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Segnali di ripresa: l’analisi dei bilanci delle aziende grafiche nel 2015

Pubblichiamo qui di seguito i risultati di uno studio pervenuto in redazione, fatto dallo Studio Della Rossa. 

Lo Studio, composto da padre e figlio, si occupa di processi organizzativi e sviluppo commerciale; le esperienze partono dal Gruppo Electrolux Zanussi per poi approdare nel mondo della stampa e delle aziende grafiche. Ha collaborato e collabora tuttora con qualificate realtà imprenditoriali sul territorio nazionale e ha pubblicato numerosi articoli e testi specialistici sulle riviste del settore.

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L’annuale analisi dei fatturati e della redditività delle aziende grafiche italiane per l’anno 2015 esprime un segnale positivo, dopo anni di calo e di una marcata tensione competitiva fra le imprese, fortemente condizionata dalla domanda dal mercato di una maggior customizzazione degli stampati e da processi di gestione sempre più serrati ed antieconomici.

Finalmente uno spiraglio di positività del nostro settore, tuttavia ancora influenzato dalla stagnazione economica e sostenuto solo in parte dallo sviluppo sui mercati internazionali dalle imprese strutturate per l’export; in diversi paesi i successi non sono mancati, soprattutto nei settori dove imprenditori, strutture commerciali ed i professionisti più dinamici si sono proposti con maggior determinazione e con investimenti commerciali.

Quindi nel nostro panel, formato da 450 aziende di grafica e stampa, se in passato il peso della diversificazione nella proposta di servizi innovativi aveva in parte compensato la perdita di fatturati dei tradizionali stampati commerciali ed editoriali, (il calo complessivo era risultato molto marcato, superiore al 5% annuo) i dati del 2014 avevano evidenziato una perdita di fatturati di solo il 2,5%, indicando in controtendenza per le imprese del settore pakaging ed etichette significativi segnali di ripresa.

Per il 2015 i risultati complessivi del nostro panel segnalano un fatturato complessivo di € 6.748.944.000, con una crescita pari allo 0,6%, rispetto l’anno precedente, quasi in linea con la crescita del PIL.

Questi i dati di confronto

Le aziende monitorate sono così localizzate: Nord, 79% – Centro e Sardegna, 16% – Sud, 5%

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La dimensione delle aziende grafiche del nostro panel vede una marcata crescita di quelle con fatturati importanti, a scapito di quelle di dimensioni contenute (piccole e medie).

La dimensione europea ottimale, di almeno 10.000.000 di € di fatturato è ancora lontana per oltre il 60% delle imprese del nostro settore, che quindi faticano non poco a trovare risorse per finanziare gli investimenti, condizionate da eccessivi costi burocratici e amministrativi, nell’impossibilità di realizzare economie di scala e nella meccanizzazione/informatizzazione dei processi.

Sul piano industriale è il sistema Italia delle imprese manifatturiere che risulta penalizzato dalla piccola dimensione: i dati di paragone con gli altri paesi europei e gli USA sono impietosi e vedono anche per il 2015 la crescita del GAP degli indici di produttività oraria delle aziende operanti nel nostro paese, rispetto agli altri sistemi industriali.

Questa è la segmentazione per fatturato delle nostre imprese grafiche e i caratteri dell’azienda media del nostro campione, che avvalorano le considerazioni espresse in precedenza.

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Rispetto le nostre analisi, svolte sui bilanci degli anni precedenti per le stesse aziende grafiche, constatiamo una discesa marcata del fatturato medio del nostro campione, generato in larga parte dai minori ricavi delle piccole e medie aziende del settore; il sistema industriale grafico vede un incremento dei profitti sul fatturato, una importante crescita della patrimonializzazione ed una limitata crescita della redditività sul capitale investito.

Sul totale delle aziende monitorate nel corso del 2015, il 61% incrementa il proprio fatturato, mentre 175 aziende (il 39%) diminuisce il proprio giro d’affari.

Sul totale di 450 aziende grafiche, 366 dichiarano utili (l’81%), mentre il 19% segnala bilanci in perdita; fra queste 13 aziende presentano una patrimonializzazione negativa.

Il trend dei valori di fatturato medio delle imprese monitorate è stato il seguente:

2011 – € 17.484.000
2012 – € 16.376.000 (-6,33%)
2013 – € 15.619,000 (-4,62%)
2014 – € 14.991.000 (-4,02%)
2015 – € 14.998.000 ( = = )

In conclusione una perdita del fatturato medio in cinque anni, pari a € 1.486.000, e quindi dell’8,5%.

Nell’analisi dei bilanci non vogliamo considerare in questa sede le negatività, ma far tesoro delle esperienze e delle capacità dei migliori. Questi imprenditori e manager hanno saputo gestire in tempi turbolenti i propri business con successo.

Lasciamo da parte dunque l’analisi dei sistemi organizzativi in difficoltà e concentriamo l’attenzione sulle 15 aziende che primeggiano, elencate dalla più performante in giù, su tre indicatori di valore:

  • l’incremento di fatturato sull’anno precedente
  • la redditività della gestione, o rapporto utile su fatturato
  • il fatturato per addetto per le aziende con più di 15 dipendenti

Sul piano economico-finanziario, tuttavia, i valori riportati richiederebbero maggiori approfondimenti, in quanto il posizionamento acquisito è l’istantanea di fine anno, un momento convenzionale della vita aziendale; quindi è il risultato di processi aziendali che, rispetto all’anno precedente, possono essere i più disparati, quali l’arrivo di nuovi investitori, lo scorporo o l’accorpamento di altre realtà industriali, la cessione o acquisizione di rami d’azienda o degli immobili di proprietà.

I dati consuntivi del 2015 vogliono offrire una panoramica dell’efficienza aziendale tout-court, con le 15 aziende leader nei tre parametri considerati.

Aziende grafiche database 2017-Aziende grafiche Stampa-1

 Aziende grafiche database 2017-Aziende grafiche Stampa-1

Aziende grafiche database 2017-Aziende grafiche Stampa-1

I dati del 2015 e le prime stime di chiusura del 2016 confermano gli orientamenti del mercato e della validità delle strategie delle aziende grafiche che lo presidiano: i trend fortemente condizionati dalla multimedialità nei processi di comunicazione e l’internazionalizzazione dei mercati sono fattori prioritari.

C’è la indispensabile necessità di recuperare competitività aziendale con l’innovazione e il lean management, sviluppare maggiormente il marketing e il web-to-print, investire nella digitalizzazione dei processi di stampa e possibilmente diversificare la produzione nel settore packaging: sono questi i nuovi valori sui quali cimentarsi per crescere.

