Packaging

Giflex, il nuovo approccio del flessibile

Quali sono le prospettive per l’imballaggio flessibile e quali gli sviluppi che il comparto sta già portando avanti? Se ne parla in questi giorni a Roma in occasione del Congresso annuale di Giflex. Intanto, incontrando la stampa, il gruppo ha spiegato la propria Roadmap per la Sostenibilità 2030.

Il tradizionale congresso annuale di Giflex quest’anno è dedicato a “Flessibile, un packaging da raccontare”.

Un appuntamento che ormai va al di là della consuetudine, divenuto piuttosto l’occasione per fare il punto di importanti cambiamenti che stanno interessando in questi anni il mondo del packaging flessibile – ma non solo – e che richiedono un continuo aggiornamento.

La loro stringente attualità si lega agli obiettivi ambiziosi ma altrettanto necessari che la società odierna è chiamata a porsi e che si intrecciano ai temi cardine della lotta al cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile.

Pensare al fine vita

Nell’arco di pochi anni la prospettiva delle aziende è cambiata e, se sinora avevano sviluppato imballaggi guardando alle finalità di protezione e salvaguardia del prodotto, d’ora in poi lo sguardo dovrà andare anche oltre e considerare – già in fase di progettazione – anche al loro fine vita. Dunque un imballo che sia, dice Alberto Palaveri, presidente di Giflex, non solo «“performante” sullo scaffale di un supermercato», come è sempre avvenuto, ma «anche in un impianto di riciclo, meccanico o chimico che sia».

Come ha spiegato lo scorso 10 aprile, in occasione dell’incontro con la stampa di settore che anticipa l’evento romano, «progettare il packaging del futuro significa partire dal suo fine vita, per questo diventerà sempre più strategico fare ricorso, nella progettazione, al “design thinking” per realizzare imballi con caratteristiche che diano al riciclatore la possibilità di valorizzarli».

Con questo scopo l’industria dell’imballaggio flessibile ha tracciato una propria Roadmap per la Sostenibilità 2030, «anno a partire dal quale tutti gli imballaggi dovranno essere progettati in funzione del loro fine vita».

Le linee guida di LCA

L’approccio che le aziende devono adottare, senza dubbio, dovrà essere scientifico. A tale scopo il Gruppo imballaggio flessibile, attraverso il lavoro dei propri Comitati Tecnici, ha sviluppato le prime linee guida di LCA(Life Cycle Assessment), per produrre valutazioni, appunto, di analisi del ciclo di vita che siano ripetibili, confrontabili e supportate da dati scientifici. Le linee guida, che sono state elaborate in maniera specifica per l’imballaggio flessibile, vengono presentate al congresso di Roma.

È un lavoro importante che non si esaurisce però con la pubblicazione del documento ma prosegue con una nuova impegnativa fase, quella della costituzione di una banca dati che raccolga tutte le informazioni e i dati necessari per il calcolo di LCA dell’intera catena di fornitura del flessibile.

Accanto al lavoro di Giflex e dei suoi Comitati, Palaveri ricorda anche la R&S che le aziende del comparto portano avanti e che, dice, «va nella direzione di sviluppare strutture semplificate o monomateriale» per realizzare i nuovi imballaggi flessibili. E porta l’esempio delle poliolefine, sulle quali «esistono crescenti possibilità di avere materiali stampabili con tecnologie tradizionali ad altissima barriera grazie all’utilizzo di lacche e metallizzazioni trasparenti».

«La sfida che ci attende è quella di un grande cambiamento e di un ripensamento delle strutture di packaging» interviene Andrea Cassinari, coordinatore dei Comitati Giflex. Occorre ripensare le tecnologie del packaging, grazie anche all’aiuto della chimica che offre un’ampia opportunità di selezione delle materie prime. La parola chiave, dice, è circolarità. «Come cambiare il packaging in questa prospettiva è sicuramente qualcosa di nuovo, di complesso e di molto dinamico». E le linee guida sono state pensate esattamente per calare i calcoli e le misure per l’analisi LCA, già previste dall’applicazione delle norme ISO, all’interno della realtà del flessibile, che è molto eterogenea.

L’approccio dovrà essere olistico, spiega Cassinari, si dovranno pensare nuovi cicli produttivi, trasformare delle aziende e i loro processi, e trovare soluzioni verso la circolarità.

«Occorre studiare con la filiera nuovi packaging, nuovi coating e nuovi film che siano pensati già in fase di progettazione perché siano riciclabili» dice. «E cambieranno anche le tecnologie, le macchine da stampa, i software, le tecnologie con cui facciamo trasformazione. Mentre, contemporaneamente, ogni materiale troverà la propria declinazione».

L’obiettivo, spiega il coordinatore, è arrivare a un packaging che, terminato il proprio uso, sia un prodotto che possa essere valorizzato per una seconda vita e la sfida ultima sarà trovare il modo di utilizzare per il packging nel food contact un materiale che possa garantire la sicurezza alimentare ma che sia un prodotto riciclato.

Occasione PPWR

L’industria del packaging è stata fortemente coinvolta anche nella modifica del Regolamento UE PPWR(packaging and packaging waste regulation), il cui voto definitivo è previsto tra il 22 e il 25 aprile. Un regolamento che ha messo in difficoltà il settore dell’imballaggio nel suo complesso e ha avuto un lungo e faticoso iter di approvazione. «Dopo un anno e mezzo di negoziazioni» dice Palaveri «ne usciamo con un documento complicato, a volte di difficile interpretazione, in attesa degli atti delegati».

Tuttavia il nuovo Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio offre anche una nuova prospettiva di sviluppo per il flessibile. Proprio in ottemperanza a quanto imposto dal regolamento che mira a ridurre l’immissione sul mercato di imballaggi, si sta assistendo a quella che Palaveri definisce «un’interessante tendenza di mercato» ovvero un passaggio alla preferenza per il packaging flessibile «sia come packaging primario sia come soluzione per la ricarica di prodotto» per alcuni prodotti, come quelli per la cura della persona e per la pulizia domestica. «Il nostro pack è leggero, anzi leggerissimo, incide per il 2-3% circa sul peso totale del prodotto, utilizziamo poco materiale e produciamo poca CO2» dice il presidente. «In altre parole, la riduzione dell’immesso al consumo con noi si può!».

Giflex ha fatto molto per spiegare alla politica cosa fosse l’imballaggio flessibile e quale fosse il suo valore, trovando anche ascolto e apertura a immaginare percorsi di azione. L’imballaggio flessibile italiano, del resto, con tutta la filiera a monte e a valle, rappresenta un’eccellenza a livello mondiale, non a caso il 50% della produzione italiana di imballaggi flessibili è destinata all’export. «Nel mondo del packaging l’Italia ha una filiera con competenze e soluzioni per la risoluzione di problemi e con opportunità per il futuro che pochi altri Paesi hanno in maniera così completa». Ecco che le opportunità che proprio il nuovo regolamento stimola possono trovare in Italia terreno fertile.

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