Packaging

Packaging sostenibile: riciclabilità, biodegradabilità e compostabilità

FAST, Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche e Innovhub SSI, attraverso un webinar rivolto ai produttori e agli utilizzatori di imballaggi organizzato in collaborazione con Comieco, hanno fornito un aggiornamento sullo stato dell’arte in Italia rispetto agli obiettivi imposti dalla Comunità Europea, con un focus sui materiali che più soddisfano i requisiti di riciclabilità e compostabilità.

Un webinar sul packaging sostenibile organizzato da FAST e Innovhub-SSI nell’ambito delle attività svolte quali partner di Enterprise Europe Network, la più grande rete europea a supporto delle PMI e dei centri di ricerca, che eroga servizi gratuiti alle imprese per facilitare partnership internazionali e aiutarle a individuare possibili interlocutori sia di business sia di ricerca o tecnologia.
Il packaging gioca un ruolo fondamentale nella sfida della sostenibilità; siamo chiamati a sostituire la plastica con materiali più sostenibili e la filiera della carta in questo è particolarmente virtuosa grazie alle proprietà stesse del materiale. Ma cosa vuol dire esattamente materiale sostenibile, riciclabile, compostabile? Quali sono gli obiettivi che la Commissione Europea ci pone e per i quali rispetto alla filiera della carta siamo abbastanza in linea, e quali le certificazioni a cui sono chiamate le imprese? Su quali aziende ricade l’obbligo della certificazione rispetto a determinate tipologie di materiali? Quali sono gli strumenti che gli esperti mettono a disposizione per l’eco design?

La filiera virtuosa dell’economia circolare
La crescente consapevolezza da parte del consumatore in merito alla sostenibilità e l’uscita negli ultimi anni di alcune direttive europee come quelle inerenti la Circular Economy e la Single Use Plastic, hanno creato un contesto favorevole alla sostituzione dell’imballaggio in plastica con quello in carta, il che secondo una stima Cepi, l’associazione europea dell’industria cartaria permetterebbe una riduzione di emissione di CO2 di circa l’85%. Riduzione dell’impatto ambientale che rientra fra i principali pilastri del packaging sostenibile, insieme al fatto che l’imballaggio in carta può essere prodotto da materiali bio-based, cioè derivanti da fonti rinnovabili, e che sia conforme ai concetti dell’economia circolare in quanto riciclabile o compostabile.
«Il concetto di materiale bio-based deve essere molto chiaro a chi produce – ha affermato Graziano Elegir, responsabile R&D Area Carta/Tessile di Innovhub –. Premesso che bio-based non significa biodegradabile, in quanto l’uno dipende dall’origine del materiale e l’altro dalla sua struttura chimica, molto spesso si pensa che questa parola sia associata alle cosiddette bioplastiche, cosa vera solo in parte, in quanto non tutte le bioplastiche sono prodotte da fonti rinnovabili, e spesso ci si dimentica che anche la carta è di per sé un prodotto bio-based e proviene in larga parte da foreste a gestione sostenibile e certificate».
La carta non ha però intrinsecamente tutte le caratteristiche funzionali necessarie a sostituire un imballaggio in plastica, ma se accoppiata a bioplastica bio-based assume caratteristiche funzionali complementari che danno vita a un prodotto sostenibile, che permette di sostituire la plastica fossile, di aumentare il contenuto bio-based e una potenziale compostabilità del multi-materiale (bioplastiche biodegradabili), senza contare che la compensazione della perdita di proprietà funzionali del materiale riciclato avviene con materia prima rinnovabile in tempi brevi.
Ma se il tasso italiano di raccolta e di utilizzo della fibra di riciclo ha già superato la quota prevista per il 2025 dalla direttiva europea, non manca qualche problema all’interno della filiera, legato alla crescita delle cosiddette frazioni estranee in parte imputabili all’aumento della complessità degli imballaggi, soprattutto nel caso di multi-materiali flessibili, che possono creare qualche problema se riciclati in impianti standard; fondamentale da questo punto di vista l’ecodesign nella progettazione del prodotto, per favorire il riciclo, e fondamentale capire cos’altro influenza la riciclabilità di un prodotto cartario: oltre agli scarti di processo, la spappolabilità in acqua e la presenza di adesivi e stampe. Un insieme di fattori economici/ambientali e di qualità del prodotto ottenuto con le fibre da riciclo.
Esistono a tal proposito una serie di standard normativi europei ben noti nella filiera, fino alle linee guida europee del 2019. «L’eco design però non è solo linee guida – sottolinea Elegir – ed è sempre più importante avere a disposizione metodi di valutazione scientifici, test di laboratorio che possano fornire risultati oggettivi».