Questi mega trend sono condizionati fortemente da un modello di consumo digitale, che si sta trasferendo in tutti i settori della domanda, soprattutto nel campo dei prodotti e servizi customizzati richiesti alle imprese grafiche che vivono dinamicamente i nuovi paradigmi economici.

Anche i primi dati di bilancio del 2016 delle aziende leader nel nostro settore stanno testimoniando, grazie ai risultati positivi, il valore delle scelte imprenditoriali innovative e degli investimenti tecnologici realizzati in questi anni.

In particolare sono oggi premiate, anche dalle decisioni governative sugli ammortamenti in impiantistica, le aziende evolute: queste sono state in grado di acquisire capacità e modelli gestionali per potersi inserire in reti internazionali, scambiandosi risorse, know-how, esperienze e capacità d’innovazione.

Concretamente integrarsi e operare fianco a fianco con fornitori di tecnologie, partner, professionisti e clienti che operano nei settori all’avanguardia, dove le competenze acquisite giornalmente fanno la differenza.

 

RM-L, un sistema di fresatura innovativo e robusto, da Zund

Questo mandrino dispone di una potenza di 3,6 kW e fresa in modo ancora più
efficiente acrilico, policarbonato, dibond, forex e MDF.
La quotidianità dell’attività di un fornitore di servizi grafici è variegata e stimolante. La varietà dei materiali utilizzati, dal plexiglas ai policarbonati, dall’alluminio al dibond o all’MDF o al legno, mette la lavorazione finale davanti a particolari sfide. Per questo Zünd risponde presentando un nuovo sistema di fresatura per fresare, levigare e incidere ad alta precisione e con efficienza materiali impegnativi. Il cuore del nuovo sistema è il potente e robusto mandrino di fresatura dotato di attacco utensile pneumatico, con una potenza di 3,6 kW a una coppia non superiore a 0,7 Nm. Questa forza di taglio unica offre
opportunità completamente nuove per quanto riguarda le prestazioni. La potenza di fresatura, che può raggiungere i 3,6 kW, consente la lavorazione di materiali duri a velocità di avanzamento e profondità di accostamento superiori, riducendo così il numero di passaggi di fresatura necessari e incrementando in modo significativo la produttività. Per garantire la massima efficienza, nel mandrino di fresatura è inoltre integrato un raffreddamento ad acqua. Un potente aspiratore di trucioli mantiene pulita la
postazione di lavoro e a sua volta incrementa ulteriormente la produttività.
Il nuovo sistema di fresatura è dotato di una Minimum Quantity Lubrication MQL. Questo sistema di lubrificazione trasporta il lubrificante al tagliente dell’utensile, riducendo efficacemente l’attrito e minimizzando il riscaldamento dell’utensile stesso. La Minimum Quantity Lubrication incrementa notevolmente la durata degli utensili aumentando allo stesso tempo la velocità di avanzamento e fresatura.
Un sistema intelligente di compensazione della superficie misura il materiale da lavorare e registra eventuali differenze di spessore che vengono compensate in modo affidabile nella lavorazione successiva. Ciò impedisce efficacemente, in particolare nel caso dei lavori di incisione, che si sviluppino differenze qualitative dovute al materiale, mentre nel processo di fresatura la compensazione superficiale garantisce la costanza della profondità di fresatura.
Le pinze ER-16 assicurano una centratura ottimale e forze di ritenuta molto elevate anche in caso di forti sollecitazioni. Per poter utilizzare frese con diametri dell’albero differenti si impiegano mandrini a pinza HSK-E25 con riduzione a cono, il che consente all’utente di usare un numero ancora maggiore di frese diverse con lo stesso modulo di fresatura.
Il cambiafresa automatica ARC HSK è responsabile della gestione delle frese. Il caricatore mette a disposizione fino a otto mandrini diversi. La sostituzione completamente automatica della fresa aumenta ancora nettamente il grado di automazione del cutter Zünd. Il tempo necessario per la sostituzione degli utensili viene ridotto drasticamente. Lo si nota soprattutto nel disbrigo di ordini di dimensioni ridotte o ridottissime, o anche nel corso di un lavoro di fresatura complesso che richiede spesso l’impiego di varie frese diverse. Combinato con l’RM-L, l’ARC assicura il massimo grado di efficienza e redditività nel processo di fresatura.

Il comparto delle etichette in Europa e le sue tendenze: il report Finat

All’ultimo convegno Gipea Elisabetta Brambilla, consigliere Gipea, ha fatto un intervento per mettere a conoscenza degli associati e dei presenti il risultato dell’indagine Finat che fotografa la situazione del comparto etichette in Europa e le sue tendenze.

L’indagine ha anche esaminato le prospettive dei converter del settore etichette per offrire soluzioni innovative:

1 – soluzioni di «cost saving» come l’uso di materiali più sottili

2 – stampa digitale e sistemi produttivi più efficienti

3 – soluzioni diversificate ampliando la gamma di prodotti e applicazioni (per esempio le etichette sleeve)

4 – soluzioni interne di «artwork design» in modo che il cliente non debba appoggiarsi a studi grafici esterni

5 – soluzioni tecnologiche di nuova generazione come Rfid, smart label e altre applicazioni di sicurezza

I fattori più salienti emersi dall’indagine Finat sono la crescita media dei fatturati (+8,4%), la diminuzione della tiratura media con stampa convenzionale (-22%), il punto di breakeven per la tiratura media con stampa convenzionale (1.498 m lineari).

Per tutti i dettagli lasciamo la parola alle slide.

Labanti e Nanni Industrie Grafiche: magazzino compattabile a scaffalature con basi mobili

Labanti e Nanni Industrie Grafiche, azienda attiva su tutto il territorio nazionale ed europeo e specializzata nel settore della stampa di dépliant, cataloghi, riviste e cartotecnica-packaging, ha inaugurato il nuovo magazzino di Anzola dell’Emilia realizzato da OM Still.

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Per soddisfare al meglio le esigenze di stoccaggio e movimentazione è stato progettato e realizzato un magazzino compattabile a scaffalature con basi mobili: vantaggioso in quanto costituito da un unico blocco compatto i cui scaffali possono essere aperti con un telecomando creando una corsia di passaggio nel momento in cui si effettua il prelievo o lo stoccaggio. Questa innovativa soluzione consente di eliminare le corsie tra gli scaffali, risparmiando circa il 65% dello spazio.

Il magazzino occupa una superficie di 1.320m2 ed è costituito da tre blocchi compattabili larghi 16 lunghi 20 e alti 6 metri, due dei quali per la materia prima e uno per il prodotto finito. A questi si aggiunge un blocco di scaffalature cantilever allestite per creare un piano unico di appoggio e utilizzabili per stoccare i prodotti che non possono essere contenuti nei bancali. Complessivamente il magazzino può ospitare 1.680bancali per la materia prima,1.020 bancali di prodotto finito e 212 m2 per lo stoccaggio su cantilever.

