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Sfruttare i Social Media specifici per il Business to Business

Come i social media possono aiutare i professionisti del settore vendite nell’essere più efficaci nelle loro campagne sui social? Ecco alcuni esempi e strategie affinché le imprese possano agevolarli e supportarli nella loro attività di vendita fornendo anche alcuni consigli per incrementare l’efficacia nella produzione di depliant, brochure e altro materiale basato su supporto cartaceo.

I media digitali consentono a ogni professionista del settore vendite forme di comunicazione avanzate con le proprie reti di relazioni. Questo aspetto è decisamente importante – se usato strategicamente – per comunicare e far percepire il fattore differenziante di ogni professionista; per “differenziante” si intende quel fattore che rende unico e distinguibile un professionista rispetto agli altri, mettendone in evidenza, e incrementandone, l’autorevolezza e la reputazione.

L’essere percepito nella propria unicità e specificità rispetto ai competitor rende il professionista più efficace e paradigmatico nelle sue attività di comunicazione persuasiva, consentendogli in questo modo di esaltare le proprie capacità e il proprio carisma personale e professionale: ciò gli fornisce una maggiore forza nella chiusura delle transazioni.

Gli strumenti di LinkedIn per comunicare valore, visione del mercato e reputazione

Per questo motivo ogni professionista del settore vendite deve utilizzare i social network per il B2B – in particolare LinkedIn – per mettere in evidenza e far percepire il proprio stile di vendita che lo differenzia dai competitor: e il proprio stile differenziante può essere veicolato in due modi, attraverso il professional branding e attraverso il personal branding.

Il professional branding gli permette di trasmettere sia la propria preparazione professionale, sia la propria visione (vision) del mercato. Come? Semplicemente pubblicando a cadenza il più possibile giornaliera almeno un contenuto o aggiornamento professionale attraverso la finestra Condividi un Aggiornamento. I contenuti possono essere condivisioni di articoli di giornale sull’andamento del mercato di settore, link a libri e pubblicazioni, link a brochure aziendali e a schede di prodotto. Questo strumento farà in modo di dare visibilità dei materiali condivisi ai membri della rete professionale (network di contatti) di LinkedIn con più affinità nei confronti del contenuto.

Questa finestra è importante poiché consente di tenere aggiornata la propria rete di contatti – il proprio network professionale – e di fare in modo di mostrare alla propria rete di contatti quanto si è preparati sul proprio settore.

Inoltre – sempre tramite LinkedIn – un professionista del settore vendite può scrivere degli articoli come se fosse in un blog. Mi riferisco in questo caso LinkedIn Publisher, comunemente detto LinkedIn Pulse, lo strumento di Blogging che LinkedIn mette a disposizione gratuitamente a ogni professionista presente sul social network.

La scrittura e la condivisione di aggiornamenti professionali permette a ogni professionista del settore vendite di far emergere in modo distintivo la propria professionalità, la propria vision del mercato, il proprio approccio alla professione.

Ma come vengono usate queste informazioni dai clienti dei professionisti del settore vendite per comprenderne il valore professionale?

Spesso mi sento chiedere perché un professionista del settore vendite dovrebbe “investire” tempo e risorse personali per svolgere questa attività di aggiornamento professionale su LinkedIn, quando il tempo è poco, e perché non si riesce ad avere una precisa percezione dei benefici di queste attività di veicolazione delle informazioni.

La percezione da parte dei propri aspiranti clienti

Sappiamo che quando un agente di vendita contatta un cliente su LinkedIn, oppure su un altro social network o anche al telefono, il contattato quasi sempre ricerca in tempo reale tramite Google o LinkedIn informazioni su quella specifica persona per capire se quel professionista può dargli un valore aggiunto.

Oltre a dare una occhiata al profilo professionale, i clienti possono osservare e determinare se le dichiarazioni di intenti sia effettivamente messa in pratica nella prassi lavorativa oppure no.

Tramite il pulsante Visualizza Attività Recenti, il cliente target della telefonata o della forma di contatto può vedere cosa fa nella sua attività lavorativa quotidiana chi l’ha contattato, quali relazioni instaura in rete, come coltiva le sue relazioni, facendosi così un’idea precisa del suo modus operandi. E attraverso questa rapida occhiata (che costa pochi secondi), il cliente può farsi un’idea dell’efficacia del professionista del settore vendite che sta cercando di instaurare un contatto con lui.