L’importanza dei test di laboratorio
A tal proposito ormai da diversi anni sono stati sviluppati dei metodi di laboratorio e l’Italia è stata all’avanguardia da questo punto di vista, tant’è vero che fin dal 2011 Aticelca ha sviluppato una serie di standard che hanno portato alla fine nel 2019 a uno standard ufficiale UNI (11743:2019) associato a un Sistema di valutazione, l’Aticelca 501-19, che è stato di fatto accettato dall’intera filiera.
Ci si potrebbe quindi chiedere: perché misurare la riciclabilità di un prodotto cartario? «Perché il test di laboratorio di fatto fornisce un supporto all’ecodesign – spiega Elegir – e ci permette di tradurre in numeri e azioni quelle che sono le indicazioni delle Paper-based packaging recycling guidelines, fornendo la certezza che quello che sto sviluppando in fase di progettazione poi si tradurrà realmente in una facilità al riciclo. Consente inoltre di rispondere in via oggettiva all’obbligo di legge posto dalla norma armonizzata europea EN13430, che non fornisce una chiara indicazione, e risponde al crescente bisogno di informare il consumatore e dimostrare il miglioramento delle prestazioni dei propri prodotti e imballaggi in carta per mezzo di un marchio riconoscibile».
Il metodo UNI/Aticelca permette di classificare i diversi packaging in quattro diversi livelli, A+, A, B e C, in relazione alla facilità al riciclo. L’insieme dei due permette di avere una certezza sull’impatto delle diverse componenti dell’imballaggio, di ottenere un benchmark di prodotto e di lavorare per il miglioramento alla facilità al riciclo dell’imballaggio.
Associato al sistema di valutazione c’è il marchio volontario, sviluppato fin dal 2017, e che ha avuto in particolare a partire dal 2019 un grande successo: non una certificazione ma un’asserzione auto-dichiarata, basata su test effettuati in laboratori riconosciuti e approvati da Aticelca.
Ma non è tutto. Se è vero che è importante progettare in funzione del fine vita, è fondamentale farlo in funzione del fine vita più ragionevole e bisogna chiedersi quando è veramente necessario inviare al compostaggio i materiali a base carta. «Dal nostro punto di vista il riciclo come materiale deve essere sicuramente la scelta prioritaria – afferma Elegir – anche per favorire l’economia circolare e alcuni aspetti ambientali: consente alla fibra cellulosica diversi cicli di lavorazione, riduce il prelievo di fonte primaria e l’impronta del carbonio. Quando invece invio al compostaggio non posso più rivendicare una riduzione dell’impronta del carbonio a livello di ciclo chiuso della filiera cartaria; per questo il riciclo organico dovrebbe essere veramente limitato ad applicazioni specifiche».

Quali le prospettive future del settore?
Il metodo UNI/Aticelca sarà sottoposto a revisioni periodiche per tenere conto delle evoluzioni tecnologiche nei prodotti e nei processi di riciclo; inoltre Conai ha stabilito l’estensione della diversificazione contributiva che entrerà in vigore a partire dal 1 gennaio 2022 anche a quegli imballaggi compositi a base carta diversi dai contenitori per liquidi; tale versione si baserà sul peso della componente carta rispetto al totale dell’imballaggio, ma in prospettiva si sta discutendo l’applicazione di questa diversificazione contributiva sulla base dello standard UNI + Sistema di valutazione Aticelca, quindi sempre di più diventerà importante anche per le aziende capire qual è l’impatto dei propri imballaggi quando vengono sottoposti a questo test.
Non solo. È stato costituito un nuovo gruppo di lavoro Aticelca per lo sviluppo di un metodo per misurare la separabilità degli strati di materiale non cartaceo removibili manualmente, e, da gennaio 2021, sotto la guida di Cepi è stata sviluppata la prima versione di un metodo armonizzato a livello europeo. «È già disponibile un test che sarà utilizzato non solo dai laboratori italiani ma anche dai laboratori europei – spiega Elegir -; è in fase sperimentale per un anno per vedere se siamo tutti d’accordo e in grado di procedere con dei test che sono riproducibili. Stiamo infatti lavorando per farlo diventare uno standard di laboratorio europeo (CEN) associato a sistemi di valutazione nazionali, e ci aspettiamo che a partire dal 2022 possa diventare uno strumento di armonizzazione dei test a livello europeo, che a oggi non c’è».