«Nell’ultimo decennio la società – spiega l’Ing. Antonio Bonacini, Presidente di Labanti e Nanni Industrie Grafiche e Cartotecniche – ha conosciuto una costante crescita in termini di fatturato, per assecondare questo sviluppo abbiamo deciso di realizzare un nuovo magazzino più capiente ed efficiente rispetto allo storico magazzino a blocchi di Crespellano. OM Still ci ha affiancato in tutto il percorso, sviluppando un progetto chiavi in mano e rivelandosi un partner prezioso per l’individuazione di soluzioni in grado di efficientare i nostri flussi logistici».

L’intero progetto del nuovo magazzino di Anzola dell’Emilia, dalla progettazione alla messa in opera, è stato sviluppato dalla Divisione Sistemi di OM Still, una speciale unità creata nel 2015 per offrire un supporto consulenziale nell’ambito delle soluzioni VNA per la movimentazione in corsie strette, dell’automazione e dell’approntamento e la gestione del magazzino. La Divisione Sistemi è cresciuta esponenzialmente e gestisce oggi oltre 200 progetti l’anno, ognuno sviluppato ad hoc in base alle specifiche esigenze del cliente.

Tutti i buoni motivi per scegliere la gamma di carte Colorplan

Shopping bag realizzati appositamente per l’evento di Firenze.

Il 1° dicembre 2016 si è tenuto il primo evento dedicato a Colorplan, denominato Paper in Colours, nella casa fiorentina della famiglia Perego: Perego Carta è il distibutore ufficiale, in Italia delle carte Colorplan. In questa originale occasione, il management di Perego Carta e di GF Smith hanno incontrato in un’atmosfera amichevole un selezionato gruppo di designer, grafici pubblicitari, aziende del settore grafico e cartotecnico e alcune note aziende di produzione. Per dare maggior servizio e avere una maggiore penetrazione sul mercato italiano, la Perego Carta Spa gestisce oggi a stock, nella serie plain, tutti i 50 colori, diventando così partner completo nella doppia veste di distributore e stocchista, e ha stretto accordi con agenti e sotto-distributori sul territorio nazionale.

L’evento di dicembre è anche stata l’occasione per lanciare il concorso firmato Colorplan dal titolo World’s Favourite Colour, apertosi ufficialmente a inizio gennaio, che durerà fino a primavera. È un modo per coinvolgere le persone e al tempo stesso per scoprire quale sia il colore di tendenza nel mondo, in particolare, dei grafici e i designer. Coinvolgendo, allo stesso tempo, l’opinione di tutto il resto del mondo che può esprimersi e lasciare il proprio segno. Facile e divertente, tutti sono invitati scegliere sul portale il colore preferito; tra coloro che avranno partecipato verrà scelta una persona che oltre a ricevere un prodotto cartotecnico personalizzato realizzato con la carta del colore scelto, terrà a battesimo quel colore, che conterrà il suo nome e vincerà un viaggio per due persone per visitare lo stabilimento dove viene realizzata la carta.

I motivi per scegliere Colorplan, in breve

  • 50 colori per un’ispirazione creativa
  • 8 grammature da 100 fino a 700 grammi
  • 25 goffrature
  • Disponibile anche per piccoli ordini
  • Personalizzazione su richiesta di colori, formati e grammature particolari
  • Servizi speciali: accoppiamento, buste personalizzate e fogli tagliati su misura
  • Alte prestazioni di stampa
  • Carta garantita per stampa digitale
  • Certificazione FSC

Tutti i dettagli sull’articolo di febbraio!

Fusione per incorporazione di Goglio Cofibox in Goglio

Fres-co Spready è un dispenser integrato per il settore alimentare (ma non solo) che si distingue per praticità, sicurezza, maneggevolezza e sostenibilità. Una confezione utile e leggera, studiata per mettere d’accordo consumatori tradizionali e utilizzatori più moderni. L’innovativa soluzione – ottenuta con un laminato duplice, semplificato ma molto efficace, composto unicamente da film di polietilene – è frutto del lavoro del Team R&D di Goglio e risulta competitiva sia dal punto di vista economico che del servizio offerto: garantisce infatti la perfetta conservazione dell’alimento, proteggendolo da umidità e ossigeno grazie all’impiego di un’esclusiva laccatura barriera. Pensato per il formaggio grattugiato, Fres-co Spready è versatile e può essere applicato a diversi prodotti alimentari, come le guarnizioni per i dolci, le spezie o la farina di mais per la polenta, oltre ad altri settori non food (sementi, concimi o prodotti granulari da spargere). Nella parte superiore, sotto a una protezione igienica e sicura, Goglio ha realizzato due fori che servono per dosare e spargere il prodotto contenuto senza la necessità di dispositivi ausiliari. Grazie alla sagomatura della confezione, che si traduce in una comoda impugnatura, l’utilizzatore può inclinare il pack e spargere il prodotto sul piatto o nella ricetta in modo uniforme, senza sprechi e senza sporcare. La busta può inoltre essere richiusa in modo sicuro: il formaggio può essere conservato fino al successivo utilizzo senza ricorrere alle tradizionali mollette o alle richiusure in plastica. Fres-co Spready è riciclabile e rilavorabile, in quanto deriva da un’unica famiglia di materiali. Soddisfa inoltre i requisiti di sostenibilità poiché la confezione vuota pesa circa il 50% in meno di quelle attualmente presenti sul mercato, permettendo così un notevole risparmio di materia prima. Un’ulteriore conferma degli evidenti vantaggi del packaging flessibile rispetto al packaging tradizionale: minori costi di stoccaggio e trasporto prima del riempimento e di smaltimento dopo l’utilizzo.
Fres-co Spready è un dispenser integrato per il settore alimentare (ma non solo) che si distingue per praticità, sicurezza, maneggevolezza e sostenibilità. Una confezione utile e leggera, studiata per mettere d’accordo consumatori tradizionali e utilizzatori più moderni. L’innovativa soluzione – ottenuta con un laminato duplice, semplificato ma molto efficace, composto unicamente da film di polietilene – è frutto del lavoro del Team R&D di Goglio e risulta competitiva sia dal punto di vista economico che del servizio offerto: garantisce infatti la perfetta conservazione dell’alimento, proteggendolo da umidità e ossigeno grazie all’impiego di un’esclusiva laccatura barriera. Pensato per il formaggio grattugiato, Fres-co Spready è versatile e può essere applicato a diversi prodotti alimentari, come le guarnizioni per i dolci, le spezie o la farina di mais per la polenta, oltre ad altri settori non food (sementi, concimi o prodotti granulari da spargere). Nella parte superiore, sotto a una protezione igienica e sicura, Goglio ha realizzato due fori che servono per dosare e spargere il prodotto contenuto senza la necessità di dispositivi ausiliari. Grazie alla sagomatura della confezione, che si traduce in una comoda impugnatura, l’utilizzatore può inclinare il pack e spargere il prodotto sul piatto o nella ricetta in modo uniforme, senza sprechi e senza sporcare. La busta può inoltre essere richiusa in modo sicuro: il formaggio può essere conservato fino al successivo utilizzo senza ricorrere alle tradizionali mollette o alle richiusure in plastica. Fres-co Spready è riciclabile e rilavorabile, in quanto deriva da un’unica famiglia di materiali. Soddisfa inoltre i requisiti di sostenibilità poiché la confezione vuota pesa circa il 50% in meno di quelle attualmente presenti sul mercato, permettendo così un notevole risparmio di materia prima. Un’ulteriore conferma degli evidenti vantaggi del packaging flessibile rispetto al packaging tradizionale: minori costi di stoccaggio e trasporto prima del riempimento e di smaltimento dopo l’utilizzo.
Fres-co Spready è il prodotto firmato Goglio che ha permesso all’azienda comasca di vincere l’Oscar dell’Imballaggio 2016, un’edizione dedicata interamente al tema della sostenibilità. È un dispenser integrato per il settore alimentare (ma non solo) che si distingue per praticità, sicurezza, maneggevolezza e sostenibilità. Per leggere tutto: https://www.italiagrafica.com/oscar-dellimballaggio-i-vincitori-2016/