Già da questi due fatti emergono alcuni dati utili: il professionista dà un’efficace prova sociale (Social Proof) del suo professional branding sia in termini quantitativi (quante azioni ha effettuato) sia in termini qualitativi tramite la qualità della sua conversazione?

Al contrario, un professionista del settore vendite che si presenta con nessuna attività agli occhi del proprio aspirante cliente, non fa un’impressione positiva.

Ora veniamo al come e cosa

Quali contenuti condividere? Professional branding Vs identità e sfera individuale (ovvero personal branding).

È indubbio che un contesto professionale implica che ci si debba concentrare sulla produzione di attività professionali e su una condotta e su un regime comunicativo atto alla produzione di beni, prodotti e servizi. Ma è altrettanto indubbio che nel mondo del lavoro è fondamentale utilizzare la propria intelligenza creativa che si nutre di passioni, di energie creative e di aspetti che superano i classici confini della “mera” produzione.

Per questo motivo è bene alternare, in un contesto professionale, aspetti legati sia alla sfera professionale (che devono essere prevalenti), sia aspetti legati all’emotività e talvolta, eccezionalmente, alla sfera del privato: paradossi, battute di spirito e altri aspetti ludici fanno anch’essi parte della vita professionale e della maturità di una persona, e la si misura su quanto egli sappia creare un equilibrio bilanciato di aspetti legati alle due sfere. Va subito detto che è una pratica considerata fastidiosa il condividere informazioni relative alla sfera privata su LinkedIn (LinkedIn non è un social per condividere foto di gattini, esiste Facebook e Instagram per questo). Ma va anche detto che la scelta delle foto, del materiale di comunicazione visiva, del registro comunicativo consentono di comunicare il proprio approccio umano, proprio come fa Massimo Marucci, uno dei più famosi professionisti del settore vendite che usa in modo strategico LinkedIn come strumento di comunicazione sugli aspiranti clienti. Egli ha saputo usare i Social Network come strumento di trasmissione della propria reputazione professionale e del proprio Professional Branding, e utilizza le immagini in modo molto creativo e impattante, trasmettendo nella propria reputazione professionale, anche la propria identità personale, la propria creatività e passione per il proprio lavoro, che si percepisce anche dal proprio stile nel commentare e nei contributi degli altri, e dal modo di interagire con le persone.

LinkedIn consente ai professionisti di capire quanto sia efficace la propria attività di comunicazione attraverso degli strumenti specifici che forniscono loro dei feedback ne I miei aggiornamenti nel quale si vedono le proprie attività recenti e quanti like e commenti si sono ricevuti. Possiamo quindi non solo vedere quali attività abbiamo pubblicato su LinkedIn, ma anche comprendere quali di queste ha generato più interesse nel nostro network professionale. E possiamo naturalmente generare più occasioni di dialogo e di contatto con il nostro network professionale.

Creare forme più strategiche di comunicazione trans-mediale, ovvero tra media cartacei e media sociali

Come può un’impresa fare in modo che i suoi depliant e le brochure siano efficaci per la forza vendita anche nella comunicazione su media digitali?

Le potenzialità di LinkedIn e dei Social Network per il Business to Business non sono più solo un’opportunità da cogliere, ma sono ormai uno strumento imprescindibile della strategia di marketing di ogni impresa operante nel B2B.

Le imprese devono fornire sia gli strumenti, sia le strategie per agevolare i professionisti del settore vendite.

Gli strumenti più pregiati per la vendita rimangono naturalmente quelli cartacei che – data la preziosità della carta come materiale di pregio – connotano il messaggio veicolato di una valenza di autorevolezza soprattutto ora che vi sono i media digitali.

Nelle brochure cartacee è fondamentale avere sempre un richiamo al profilo LinkedIn del professionista del settore vendite, in modo tale che i clienti acquisiti si leghino al suo profilo. È fondamentale nelle brochure cartacee segnalare e mettere in risalto il fatto che il professionista del settore vendite sta usando LinkedIn come strumento di comunicazione e aggiornamento professionale.

