AI

Intelligenza o cultura artificiale?

Gli sviluppi della ormai famosa (o famigerata) AI, Artificial intelligence, potrebbero alterare gli equilibri e, in molti ambiti, lo stanno già facendo, con risultati tecnicamente eccellenti

«Avere una grande cultura non significa essere intelligente». Quando Eraclito disse queste parole di certo non poteva aver idea dello scenario in cui stiamo vivendo nell’ultimo secolo.

Se consideriamo l’oramai quotidiano accesso globalizzato a un numero incalcolabile di informazioni, iniziato con la nascita di internet, potremmo però riconoscerne una drammatica attualità, constatando quanto questo accesso illimitato non sembra stia migliorando l’intelligenza dei suoi utenti, cioè noi. Senza voler aprire dibattiti su cosa sia la nostra intelligenza e in cosa consista migliorarla (ai posteri…), partiamo dall’assunto che il cervello umano abbia potenzialità notevoli ma capacità limitate, per questo motivo l’uso dei computer e, più in generale, dell’ecosistema a essi collegato, ha permesso di unire il meglio di entrambe le parti:

1. qualcuno di geniale e intraprendente, seppur con grossi limiti e fluttuazioni prestazionali (l’uomo);

2. qualcosa di smisuratamente vasto ma intrinsecamente “stupido” (i computer e la rete dati mondiale).

È necessario distinguere questi due attori? Per il punto di vista che vi sto proponendo secondo me si.

Il soggetto al punto 2 è privo di una qualsiasi intraprendenza che non sia preventivamente indotta dal soggetto del punto 1, quindi qualcuno potrebbe obiettare che l’uomo ha da sempre cercato di dotarsi di mezzi che lo aiutassero nelle sue attività, di conseguenza il punto 2 sarebbe solo l’ennesimo esempio di un’ottima invenzione.

Tuttavia gli sviluppi della ormai famosa (e famigerata) AI, Artificial intelligence, potrebbero alterare gli equilibri e, in molti ambiti, lo stanno già facendo, con risultati tecnicamente eccellenti.

È intelligente e (non) si applica, potrebbe fare (molto) di più

Vi ricordate quando, circa quattro anni fa, avevo parlato su queste pagine dei primi utilizzi dell’AI in Photoshop?

Era il 2019 e, al tempo, ci si trovava di fronte ad alcune funzioni dal sapore vagamente innovativo che invitavano l’utente alla sperimentazione, in primis il migliorato algoritmo “sensibile al contenuto” presente nei riempimenti e negli strumenti di ricostruzione, la cui rivoluzione/innovazione era già iniziata nel 2001.

Naturalmente Adobe lavorava su queste “prime” applicazioni dell’intelligenza artificiale già da molto più tempo, del resto il concetto di Intelligenza Artificiale ha una sua degna identità da circa una settantina d’anni, e tutti i grandi player del mondo informatico ci stanno lavorando a vario titolo in quello che è diventato il più rivoluzionario settore R&D probabilmente di sempre (oltre che un prolifico filone narrativo/cinematografico che potremmo far partire già dal 1927 con Metropolis).

Quello che Adobe ha fatto inizialmente è stato rendere disponibili al grande pubblico le prime funzioni sufficientemente usabili, quel tanto che basta per avere riscontri su preferenze e usi degli utenti o, dal suo punto di vista, per aumentare i dati da analizzare e poter ottimizzare più rapidamente le sue tecnologie.

Da allora è successo praticamente di tutto, e quello che inizialmente sembrava (attenzione: sembrava) qualche tipico tentativo atto a sondare l’indice di gradimento di qualche feature “markettara” era invece parte di una condotta di sviluppo ben definita.

I filtri neurali attualmente presenti nella finestra dedicata, alcuni sono ancora in fase Beta, ossia sono ancora oggetto di ottimizzazione e continue revisioni. Dal punto di vista legale i risultati ottenuti con le funzionalità Beta non possono essere usati per scopi commerciali

Per valutare eventuali sviluppi su ulteriori filtri neurali vengono fatte delle proposte, visibili nella sezione “in arrivo”. Il riscontro dell’utenza su queste proposte determina l’accelerazione o persino lo stop temporaneo del loro sviluppo

Immagine 3

Per affinare ulteriormente la direzione di sviluppo, Adobe richiede ulteriori motivazioni che possono essere liberamente fornite dall’utente

I Neural Filters

Solo un anno dopo quell’articolo, nel 2020, uscivano dalla fase Beta privata i Neural Filters, sotto il cui nome accattivante venivano proposti in modalità Beta (ma disponibili per tutti) una serie di funzioni legate all’intelligenza artificiale Sensei.

La parolina “beta” ne indica usualmente la connotazione sperimentale e, se da una parte metteva al riparo da eventuali lamentele su risultati non propriamente “attesi”, dall’altra invogliava l’utente a giocarci e lo incoraggiava a dare feedback sul desiderata.

Non dedicherò righe preziose ad elencare i Neural Filters attuali, sposterò invece l’attenzione sulla risposta alla domanda “a cosa servono” dei filtri basati su intelligenza artificiale?

Il punto di partenza era, come al solito, la soluzione di un problema, la risposta costruttiva ad un’esigenza di editing di immagine che consentisse di far risparmiare tempo all’operatore, o di dare un risultato qualitativamente migliore, o, se possibile, entrambe le cose.

La loro modalità di funzionamento è tuttavia un po’ diversa da quella dei filtri tradizionali: anziché essere eseguiti integralmente sulla macchina locale con relativo carico su CPU e GPU locali, una buona parte viene elaborata in cloud, sfruttando una sorta di render farm globale.