È stato stipulato il 19 dicembre 2016 l’atto di fusione per incorporazione di Goglio Cofibox S.p.A. in Goglio S.p.A, il cui progetto era stato approvato dai rispettivi Consigli di Amministrazione.

Entrambe le società, parte del Gruppo internazionale di cui Goglio S.p.A. è capogruppo, operano nel settore del packaging con una reciproca collaborazione già attiva nella produzione e nei servizi generali.

Da decenni presente sul mercato Goglio Cofibox, con sede a Cadorago (Como), è cresciuta con il confezionamento del caffè e ha diversificato il proprio business, sviluppando la produzione di etichette e sleever per bottiglie di acqua minerale e bevande.

L’operazione è finalizzata a ottenere una razionalizzazione della gestione economica, finanziaria e amministrativa e permetterà di raggiungere economie di scala anche attraverso l’unificazione degli organi amministrativi e di governo e controllo.

Tale fusione consentirà la centralizzazione della funzione acquisti, la razionalizzazione organizzativa principalmente in ambito Environment, Health & Safety, amministrazione e controllo, gestione dei sistemi informatici, ricerca e sviluppo nonché della gestione della qualità.

Goglio S.p.A. inoltre subentrerà senza soluzione di continuità in tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo alla società incorporata.

«La fusione, con effetto dal 31/12/2016, rappresenta un passaggio essenziale per migliorare l’efficienza del Gruppo cui appartengono entrambe le società, oltre ai risultati economici, finanziari e patrimoniali» afferma Franco Goglio, Presidente e Amministratore Delegato.

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Fondata nel 1850 a Milano, Goglio oggi opera nel settore dei sistemi completi di confezionamento in imballaggi flessibili. È partner delle più importanti realtà industriali a livello mondiale grazie a innovazione, servizio e qualità dei propri prodotti. Il Gruppo conta oltre 1.600 dipendenti e un fatturato di circa 380 milioni di euro (anno 2016), con una quota export del 73%.

Cuore dell’offerta Goglio è Fres-co System®, il marchio che definisce il business model del Gruppo: laminati flessibili alta barriera, accessori plastici come valvole e spout, linee di confezionamento e assistenza costituiscono il Sistema integrato Goglio. Gli elementi di Fres-co System® operano in sinergia per ottimizzare le performance di processo e soddisfare necessità di confezionamento specifiche.

Esperienza e know-how applicate a svariate tipologie di prodotti fanno del Gruppo Goglio un vero e proprio punto di riferimento in molteplici settori: caffè, alimentari confezionati in asettico o hot-fill, sterilizzabili, beverage, pet food, cosmetici e detergenti, prodotti industriali, chimici e farmaceutici.

Goglio è presente nel mondo con dieci stabilimenti produttivi e otto sedi commerciali e di assistenza con propri magazzini dislocati in Europa, America e Asia.

DPI o PPI? Il problema: la risoluzione

Uno dei classici bias del mondo grafico: le immagini per lo schermo e il Web vanno a 72 dpi. A parte l’errore dell’unità di misura, non ha senso parlare di quanti pixel stiano in un pollice (che è un’unità di misura fisica) quando l’immagine viene visualizzata su schermi (composti da pixel). In figura si vede come l’immagine sia a tutto schermo su due display che supponiamo avere la stessa risoluzione video di 1.920×1.080, e quindi non sia possibile avere su entrambi contemporaneamente la «risoluzione» di 72 ppi. Già a livello di logica qualcosa non torna.

Uno degli argomenti più critici del Desk Top Publishing è, da sempre, la risoluzione. Sigle come PPI e DPI sono presenti quotidianamente nella vita di grafici (nel senso più ampio possibile del termine) e operatori di stampa/prestampa, ma anche addetti al marketing (anche qui in senso molto ampio) e, purtroppo, una miriade di altri personaggi di varia estrazione che ne fanno un uso più o meno improprio, generando complicazioni a non finire.

Nel corso degli ultimi 25 anni, cioè da quando incontrai questo concetto la prima volta, ne ho lette di tutti i tipi, anche su manuali, libri e riviste dove avrei dovuto trovare spiegazioni corrette, per cui non è particolarmente sorprendente il perdurare di una tale confusione a riguardo; situazione tipica di quando si riportano valori o nozioni senza parlare del perché, se solo si ragionasse su alcuni dati si comprenderebbe in autonomia che alcune cose non hanno molto senso.

Quello che di recente mi ha sorpreso di più, e che mi ha spinto a scrivere queste righe, è che anche i software professionali utilizzino alternativamente queste unità di misura senza un coerente filo logico, contribuendo non poco ad alimentare uno status di per sé piuttosto confuso.

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Una schermata alquanto discutibile presente sull’attuale versione di Photoshop CC in inglese dove vengono espressi in DPI valori che dovrebbero essere definiti in PPI. Inoltre le associazioni DPI/Dispositivo sono errate e sembrano proprio messe lì a caso secondo le più sterili convenzioni del mondo grafico (la risoluzione in pixel di un iPhone 6 plus per esempio non è 72, mentre uno standard HDTV da 1.920×1.080 non ha alcuna risoluzione trattandosi di una dimensione).

