Internazionalizzazione

Il successo della carta da parati, nelle parole di Mauro Jannelli

Mauro Jannelli

Le imprese italiane devono essere consapevoli dell’unicità culturale dei consumatori a cui si rivolgono. Una ricetta appresa perfettamente da Jannelli&Volpi che ha portato le sue carte da parati negli showroom più raffinati di ogni angolo del mondo.

Sembra proprio che le imprese italiane oggi non possano più limitarsi a un approccio timido verso i mercati esteri. Un po’ per via di un fronte interno asfittico che non riesce più ad assorbire l’offerta, e un po’ perché anche all’estero esistono ormai frotte di progettisti, ingegneri e creativi pronti a sviluppare le nostre stesse capacità in quasi tutti i settori della produzione e del design. Insomma, presto non potrà più bastare il semplice appellativo «made in Italy» ma occorrerà aggiungere nuovi sostanziosi ingredienti.

Una fase della lavorazione della carta da parati nello stabilimento Sirpi di Tribiano (MI).
Una fase della lavorazione della carta da parati nello stabilimento Sirpi di Tribiano (MI).

L’unico modo per poter accedere con successo alle piazze di questi mercati sarà quindi l’innovazione di prodotto?

Lo chiediamo a Mauro Jannelli, proprietario del gruppo Jannelli&Volpi, tre generazioni di storia nella carta da parati, settore che ha conosciuto una grande espansione all’estero e che oggi permette all’azienda di realizzare oltreconfine ben il 90% del fatturato.

La carta da parati è un articolo molto particolare. Ci racconta l’evoluzione di questo prodotto da semplice «coprimuro» a elemento d’arredo?
«Il prodotto carta da parati era di gran moda nel mercato nazionale a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, poi è caduto in declino di gusto e di immagine perché le pitture decorative e altri prodotti ne avevano preso lo spazio.

Il prodotto «Carta da parà» progettato da Stefano Panterotto, uno dei giovani designer ingaggiati da Jannelli&Volpi.
Il prodotto «Carta da parà» progettato da Stefano Panterotto, uno dei giovani designer ingaggiati da Jannelli&Volpi.

Negli anni 2000 è tornata a conoscere una crescita di immagine molto interessante anche sul mercato nazionale, pur avendo perso tutti i grandi volumi degli anni migliori. Oggi rispetto ad allora è un prodotto di nicchia, di design, considerato di fascia alta e quindi ben diverso da quella carta da parati italiana ed europea degli anni Settanta, che era considerata perlopiù una copertura delle mura domestiche. Ora si rivestono solo quelle parti della casa che necessitano di una valorizzazione in termini di design e decorazioni.
La crisi degli anni Novanta ci ha portato in anticipo rispetto ad altri settori a guardare all’estero come mercato di sbocco, e ora beneficiamo di un buon posizionamento della carta da parati italiana in molti Paesi del mondo. Dopo i tedeschi, dal punto di vista del volume, siamo tra i tre Paesi esportatori più importanti al livello globale».

Torniamo alla domanda d’apertura. Può ancora bastare l’innovazione di prodotto, o forse è arrivato il momento di «reinventarsi» per approdare all’estero?
«Penso che l’innovazione del prodotto sia un elemento necessario ma non sufficiente alla buona riuscita dell’impresa. Dico necessario perché non saremmo mai in grado di competere con le produzioni locali, siano esse cinesi, russe, tedesche o americane, se non con un aspetto tecnologico e innovativo rilevante. Dico anche che non è sufficiente perché occorre aumentare le nostre conoscenze in merito ai gusti e ai costumi dei mercati di riferimento. Serve infatti la capacità di adattare i nostri prodotti alla cultura locale, pur mantenendo quello stile che contraddistingue il prodotto made in Italy. Quindi esiste un’attività che io definirei un po’ “camaleontica” nel riuscire a essere se stessi pur adattandosi alle sfumature che giustamente caratterizzano ogni mercato locale».

Non teme la concorrenza di aziende dei Paesi minori che possono scovare manager occidentali bravi ed esperti, pagarli fior di quattrini e in questo modo risolvere il problema delle competenze?
«Fino a oggi, nel nostro settore, non si sono registrate situazioni di perdita di know how a seguito del distacco di manager, ma è certo che questo potrebbe rappresentare una minaccia. Il livello qualitativo e competitivo delle produzioni locali è cresciuto in modo molto rilevante nell’ultimo decennio, tale da aver già sostituito una parte dei prodotti italiani, soprattutto nella fascia media. Quindi diciamo che l’elemento di concorrenza relativo alla produzione autoctona ha già ridotto e in prospettiva ridurrà ancora i volumi delle nostre produzioni. In particolare occorre sottolineare che la recente crisi economico-valutaria in Russia, e quindi tutto ciò che riguarda le transazioni in Rublo, ha incrementato il costo e anche i prezzi finali dei nostri prodotti. Come vede, a volte giocano a sfavore anche questi fattori ambientali. E, quando ci sono, generalmente non hanno un rientro facile. Quindi non credo ci siano minacce così evidenti rispetto alla “fuga” dei manager, pur essendo comunque un fatto da non sottovalutare».

