 5, 10 o 20 pezzi. È sufficiente riempirlo con 266 ml di acqua per ottenere una bevanda funzionale, pronta da gustare. I bicchieri sono impilabili e ogni fila da 10 pezzi occupa lo stesso spazio in altezza di una bottiglia da 250 ml con notevoli riduzioni dei costi logistici, in termini di spazio di stoccaggio ed ottimizzazione dei trasporti. Un autoarticolato carico di Smart Cups trasporta oltre 10 volte le stesse bevande confezionate in bottiglie tradizionali e il peso del carico è decisamente inferiore.

Ambiente

L’uso di imballaggi biodegradabili, compostabili, riciclabili o riutilizzabili è importante per le aziende perché è importante per i consumatori. Da tempo si citano i biopolimericome un’area di possibile evoluzione del food packaging, in quanto utili dal punto di vista delle materie prime di partenza, del recupero dell’imballaggio a fine vita, e per sganciarsi dal mutevole andamento di disponibilità e di prezzi dei prodotti petroliferi.

La biodegradabilità è la caratteristica che accomuna le sostanze naturali che, essendo assimilate dai microrganismi, possono essere reimmesse nel ciclo biologico. Il processo avviene in due fasi: la frammentazione del materiale favorita da umidità, calore, enzimi, raggi UV e la biodegradazione vera e propria a opera di microrganismi, che utilizzano i suddetti frammenti come fonte alimentare e di energia trasformandoli in CO2 e acqua in tempi accettabili. La compostabilità è la capacità di un materiale di trasformarsi in compost mediante compostaggio. I materiali compostabili devono essere biodegradabili, disintegrabili, non devono incidere negativamente sulla qualità del compost. La biodegradabilità è valutata misurando la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica. La valutazione quantitativa e temporale è effettuata con un metodo di prova standard.

La disintegrabilità è la frammentazione e perdita di visibilità del materiale nel compost finale. È misurata con una prova di compostaggio su scala pilota. Il materiale è biodegradato con dei rifiuti organici per 3 mesi, il compost ottenuto è vagliato con un setaccio di 2 mm di luce. I residui del materiale di prova aventi dimensioni superiori a 2 mm non devono ammontare a più del 10% della massa iniziale. L’assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e sulla qualità del compost sono verificate rispettivamente con una prova di compostaggio su scala pilota e con una prova di crescita di piante eseguita su campioni di compost ottenuto dal materiale di prova. Non si devono esserci differenze rispetto ad un compost di controllo.

Particolarmente originali in tal senso sono le scatole in fibra cellulosica da materiale riciclato, riciclabile, compostabile, biodegradabile nella cui struttura sono inseriti semi ricavati da piante coltivate rispettando gli obblighi imposti dalla normativa sulla agricoltura biologica. Terminato il prodotto, il consumatore immerge il contenitore in acqua per un minuto circa e lo sotterra. Dopo qualche settimana nasceranno piante di erbe medicinali e aromatiche.

I biopolimeri

Attualmente, nel settore degli imballaggi si impiegano soprattutto polimeri ottenuti da derivati del petrolio. Sottoposte a cracking le catene idrocarburiche si rompono e si ottengono le molecole utilizzabili per la produzione della plastica. Fin dagli anni ’80 del secolo scorso si sono cercati nuovi sistemi per produrre polimeri di origine non petrolchimica, sia biodegradabili, sia non biodegradabili. L’adozione su larga scala di questi materiali è stata finora rallentata dal prezzo superiore a quello dei polimeri tradizionali, da performance non sempre accettabili, da difficoltà di produzione su impianti tradizionalmente impiegati nel comparto plastica. Quanto finora utilizzato in ambito food packaging può essere suddiviso in tre grandi categorie.

La prima è costituita da polimeri estratti come tali dalle biomasse, tra questi i più utilizzati sono i polisaccaridi di origine vegetale (cellulosa, amido, pectine, gomma arabica); i polisaccaridi di origine marina (carragenani e agar dalle Rodoficee, alginati dalle Feoficee); i polisaccaridi di origine microbica (gellano, destrano, xantano, scleroglucano); i polisaccaridi di origine animale (chitosano e glicogeno).

La seconda categoria è costituita dai polimeri sintetici, primo fra tutti il PLA (acido polilattico) ottenuto dalla fermentazione dall’amido di mais.