Esempi emblematici di questa confusione? Le varianti naturalmente possono essere moltissime ma se frequentate l’ambiente, forum di settore o gruppi specifici su Facebook sono sicuro ne avrete molti.

Solo alcuni esempi per dare un’idea:

  • per il Web le immagini vanno a 72 dpi
  • l’immagine non è a 300 dpi quindi in stampa non viene bene
  • la stampante stampa a 1.200 dpi quindi preparo l’immagine a 1.200 dpi

Ovviamente si tratta di tre, passatemi il termine, boiate colossali.

Uno dei classici bias del mondo grafico: le immagini per lo schermo e il Web vanno a 72 dpi. A parte l’errore dell’unità di misura, non ha senso parlare di quanti pixel stiano in un pollice (che è un’unità di misura fisica) quando l’immagine viene visualizzata su schermi (composti da pixel). In figura si vede come l’immagine sia a tutto schermo su due display che supponiamo avere la stessa risoluzione video di 1.920×1.080, e quindi non sia possibile avere su entrambi contemporaneamente la «risoluzione» di 72 ppi. Già a livello di logica qualcosa non torna.
Uno dei classici bias del mondo grafico: le immagini per lo schermo e il Web vanno a 72 dpi. A parte l’errore dell’unità di misura, non ha senso parlare di quanti pixel stiano in un pollice (che è un’unità di misura fisica) quando l’immagine viene visualizzata su schermi (composti da pixel). In figura si vede come l’immagine sia a tutto schermo su due display che supponiamo avere la stessa risoluzione video di 1.920×1.080, e quindi non sia possibile avere su entrambi contemporaneamente la «risoluzione» di 72 ppi. Già a livello di logica qualcosa non torna.

Definizione di risoluzione

Se domandate a un gruppo di operatori grafici o designer una definizione sintetica di risoluzione, la più corretta che probabilmente sentirete è: «quantità di pixel o punti per pollice».

Di per sé funziona, personalmente specificherei «… per pollice lineare» dato che in più occasioni ho trovato operatori che pensavano a un’area di un pollice quadrato anziché a un lato, ma formalmente non sarebbe necessario.

Sarebbe però opportuno distinguere il concetto di risoluzione in almeno sette varianti, dato che viene usato sempre lo stesso termine (e spesso unità di misura) ma i contesti cambiano sensibilmente:

  1. Risoluzione di Input
  2. Risoluzione di Output
  3. Risoluzione Video
  4. Risoluzione di Stampa
  5. Risoluzione Ottica
  6. Risoluzione Meccanica
  7. Risoluzione Interpolata

Le risoluzioni ottica, meccanica e interpolata sono risoluzioni legate all’ambito delle acquisizioni a scanner, poco significative per questo articolo ma inserite per completezza nel quadro.

Anche qui il valore più alto non è necessariamente il più significativo (tipicamente l’interpolato) e l’unico realmente interessante è quello legato alla risoluzione ottica.

La risoluzione di input

Si esprime in PPI, cioè Pixel per Pollice (come tutte le risoluzioni direttamente legate all’immagine digitale e non alla stampa), ed è un valore scarsamente utile.

Prendiamo per esempio uno scatto fotografico digitale da 12 Megapixel: per aderire ai parametri essenziali che la definiscono dovrà avere dei valori di base e altezza (supponiamo 4.000×3.000 pixel), un Metodo colore (RGB), una profondità colore (facciamo 8 bit per canale) e una risoluzione.

Dato che le dimensioni sono espresse in pixel. il valore di risoluzione non impatta in alcun modo sul peso dell’immagine, avrebbe senso solo qualora la si volesse stampare, ma dato che stiamo parlando di un’immagine digitale che per il momento potrebbe anche restare digitale. questo valore non ha alcuna importanza.

Quindi un’immagine da 4.000×3.000 pixel a 72 pixel per pollice (pixel, l’immagine digitale è fatta da pixel, non dot, 72 dpi è sbagliato, casomai sono 72 ppi) ha le stesse informazioni (pixel) di una a 300 pixel per pollice, o a 4.350 ppi, o 96 ppi… e di conseguenza anche il peso è esattamente lo stesso, così come l’ingombro dell’immagine visualizzata su uno schermo al 100% di zoom.

L’unica cosa che cambia sarebbero le dimensioni di stampa, ma questa è la risoluzione di Input, un valore iniziale che deve esserci solo per onor di parametro, di fatto non ha alcuna utilità.

I dati immagine di due file identici, con lo stesso contenuto e le stesse dimensioni in pixel, in cui è stato cambiato il solo valore di risoluzione portandolo da 72 a 300 ppi: il peso non è cambiato, le dimensioni fisiche si, in maniera inversamente proporzionale alla risoluzione.
I dati immagine di due file identici, con lo stesso contenuto e le stesse dimensioni in pixel, in cui è stato cambiato il solo valore di risoluzione portandolo da 72 a 300 ppi: il peso non è cambiato, le dimensioni fisiche si, in maniera inversamente proporzionale alla risoluzione.

Il problema tipico generato da chi fa confusione con questa risoluzione?

«L’immagine che mi hai inviato è a 72 dpi (!) quindi è in bassa risoluzione, mi serve in alta».

Al di là dell’unità di misura errata qui l’errore più grossolano è valutare la qualità o l’adeguatezza di un’immagine guardando il solo valore di risoluzione, ed è purtroppo molto frequente: o si considerano i pixel di base e altezza, oppure i cm/pollici e il valore di risoluzione.

La risoluzione di output

Si esprime in PPI ed è quella a cui si fa riferimento più comunemente quando si parla di risoluzione in senso generico e, soprattutto, quella che la maggior parte delle volte viene espressa in DPI (Dot per Inch, il Dot è propriamente il punto stampa).

Trattandosi di Output mette in relazione l’unità di misura digitale (i pixel) con l’unità di misura fisica (cm o pollici) ed è l’unico valore che conta quando si invia in stampa un’immagine raster, quindi, tornando alla nostra immagine da 4.000×3.000 pixel un conto è mandarla in stampa a 50 ppi (risulterebbe 2×1,5 m), un altro è stamparla a 300 ppi (poco più grande di un A4).

Software come Photoshop, Indesign, Illustrator, giusto per citarne alcuni, restituiscono informazioni dettagliate riguardo queste correlazioni (Finestra>Dimensione Immagine per PS, pannello info e barra delle Opzioni per gli altri due) e, correttamente, parlano sempre di pixel per pollice.