Giriamo la prospettiva: voi come avete fatto a presidiare quei mercati lontani? Ricordo un’intervista del passato dove si parlava di Turchia e Medio Oriente, due opportunità ghiottissime per voi. È bastato collocare laggiù un ufficio di rappresentanza?
«Certamente anche noi, nel nostro settore, abbiamo fatto uso finora di questi uffici di rappresentanza, e comunque di agenti, come strumento di promozione del prodotto. Quello che noi oggi osserviamo come utile e necessario è la presenza di show-room creati e situati in location geograficamente vincenti, e quindi adeguate a fornire visibilità ai nostri prodotti e ai brand. Questa formula si è evoluta nel tempo e si appoggia molto spesso a partnership contratte con clienti nelle città più rappresentative come Parigi, Londra, Pechino, New York, Dubai, Francoforte, Mosca ecc. Quando noi trattiamo con un nostro concessionario, che a quel punto non raffigura più un ufficio di rappresentanza, chiediamo e caldeggiamo una collaborazione per poter allestire show-room condivisi nella presentazione del prodotto. E questa non è poca cosa perché si assegna un taglio di immagine di un certo tipo. Quindi non si tratta esattamente di un presidio aziendale di Jannelli&Volpi in quella determinata realtà locale, ma di una vera e propria collaborazione. E credo che questa sia, in una luce prospettica, la direzione giusta da seguire».

Quindi per avere successo in Paesi lontani da noi culturalmente ci vuole un business con caratteristiche locali. Voi come avete fatto a comprendere questi gusti “nativi”?
«Più che avere una risposta mi piacerebbe poter dire che si riesce sempre a raggiungere quest’obiettivo, anche se a volte non è così semplice. Torno a dire che non c’è una via unica a che occorre essere un po’ camaleontici. Noi cerchiamo di creare dei product manager, o meglio dei “product area-manager”, vale a dire persone che si specializzano visitando il luogo e approfondendo le conoscenze di quel mercato. In modo tale che nello sviluppo del prodotto, realizzato qui in Italia, riescano a trasferire la massima attenzione rispetto alle esigenze locali. Questo è quello che cerchiamo di fare. Inoltre completiamo questa ricerca con mirate azioni di marketing che valorizzino i design e i brand che ci sostengono. Ripeto, l’innovazione è importante e necessaria, però se dopo non si trovano gli strumenti in grado di dare luce ai prodotti innovativi attraverso attività di marketing adeguate, non si arriva mai a penetrare il mercato nel modo giusto».

E questi vostri product manager sono locali o italiani?
«Sono italiani. Da questo punto di vista credo sia molto importante mantenere questa “originalità”. Noi italiani abbiamo storicamente la capacità di trasferire e trasmettere una conoscenza, uno spirito e uno stile che non riusciremmo mai a ritrovare nei manager locali».

Però occorre saper parlare bene il turco o il cinese…
«Sicuramente l’aspetto della comunicazione è molto importante, ma è ancora più importante quello che ho detto poco fa sulla trasmissione di un “saper fare” che è tutta nostrana. Il massimo è trovare un italiano in loco che possa svolgere questa funzione, anche se sono convinto che si possa diventare un vero product manager vivendo laddove il prodotto nasce e si realizza».

Prima mi accennava alle iniziative di marketing. È chiaro che il consumatore mediorientale o asiatico richiederà un’esperienza di acquisto molto diversa da quella occidentale. Come fate a comprendere quali corde toccare?
«È ovvio che anche gli strumenti di marketing necessitano di una maggiore attenzione e cura rispetto ai tempi passati. Quindi occorre certamente l’innovazione di prodotto ma anche quella relativa al marketing. È importante però che sia sempre l’azienda a guidare questi cambiamenti, più che farsi guidare passivamente dalle esigenze locali. Devo inoltre aggiungere che in questi ultimi anni si sta verificando uno connubio interessante tra il mondo della moda e quello dell’interior design. È un fatto che molti stilisti famosi stiano approcciando con interesse il mondo delle carte da parati. Ne danno prova le crescenti attenzioni di importanti stilisti di moda, primo tra tutti Giorgio Armani. La linea Armani Casa, di cui il nostro gruppo è licenziataria, sta dando forte impulso alla carta da parati come complemento d’arredo.
Per Armani infatti vestire la casa è come vestire una persona
. E da questo punto di vista la sinergia che si è creata è già di per sé una vera e propria attività di marketing. Armani direziona o sceglie i nostri disegni, certo, ma è vero anche che conta moltissimo il suo nome. In sostanza, il brand Amani si impone molto facilmente sul mercato».