E qui la strada si addentra nella nebbia, visto che nessun utente sa dove finiscano i suoi dati immagine (in questo caso) né se e dove vengano memorizzati e quale uso ulteriore ne venga fatto, oltre a quello richiesto dal filtro.

Una serie di clausole presenti nelle condizioni generali d’uso (che nessuno legge mai e che devono essere accettate altrimenti il software non si può usare) garantisce che le informazioni dell’utente siano gestite e conservate scrupolosamente da parte di Adobe (o chi per lei, vale anche per altri player e altri prodotti, come le app su mobile che fanno caricature, montaggi fantastici ecc…).

Cosa se ne fa Adobe delle nostre immagini e/o sperimentazioni grafiche? Una buona risposta è “tutto”.

Le Reti Generative Avversarie (GAN) tipiche del Machine Learning rendono velocissimi i tempi di apprendimento confrontando i risultati di macchine in cooperazione/confronto, ma per la verifica dei risultati l’ultima valutazione spetta all’uomo, pertanto il suo feedback costante e su più fronti diventa parte integrante del processo di apprendimento della macchina.

Ed è soprattutto in questi contesti che la nostra Intelligenza artificiale in erba accresce il suo bagaglio culturale personale, affinando i risultati proposti e prendendo coscienza (passatemi questa enorme iperbole) di cosa funziona e cosa non funziona.

E i diritti d’uso delle immagini usate dall’AI?

Questo aspetto è critico e sarà cruciale per molti anni a venire, ma tanto per farvi capire la pianificazione di Adobe in questo senso pensate a quando nel 2014 ha acquisito Fotolia e l’ha integrata nel suo image stock proprietario, ora conosciuto come Adobe Stock. Quell’acquisizione gli ha dato libertà di elaborazione immagini immense, senza rischi di infrangere la privacy di nessuno, e nel contempo gli ha consentito di monetizzare l’acquisizione vendendo le risorse multimediali come qualunque sito di image stock.

Un po’ diverso è l’interrogativo per le immagini di proprietà degli utenti, usate per le funzionalità ed i filtri in beta di cui sopra, ma la prima risposta data è anche la più definitiva: non è consentito alcun uso commerciale delle versioni Beta.

Se questa risposta tutela legalmente Adobe nei confronti di quasi tutto quello che un utente può fare o non fare con i suoi strumenti, non dice però un granché su come Adobe elabori i nostri contributi quando finiscono nella sua rete, per questo bisogna leggersi i termini di licenza ed uso, ossia quelli che non si leggono mai.

Personalmente non dedicherei molto tempo a leggere quelle righe, dal momento che se non me le facessi andare bene avrei come unica soluzione quella di non usare l’applicativo, ma è comunque utile dare un’occhiata alle “Linee guida utente per Adobe Generative”, molto più sintetiche di quelle generali quindi più digeribili, da cui si apprendono informazioni piuttosto utili (cfr. L’ultima sezione dell’articolo).

Come si può facilmente intuire comunque, la questione ha risvolti che esulano dalla semplice produzione visiva e, in molti casi, tocca anche questioni etiche che in questa occasione salteremo in blocco ed affronteremo nei prossimi numeri.

Si ma… e l’arte generativa?

Bravi, alle due esigenze più prettamente pratiche di cui sopra ne possiamo aggiungere una terza, di gran lunga più sfidante e meno stupida: quella creativa, a cui Adobe ha dato risposta con il suo sistema di intelligenza artificiale generativa basato su Sensei (sempre lui) e denominato Firefly. Fino a due settimane prima rispetto al momento in cui questo articolo viene scritto, Firefly era in beta pubblica, e lo è stato per più di un anno generando oltre 2 miliardi di immagini (!).

Qualche mese fa è stato dapprima implementato nella versione Beta di Photoshop, offrendo un prompt descrittivo direttamente nella UI e, una volta ottimizzata la localizzazione linguistica (oltre 100 lingue) per renderlo fruibile a tutti, è stato rilasciato ufficialmente in Photoshop CC2024.

Tra i tanti aspetti di cui non ho parlato in questo articolo ce n’è uno che ho lasciato volutamente per ultimo: quello dei costi.

L’arte generativa ha un costo, tutto il mondo dell’AI ha un costo, anzi, ne ha parecchi e sono tutti molto alti, in primis per il consumo energetico.

Finora tutte le offerte di servizi AI al pubblico erano o sono gratuite, o richiedono tuttalpiù delle sottoscrizioni mensili dal costo risibile.

Nel giro di poco però, cioè quando i servizi saranno affinati a sufficienza da poter essere proposti per utilizzi commerciali efficienti, verranno introdotti dei costi, e anche in questo Adobe Firefly non fa eccezione.

Dal 1 novembre ad esempio è stato previsto il cambio da crediti “generativi” illimitati a limitati, quindi a pagamento.

In soldoni: prima offro un servizio potenzialmente rivoluzionario, coltivo negli utenti l’esigenza di usarlo con regolarità affidandolo in base ai suoi riscontri, e quando inizia a diventare più che utile (magari indispensabile) monetizzo la soluzione.

Costerà tanto? Poco? Non si sa ancora, e sicuramente cifre e quantità saranno passibili di modifiche e revisioni continue, quello che è certo è che se ci siamo abituati ad usare un servizio che funziona, sarà difficile fare un passo indietro per farne a meno, e i risultati offerti dall’AI sono ormai di prim’ordine in molti campi.

Nei prossimi numeri prenderemo in esame gli ambiti operativi e i servizi che nel frattempo, saranno diventati a pagamento a tutti gli effetti.

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