Quindi perché molti si ostinano a utilizzare DPI anche quando è evidente che si tratta di PPI? Sostanzialmente per abitudine, trattandosi però di tematiche tecniche non andrebbero scambiate le unità di misura con tanta leggerezza perché poi si dà luogo a incomprensioni e fraintendimenti che di professionale hanno ben poco.

La risoluzione video

Tra tutte è l’unica che non mette in relazione i pixel con il mondo fisico: la risoluzione video è de facto una dimensione e non un rapporto. Un esempio?

Uno schermo FullHD ha risoluzione (video) 1.920×1.080 pixel.

E perché non si parla di dimensione allora?

Perché con questa informazione nulla si sa sulla grandezza dello schermo ed è ormai consuetudine considerare «dimensione» la lunghezza della diagonale espressa in pollici, tanto è vero che se vi rivolgeste a un commesso per acquistare un televisore gli dareste, che so, una grandezza di 60’’, non 1.920×1.080 (perché in caso ne seguirebbe la domanda: e quanto grande lo vuole? Da che distanza lo guarda?).

In questo caso la risoluzione video è, sì, significativa, ma è una variabile molto meno discriminante della lunghezza della diagonale.

È importante per un grafico?

Sì, lo è se la destinazione dei nostri contributi raster è uno schermo, quindi chi prepara pubblicazioni elettroniche, interfacce grafiche per mobile/tablet e presentazioni da proiettare per esempio in una fiera, dovrà considerare solo la grandezza in pixel del materiale prodotto, la risoluzione non avrà alcun impatto sull’aspetto finale (vedi “risoluzione di input”).

Si potrebbero incontrare eccezioni a quanto ho appena scritto nell’ultimo paragrafo in quanto alcuni software attivano dei processi di ridimensionamento se le immagini inserite riportano una risoluzione di input di 72 ppi (o altri valori notevoli); questi sporadici meccanismi preventivi, alquanto fuorvianti a mio avviso, sono stati introdotti proprio per cercare di compensare le carenze tecniche dell’operatore nei processi di produzione, ma non fanno che sostituire un errore con un altro.

La risoluzione di stampa

Questa è l’unica che non viene definita in PPI. Può trattarsi di DPI nel caso della stampa digitale (inkjet, laser ecc…) o di LPI cioè Linee per pollice (per la definizione del retino in stampa tipografica), ma con l’immagine digitale non ha niente a che fare, e di fatto descrive soltanto il livello di definizione con cui il mezzo può stampare qualcosa, anche quando il mezzo è spento e staccato dalla corrente.

Se abbiamo quindi una stampante inkjet che può stampare a 2.880×2.880 DPI questo è vero anche se la stampante è ancora imballata, è una sua caratteristica qualitativa, e a quella risoluzione posso mandare in stampa anche un file TXT dove, trattandosi di un contenuto testuale, non viene richiesta alcuna risoluzione di output.

Non esiste una singola regola di corrispondenza diretta tra PPI e DPI, ce ne sono molteplici e hanno a che fare con il mezzo di stampa usato di volta in volta: anche di questo facciamo un esempio pratico (molto semplificato).

Vogliamo stampare a massima qualità una cartolina 18×13 cm utilizzando il meglio possibile:

a) una stampante fotografica Epson

b) una stampante fotografica HP

Ho preso questi brand a solo titolo esemplificativo e solo perché le testine utilizzano tecnologie (e quindi driver) diverse, fornendo così valori consigliati leggermente diversi.

Le stampanti Epson hanno generalmente risoluzioni di stampa multiple di 360: 720, 1.440, 2.880 DPI; le stampanti HP invece hanno numeri più «tondi»: 300, 600, 1200, 2.400 DPI (i valori in grassetto sono quelli che prenderemo in considerazione nell’esempio che segue).

Quanti pixel deve fornire la cartolina 18×13 per sfruttare al massimo la qualità fornita dal mezzo di stampa?

Per Epson il valore massimo suggerito è di 360 PPI mentre per HP è 300 PPI, sempre a dimensioni reali (a meno che non sia cambiato qualcosa negli ultimi tempi a mia insaputa naturalmente), quindi per la Epson le dimensioni in pixel massime saranno 2.551×1.843 mentre per le HP saranno 2.126×1.535.

Le dimensioni dell’immagine 18×13 cm che manderò in stampa su una inkjet fotografica Epson saranno al massimo quelle indicate in figura, valori maggiori saranno inutili e, anzi, potenzialmente peggiorativi, anche se a livello percettivo dubito si coglieranno differenze.
Le dimensioni dell’immagine 18×13 cm che manderò in stampa su una inkjet fotografica Epson saranno al massimo quelle indicate in figura, valori maggiori saranno inutili e, anzi, potenzialmente peggiorativi, anche se a livello percettivo dubito si coglieranno differenze.

In nessun caso si imposterà un’immagine 18×13 cm a 4.800 ppi perché non c’è una corrispondenza biunivoca tra un pixel e un punto stampa (Dot), e anche in stampa tipografica ad altissime lineature con retini stocastici non ci sono motivi significativamente sensati per superare i 400 ppi, se non altro per questioni percettive legate al potere risolvente dell’occhio umano (tematica che sarà oggetto di un prossimo articolo su queste pagine).

Un pixel può assumere mediamente un colore arbitrario tra 16,7 milioni e la sua rappresentazione a schermo è strutturata su tre subpixel RGB (solo sintesi additiva), in stampa invece abbiamo, quando va bene, 5 colori e 4 neri (C, M, Y, C chiaro, M chiaro, K, K chiaro, K chiarissimo, a volte ci sono K diversi per stampe Matte e Photo, e a volte vengono introdotti inchiostri diversi come Arancioni, Verdi e Viola, composti secondo sintesi additiva e sottrattiva miste), di sicuro arriviamo a malapena a 8 tinte comprese quelle primarie schiarite, figuriamoci 16 milioni…

Fare confusione in questo ambito porta a equiparare i DPI di stampa con i DPI (sbagliati) dell’immagine digitale, creando magari immagini spropositatamente grandi che poi in stampa non solo impiegano tempi biblici a essere processate, ma soprattutto (ed è la beffa oltre al danno) hanno qualità minore di un file «giusto» perché tutti i dati che il driver ritiene superflui vengono scartati, togliendo di fatto dettaglio.

Ci tengo a specificare che i soli numeri delle risoluzioni di stampa qui riportati non sono significativi di minore o peggiore qualità di riproduzione, anche perché prima di «spaccare il pixel in quattro» è opportuno che l’immagine in questione sia corretta e dettagliata: un’immagine sfocata in partenza non potrà essere stampata dettagliata, come si suol dire in inglese: Garbage In? Garbage Out!

Si potrebbe approfondire la risoluzione di stampa ancora a lungo ma per questo ci sono manuali e pubblicazioni specifici, argomenti come il dithering, i retini tipografici, le stampe a sublimazione ecc… non sono sintetizzabili in poche righe a scapito di grossolane ed eccessive semplificazioni.