Anche voi state usando leve e canali di marketing come Facebook o Pinterest?
«Direi che più i mercati sono lontani, e più i social network e internet diventano strumenti utili e importanti. Il nostro è così facilmente visualizzabile che trova nelle immagini digitalizzate uno strumento di promozione molto facilitato. Occorre in ogni caso essere molto attivi e propositivi con questi mezzi. Sembra facile realizzare una pagina Facebook o Pinterest, ma occorre costruire e coltivare risorse umane che vivano in azienda e sappiano nutrire costantemente il social network dei valori giusti. Credo occorra investire molto in tal senso. Noi lo stiamo facendo da tempo. Abbiamo un discreto e attivo social network come Jannelli&Volpi dove siamo attivi già da qualche anno, e stiamo spingendo in tale direzione soprattutto con Facebook e Instagram. Un po’ meno con Twitter perché privilegiamo ovviamente l’uso evocativo e intelligente delle immagini. Ovvio, poi, che tutti questi strumenti convergano sui nostri siti internet, che rappresentano la vetrina ufficiale della nostra offerta».

In quali Paesi vendete maggiormente e qual è il vostro fatturato?
«Il fatturato del gruppo si aggira intorno ai 45 e i 50 milioni di euro, il 90% del quale realizzato all’estero. Per quanto riguarda i Paesi esteri, abbiamo seguito delle epoche storiche. Negli ultimi dieci anni è stato rilevante tutto il mercato ex Urss, che ha giocato la parte del leone, negli anni Novanta eravamo molto “americani”, mentre l’Europa è sempre stata molto rilevante, dal momento che copriva circa la metà del nostro fatturato. Se ragiono invece sul prossimo decennio, penso che andranno molto bene i mercati asiatici e mediorientali, mentre il mercato russo è stato spremuto abbastanza e potrà solo declinare un po’. Guardiamo con attenzione ai mercati sudamericani, all’India e alla Cina che sono territori vastissimi. E ancora agli Usa dove il made in Italy ha avuto e avrà sempre un riscontro positivo».

Mi parli delle vostre macchine, immagino che l’ambito digitale occupi uno spazio interessante…
«Le nostre tecniche di stampa sono diverse, le più usate sono la rotocalco, ma impieghiamo ancora alcune tecniche tradizionali, come la stampa a tampone, che è un po’ l’antesignana della flexo. Anche la serigrafia occupa uno spazio molto importante perché fornisce una buona matericità al prodotto. Infine abbiamo la stampa digitale che è in grande evoluzione e che utilizziamo in modo piuttosto importante.
La carta da parati si è un po’ mescolata negli ultimi tempi al settore delle finte pelli e della conciatura per fornire maggiore fisicità al prodotto. Quindi non ci basta solo stampare su una bella carta patinata. Dobbiamo anche rifinire e goffrare utilizzando un mix di tanti know how che vanno dalla concia delle pelli, alla carta regalo fino alla cartotecnica. Insomma, quest’azienda racchiude in sé un bagaglio di saperi tecnologici piuttosto importanti e stratificati. Un patrimonio che intenderemo valorizzare anche nel futuro».

La bellezza è sulla carta

Cilindri per la stampa rotativa su tessuto.
Cilindri per la stampa rotativa su tessuto.

Jannelli&Volpi, nel settore della carta da parati e dei tessuti d’arredamento, ha capacità di innovare e di presidiare in maniera intelligente i mercati esteri.
Fondata nel 1961 da Oreste Jannelli con la moglie e i cognati ha conosciuto negli anni Ottanta e Novanta la sua grande espansione sui mercati internazionali riuscendo a trasferire la grande tradizione italiana nel design al settore dell’interior decoration. Dal 2005 l’azienda è interamente di proprietà della famiglia Jannelli, con la presenza di tre fratelli che ne rivestono i ruoli principali: Mauro Jannelli (presidente), Lidia Jannelli (responsabile finanziario) e Paola Jannelli (responsabile marketing e comunicazione).
La sede dello showroom milanese di Jannelli&Volpi si trova in via Melzo 7 mentre Sirpi,
 la fabbrica produttrice, ha le sue basi produttive a Peschiera Borromeo (MI) e a Tribiano (MI). L’intero gruppo occupa 175 dipendenti e nel 2014 ha fatturato 42 milioni di euro.

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