La terza categoria è costituita da polimeri prodotti da microrganismi, per esempio il PHA (poliidrossialcanoati) e derivati. L’amido è un polisaccaride molto diffuso in natura, è miscelato ad altri polimeri per ottenere materiali processabili.

Dai suddetti blend si ricavano materiali plastici flessibili o rigidi.

Alcuni anni fa la quota di biopolimeri da amido era molto elevata, oggi il mercato guarda con maggior favore ai biopolimeri ricavati da biomonomeri. L’ applicazione più diffusa è la produzione di vaschette in espanso per prodotti ortofrutticoli. Sono disponibili in vari spessori, forme e formati, sono igieniche e idonee al contatto con gli alimenti, attutiscono gli urti proteggendo il contenuto da ammaccature e altri danni. Il PLA è versatile, riciclabile con tecniche meccaniche o chimiche, compostabile, ma è relativamente fragile, non resiste alle alte temperature, non è utilizzabile per il riscaldamento al microonde e per il contatto con prodotti caldi.

È utilizzato principalmente come adesivo per laminazione di film nel settore dell’imballaggio, come film sottile o per imballaggi rigidi non barriera (vassoi per gastronomia, stoviglie per il catering). L’utilizzo delle bioplastiche riduce l’impatto ambientale, ma non risolve il problema. Sono pertanto allo studio sistemi che consentano di evitare la produzione di rifiuti correlati al cibo in termini di sprechi alimentari e di imballaggi da smaltire. Di qui il grande impulso alla ricerca di polimeri edibili da utilizzare come coating direttamente sul prodotto o per produrre imballaggi edibili, meglio se termoformabili come gli attuali contenitori di plastica.

Mangiare o sgranocchiare anche il contenitore

Le perplessità sugli imballaggi edibili vanno dei pari passo con quelle sull’uso degli insetti in cucina. Eppure mangiamo imballaggi ogni giorno, si pensi per esempio alla buccia di frutta e verdura, alla parigina del gelato, alla pasta e alle coperture di cioccolato che racchiudono un ripieno.

L’obiezione è sempre la stessa, ingerire un imballaggio non è igienico, ma rispetto agli imballaggi tradizionali il packaging edibile avrebbe alcuni considerevoli vantaggi: non grava sulla filiera dei rifiuti, se abbandonato nell’ambiente degrada in breve tempo; permette un rilascio controllato dei conservanti o degli antimicrobici eventualmente incorporati nella sua struttura o spalmati sulla sua superficie; se addizionato di aromi, coloranti, edulcoranti migliora le caratteristiche organolettiche dell’alimento confezionato; può apportare nutrienti, si pensi per esempio a imballaggi edibili a base proteica; può separare gli strati di alimenti multicomponenti; è l’ideale per le monoporzioni o per alimenti difficilmente dosabili; può fungere da separatore in alimenti multistrato; può fungere da strato a diretto contatto con l’alimento in caso di materiali complessi.

La base degli imballaggi edibili è costituita da tre componenti: un biopolimero ad alto peso molecolare, che determina la rigidità, la flessibilità e la fragilità del materiale finito; un plasticizzante per ridurre la fragilità e aumentare la flessibilità del materiale; un solvente.

Possono inoltre essere aggiunti antimicrobici, antiossidanti, aromi e altre sostanze impiegate per aumentare la funzionalità specifica del materiale. Il primo passo per rendere accettabili questi materiali è stato utilizzarli per produrre stoviglie edibilida impiegare negli eventi ad alto afflusso (fiere, concerti, manifestazioni sportive) e nei fast food.

Da tempo esistono in commercio cannucce e bicchieri edibili a base agar. I problemi di igiene sono stati risolti avvolgendo questi oggetti con una pellicola protettiva biodegradabile rimovibile, che protegge il contenitore da insudiciamenti durante il trasporto e l’uso ripetuto. Ora la ricerca si è spostata sugli imballaggi per snack e monoporzioni di pronto consumo.

Intanto, un’azienda indonesiana produce e vende su larga scala imballaggi edibili ottenuti da biopolimeri estratti da alghe. La confezione si scioglie in acqua tiepida, è ricca di fibre e vitamine contribuendo ad aumentare il loro apporto con la dieta, è personalizzabile in termini di aromatizzazioni, colori di base, è stampabile, è saldabile a caldo, ha due anni di shelf life, è certificata Halal, la sua produzione rispetta la normativa sulla sicurezza igienica degli alimenti e qualora non fosse ingerita può essere usata come fertilizzante.

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