Conclusioni (per ora)

Questo specchietto dovrebbe servire a fare un po’ di chiarezza ma, come anticipato in apertura, lo scambio di unità di misura non è infrequente nemmeno tra i software professionali, e alcune denominazioni recenti come «HiDpi» coniata per definire i display ad alta densità di pixel (tipo i Retina Display di Apple) non aiutano di certo a dissipare la confusione.

Anche alcuni grossi stampatori online hanno deliberatamente scelto di mantenere DPI al posto di PPI nelle istruzioni al consumatore adeguandosi all’unità di misura più diffusa anche se non propriamente corretta.

E quindi?

Purtroppo le cose non cambieranno dall’oggi al domani, è quindi opportuno che gli addetti ai lavori conoscano bene queste differenze per capire quando questi termini vengono usati in maniera propria e quando invece no: molti clienti profani si improvvisano grafici perché «tanto non ci vuole niente», ma le basi tecniche dell’immagine digitale non sono un’opzione per chi ci lavora sul serio.

Nei prossimi numeri tratterò il perché della leggenda dei 72 PPI (valore inutile quanto ridicolmente attuale) e quali risoluzioni di output servano in funzione delle destinazioni d’uso. Molti libri hanno tabelline di riferimento con valori suggeriti in base alle dimensioni di stampa ma l’unica questione importante è legata all’unico destinatario di questi prodotti: l’uomo e il dettaglio che può risolvere a una data distanza.

Cambio di direzione in Assografici: un saluto e un ringraziamento a Claudio Covini

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Dopo 18 anni di direzione Claudio Covini lascia Assografici e va… in pensione!  Assunta la carica di Direttore nel maggio del 1998 dopo anni di esperienza nel mondo confindustriale, Covini ha lavorato con sei Presidenti, da Gajani a Piovano, da Spada a Capodieci, da Colombo all’ultimo in ordine di arrivo, Pietro Lironi. Covini resterà ancora qualche mese in affiancamento al nuovo Direttore per un opportuno  passaggio di consegne, in modo da rendere più agevole l’inserimento in una realtà composita e diversificata quale è il mondo Assografici.

Dal primo gennaio 2017 la carica passa ufficialmente a Maurizio D’Adda, 47 anni, laurea in Economia alla Bocconi. Dopo significative esperienze in RCS come responsabile marketing de La Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera, ha lavorato al Sole 24Ore come direttore marketing e system per poi approdare a Periodici S. Paolo in qualità di direttore generale. Infine ha collaborato in Fieg per la realizzazione di una nuova società incaricata di sviluppare il progetto di informatizzazione delle edicole. In forza di un Accordo tra Assografici e Unione Grafici Milano, egli assumerà anche la direzione di quest’ultima Associazione.

A Claudio Covini, da parte dello staff di Italia Grafica, un grazie e un in bocca al lupo per la sua vita! A Maurizio D’Adda un caloroso benvenuto e auguri di buon lavoro!

Kba: Christoph Müller subentra nella direzione a Claudio Bisogni

A destra Christoph Müller Amministratore Delegato della KBA-Digital & Web Solutions di Würzburg, che dal 1 gennaio 2017 ha preso la posizione di Managing Director di KBA-Flexotecnica S.p.A. di Tavazzano da Claudio Bisogni.
A destra Christoph Müller Amministratore Delegato della KBA-Digital & Web Solutions di Würzburg, che dal 1 gennaio 2017 ha preso la posizione di Managing Director di KBA-Flexotecnica S.p.A. di Tavazzano da Claudio Bisogni.
A destra Christoph Müller Amministratore Delegato della KBA-Digital & Web Solutions di Würzburg, che dal 1 gennaio 2017 ha preso la posizione di Managing Director di KBA-Flexotecnica S.p.A. di Tavazzano da Claudio Bisogni.
A destra Christoph Müller Amministratore Delegato della KBA-Digital & Web Solutions di Würzburg, che dal 1 gennaio 2017 ha anche assunto il ruolo di Managing Director di KBA-Flexotecnica S.p.A. di Tavazzano lasciato da Claudio Bisogni.

In linea con l’intento di Koenig & Bauer AG (KBA) di concentrarsi maggiormente sul mercato in espansione dei packaging, con la fine dell’anno si è avuto un avvicendamento nella direzione della società affiliata KBA-Flexotecnica S.p.A. di Tavazzano, nei pressi di Milano, specializzata nel settore di mercato dei packaging flessibili.

Con il 4 gennaio 2017, Christoph Müller, amministratore delegato della KBA-Digital & Web Solutions AG & Co. KG, con sede all’interno degli head quarter di KBA a Würzburg, e membro della direzione del gruppo, ha accettato l’incarico di Managing Director di KBA-Flexotecnica S.p.A., che svolgerà insieme alle sue precedenti mansioni. Claudio Bisogni, che ha guidato l’impresa con grande dedizione prima e dopo il suo rilevamento da parte di Koenig & Bauer nel dicembre 2013, ha lasciato l’azienda alla fine del 2016 per intraprendere nuove strade professionali.

Con la nuova direzione di KBA-Flexotecnica S.p.A. si prevedono una maggiore collaborazione tra gli stabilimenti e un migliore sfruttamento delle risorse tecniche e del personale nella sede principale. Per l’anno venturo, Koenig & Bauer sta pianificando la costruzione di un centro dimostrazioni presso lo stabilimento di Würzburg, ottimamente raggiungibile dall’aeroporto di Francoforte, per creare possibilità di presentazione al passo con i tempi alle straordinarie rotative flessografiche di Tavazzano e ad altre linee di prodotti. Inoltre, se la domanda continua a crescere, si prende in considerazione anche il montaggio delle flessografiche a tamburo centrale costruite in Italia per i packaging flessibili.

 

Stampa diretta su contenitore o etichette tradizionali?

Il futuro dell’etichettatura e l’emergenza del Direct-to-Package Printing.

Come le tendenze dei consumatori guidano oggi il branding e il marketing? Come le nuove opzioni decorative accrescono le possibilità creative dei designer d’imballi? Quali sono i progressi in corso nella produzione di etichette autoadesive, come la crescita del packaging flessibile e i problemi di sostenibilità guidano le decisioni dei creativi?