Compostabilità e biodegradabilità
Patrizia Sadocco, responsabile Area Carta Innovhub, ha fatto chiarezza sui concetti di compostabilità e biodegradabilità dei materiali, già in parte definiti dal collega Elegir. Partiamo dalla biodegradabilità: gli imballaggi sono materiali polimerici e per poterli disintegrare abbiamo diverse strade, fisico/chimiche o biologiche. Le prime, come luce, acqua, stress meccanici eccetera, determinano la frammentazione/disintegrazione dei materiali, ma affinché si determini il fenomeno della biodegradabilità è necessario l’intervento di agenti viventi come i microorganismi, che si nutrono dei materiali, riconoscendoli come cibo, e li trasformano completamente da strutture complesse a composti molto semplici: CO2, acqua e nuova biomassa. Tale processo di biodegradazione può avvenire in ambiente solido o liquido, in presenza o meno di ossigeno, e a seconda dei diversi ambienti agiranno microorganismi differenti. La biodegradabilità quindi non è una proprietà intrinseca dei materiali, ma è funzione dell’ambiente di biodegradazione, oltre che della struttura chimica del materiale, attraverso la produzione di enzimi specifici che riconoscono selettivamente la natura chimica dei nutrienti.
Sono stati identificati 5 ambienti di biodegradazione, completamente diversi l’uno dall’altro: impianti di compostaggio, impianti di digestione anaerobica e impianti di trattamento acque reflue, oltre che suolo e acque libere, ciascuno con propri diversi metodi standard per valutare in laboratorio la biodegradabilità dei materiali. «Un materiale che è biodegradabile negli impianti di compostaggio a queste condizioni di test in laboratorio – spiega Sadocco – potrebbe assolutamente non esserlo nelle condizioni di test degli altri impianti di gestione dei rifiuti. Anche per suolo e acque libere è possibile certificare la biodegradabilità di un materiale, ma per questi ambienti è possibile farlo solo in specifici casi e cioè se si vuole destinare il materiale ad applicazioni specifiche e assolutamente controllate». Se infatti la certificazione della biodegradabilità nei diversi ambienti ha regole diverse, per quanto riguarda gli ambienti naturali come suolo e acque libere serve dimostrare che il materiale e/o il prodotto siano idonei all’utilizzo nell’ambiente, mentre per gli impianti di gestione dei rifiuti serve dimostrare che il materiale e/o il prodotto siano idonei alla via di smaltimento specifica. In tutti i casi occorre dimostrare che non ci sia il rilascio di contaminanti nell’ambiente.
Prendiamo ad esempio, fra le diverse norme, la EN13432, la più praticata e conosciuta in Europa, anche se tutti gli standard sono armonizzati. La norma si riferisce alle condizioni degli impianti di compostaggio e richiede ai manufatti biodegradabili e compostabili 4 requisiti. Due prerequisiti, che riguardano principalmente le materie prime:
-caratterizzazione chimica (metalli pesanti e sostanze pericolose entro i limiti indicati);
-Biodegradabilità in compost ≥ 90% in max 180 giorni.
A seguire, i due riguardanti la compatibilità del prodotto finito con il processo di compostaggio industriale:
-Disintegrazione del manufatto ≥ 90%;
-Assenza di effetti ecotossici del compost, germinazione ≥ 90%; crescita piante ≥ 90%.
Seppur la carta sia compostabile, additivi come colle, adesivi, inchiostri o pigmenti e trattamenti come resine/laminazioni per aumentare la resistenza a umido e grassi e la permeabilità ai gas possono influenzare o compromettere i requisiti della compostabilità. Ecco allora tornare il concetto di ecodesign: «Per garantire la compostabilità – spiega Sadocco – è necessario ridisegnare i prodotti tradizionali, trovare nuove soluzioni per garantire le prestazioni e nel contempo per rientrare nei limiti richiesti dalla certificazione». E conclude: «La compostabilità dei manufatti in genere, così come la biodegradabilità in diversi ambienti è un vantaggio se riferita ad applicazioni specifiche o a specifiche vie di smaltimento a fine vita dei prodotti. Non è mai una giustificazione all’abbandono nell’ambiente».

Strumenti per l’ecodesign
Fornisce i numeri del riciclo di imballaggi a base carta e cartone in Italia e sottolinea a sua volta l’importanza dell’ecodesign Lorenzo Bono, responsabile Ricerca e Sviluppo di Comieco, che spiega come, se dal punto di vista quantitativo sono stati raggiunti risultati importanti (nel 2019 sono stati riciclati l’81% degli imballaggi in carta e cartone), la sfida per i prossimi anni, sulla quale si sta già lavorando, sarà quella della qualità del riciclo; fare in modo cioè che sul mercato vengano immessi imballaggi in carta e cartone che siano il più possibile non solo riciclabili, ma anche il più possibile riutilizzabili, quindi progettati appositamente per minimizzare l’impatto ambientale.
Le aziende devono dunque innovare verso un packaging più sostenibile, e Comieco per supportarle in questo percorso mette a loro disposizione numerosi strumenti. «Nel corso degli anni abbiamo pubblicato diversi studi e linee guida per l’eco progettazione, tutti disponibili e scaricabili gratuitamente dal nostro sito – spiega Bono –; abbiamo costruito una banca dati sugli imballaggi sostenibili che riporta le più importanti buone pratiche di imballaggi che hanno ottenuto premi a livello nazionale e internazionale; abbiamo istituito il Bando, attivo da diversi anni, di Prevenzione Conai che premia quei packaging che hanno subito un processo di ottimizzazione. Ma svolgiamo anche attività di informazione e formazione per le imprese e abbiamo un canale aperto con diverse università che si occupano di questi temi, per essere sempre in prima linea sulla frontiera dell’innovazione».

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