Secondo i risultati di un sondaggio relativo al settore cibo e bevande si registra uno spostamento delle tecnologie di decorazione degli imballi verso la stampa diretta a detrimento dei sistemi di etichettatura, pur rilevando che le etichette termoretraibili siano in crescita rispetto a quelle autoadesive e a colla. Ciò è dovuto all’attuale tendenza verso la personalizzazione del packaging nonché alla proliferazione dei prodotti e alle tirature sempre più brevi. Un’ulteriore analisi dei risultati del sondaggio mostra un possibile vantaggio in futuro per il direct-package printing online e on-demand rispetto agli imballi prestampati. Un’alta percentuale degli intervistati (41%) ha confermato la validità dell’etichettatura a colla per applicazioni correnti specialmente negli impianti di confezionamento dotati di etichettatrici veloci a bobina per contenitori di forma cilindrica come bottiglie di vetro o plastica e barattoli metallici per alimenti. Le etichette autoadesive mantengono ancora la maggioranza del mercato, ma le previsioni per i prossimi due anni da parte dei brand owner delle aziende alimentari sono in favore della stampa diretta dell’imballo.

Questo provocatorio argomento coinvolge gli operatori di stampa e converting, i print buyer, i brand owner e – non ultimi – i consumatori in un mercato in fase di cambiamento. Tra questi, Timothy Bohlke, marketing innovation manager di Avery Dennison e Jim Warner, creative and strategic leader di JW3D LLC. Entrambi hanno esplorato gli aspetti salienti del confronto durante il convegno a margine dell’esposizione EastPack 2016 di New York lo scorso giugno.

È chiaro – secondo Warner – che le autoadesive o le shrink sleeve non sono affatto etichette obsolete da scartare; si tratta solo di considerare che può esserci spazio, in certe condizioni, per altri tipi di decorazione/identificazione degli imballi.

I sistemi di stampa

Certamente le etichette «in-mould» (a inclusione) costituiscono già oggi un sistema di identificazione innovativo in forte crescita per particolari tipi di contenitori come vassoi, scatole, vaschette, in quanto includono l’etichetta in fase di formatura (termica, o a iniezione) del contenitore stesso. L’azienda inglese Discovery Flexibles ha presentato un sistema in attesa di brevetto che supera la tecnologia in-mould in quanto esegue direttamente la stampa interna o esterna del contenitore in fase di formatura. Denominato Print & Form, il sistema permette di ottenere una decorazione a colori molto brillante durante il processo di termoformatura con eccellenti risultati estetici. Intervistato in merito a questa novità, Jimmy Urquhart, general manager di Discovery Flexibles, non ha dato molte spiegazioni sul processo, che è ancora patent-pending, tuttavia ha dichiarato che, dopo circa un anno di impiego sperimentale, sono state attuate alcuna modifiche e che si tratta esclusivamente di stampa rotocalco di alta qualità basata sull’esperienza della sua azienda in oltre 60 anni nella stampa industriale di imballaggi flessibili. La gamma dei materiali utilizzabili è molto ampia: Apet, Rpet, PVC, PP e Cpet in spessori da 400 micron a 1 mm ed è possibile stampare fino a nove colori.

Un altro sistema emergente di stampa diretta dei contenitori si basa sulla tecnologia 3D che, fino a ora, utilizzava l’etichettatura tradizionale per decorare gli elementi d’imballo creati con il sistema tridimensionale. Oggi è possibile creare componenti o imballi completi stampati a più colori in un unico passaggio contestualmente alla formazione 3D. 3D Systems è un’impresa che fornisce progettazione digitale e soluzioni produttive, tra cui stampanti 3D, materiali di stampa, componenti personalizzati e il sistema 3D ColorJet Printing (CJP). Questa tecnologia utilizza una testina di stampa inkjet che aggiunge colore liquido sullo strato di materiale in polvere in sezioni trasversali per creare imballaggi colorati o elementi d’imballo decorati. Combinando quattro testine di stampa CJP per i colori Cyan, Magenta, Giallo e Nero (Cmyk) è possibile disporre dell’intera gamma colori per riprodurre quasi ogni imballaggio stampato in un unico passaggio risparmiando tempo, sforzi e costi eliminando la fase secondaria di decorazione.

Serigrafia, tampografia, stampa a sublimazione

Prendendo spunto da quanto emerso nel convegno a EastPack 2016, ritengo utile ricordare che la stampa diretta sui contenitori è già in uso da molto tempo mediante la serigrafia, la tampografia e – più recentemente – la stampa transfer a sublimazione. In particolare la serigrafia viene usata per la decorazione/personalizzazione di oggetti di piccole dimensioni e contenitori per cosmetici e profumi, ma anche di bottiglie di detergenti, bibite e liquori (figure sotto).

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La tampografia è utilizzata principalmente nel caso di forme e superfici irregolari di flaconi e tubetti (figura sotto), ma è oggi in parte sostituita dalla stampa a sublimazione tridimensionale.

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Si tratta di una stampa a trasferimento che consente di decorare un gran numero di oggetti dalle geometrie irregolari e complesse con immagini in quadricromia ad alta definizione combinando in perfetto equilibrio pressione, calore e tempo. I pigmenti sublimatici passano allo stato gassoso quando la temperatura supera i 130° C. e migrano verso la superficie dell’oggetto da decorare; la pressione esercitata sull’oggetto mediante il vuoto pneumatico mentre è riscaldato nel forno imprigiona la stampa sulla superficie del materiale. Il tempo di applicazione è determinato dalla tipologia del materiale da stampare e dalle dimensioni dell’oggetto da decorare. Questa tecnica innovativa può essere usata su svariati materiali, a condizione che gli stessi possano resistere all’alta temperatura e alla forte pressione: plastica termoresistente, metallo, vetro, ceramica, legno, marmo, cuoio, madreperla.

Grazie ai pigmenti usati, particolarmente sottili, la stampa risulta limpida e trasparente e l’immagine su metallo sembra metallizzata, quella su madreperla diventa iridescente, mentre sul vetro lascia intravedere con eleganza il contenuto. I campi di applicazione sono molteplici: oltre agli imballaggi, oggetti casalinghi e di arredamento, come coperchi, maniglie, tappi, posate, bigiotteria, bottoni, gadget ecc. per i settori della profumeria, della cosmesi, della moda e della pubblicità (figura sotto).

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Oggetti decorati con stampa transfer a sublimazione.
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La sequenza operativa del trasferimento immagine con il film PoliJetGold 3D, in figura.

Il sistema utilizza il film PoliJetGold 3D studiato e prodotto dalla società italiana Policrom Screens per trasferire immagini policrome su svariati tipi di oggetti. Il film viene stampato con la tecnologia inkjet piezo utilizzando inchiostri sublimatici a base acquosa. Mentre la carta sublimatica può adattarsi solo a forme piane o cilindriche, il film PolijetGold 3D aderisce perfettamente a oggetti di qualsiasi forma, sulla cui superficie trasferisce, per sublimazione, ogni tipo d’immagine a 360 gradi.