Consiglio inoltre di riportare la stessa fotografia, sulla brochure cartacea e su LinkedIn, del professionista, in modo tale da evitare distorsioni e dare un’immagine forte e univoca.

Condividere su LinkedIn i contenuti più strategici per gli interessi aziendali

Ma oltre agli strumenti cartacei è necessario considerare LinkedIn per ciò che è: un network di condivisione di contenuti. La scelta è quindi un aspetto molto importante, che non può essere lasciato al caso. Il professionista del settore vendite non può e non deve essere lasciato solo nella scelta dei contenuti aziendali da condividere su LinkedIn, anche e soprattutto se esso è un freelance e/o pluri-mandatario. Lasciarlo solo implica infatti alcuni rischi. Il primo è che il professionista non pubblichi nulla, e rimanga quindi muto, decrementando in questo modo la propria percezione e autorevolezza; ciò può accadere sia per ragioni di tempo, sia per ragioni di insicurezza sull’efficacia delle fonti da lui trovate. Il secondo rischio è che il professionista pubblichi e condivida articoli in modo non sistematico, lasciando mesi di vuoti. Il terzo è che inizi a pubblicare in modo non coerente e non allineato con le esigenze della propria target community di aspiranti clienti.

Le imprese possono aiutare in modo notevole i professionisti del settore vendite dando loro ogni settimana una rassegna stampa di contenuti da pubblicare, in modo tale da suggerire ai professionisti dei contenuti, rassicurarli sulla loro validità ed efficacia, ed evitare dei buchi informativi.

Come creare la rassegna stampa dei contenuti da pubblicare

La scelta dei contenuti da fornire alla rete di vendita è una fase molto strategica per le imprese e non va fatta in modo approssimativo. Dobbiamo infatti ricordarci che i professionisti del settore vendite utilizzeranno quei contenuti per incrementare il loro brand professionale e che incrementando il loro brand professionale, incrementeranno anche quello dell’impresa.

Per questo motivo è bene che le imprese forniscano due tipologie di contenuti: relativi alla propria impresa e relativi al mercato di riferimento.

Per contenuti relativi all’ impresa intendiamo non soltanto le brochure e le schede prodotto, ma anche tutti i contenuti di blog, guide, e altri materiali che aiutino i consumatori a usare al meglio i prodotti. Questi materiali sono molto utili ai professionisti del settore vendite in quanto consentono loro – non tanto di «spingere in modo invasivo» i prodotti – quanto di fornire una forma di consulenza persistente online tramite LinkedIn, incrementando la loro percezione di professionalità come venditori e incrementando nel contempo il prestigio dell’impresa. Per i contenuti relativi al mercato di riferimento si intende l’attività di fornire alla propria rete di vendita contenuti di terze parti relativi al mercato in cui opera l’impresa. Questa tipologia particolare di contenuti – essendo di terze parti – ha il mutuo beneficio di essere di natura neutrale ed esente da conflitti di interesse, e di suscitare curiosità e interesse da parte del prospect proprio perché legata alle informazioni sul mercato.

Per scegliere i contenuti consiglio di usare un approccio vagamente ispirato alla metodologia S.O.S.T.A.C. che si basa sul fornire contenuti sulla situazione del mercato attuale e su come i prodotti aziendali possono incrementare e migliorare l’analisi dei contenuti fondamentali. Questi contenuti risponderanno in questo modo al bisogno di evoluzione delle imprese e renderanno il rapporto con i professionisti del settore vendite più proficuo ed efficace.

Imballaggi sostenibili e resistenti, grazie ai gusci d’uovo

I gusci delle uova sono degli imballaggi straordinari, proteggono il contenuto e allo stesso tempo si aprono facilmente, senza dimenticare che sono perfettamente biodegradabili. Un gruppo di ricercatori ha pensato di utilizzarli per migliorare le caratteristiche tecniche delle bio-plastiche, sempre più spesso impiegate per produrre imballaggi sostenibili.

di Elisa Brunelli

All’Università di Tuskegee (Alabama, Stati Uniti) i ricercatori del team guidato dal dottor Vijaya Rangari hanno frammentato i gusci d’uovo in nano-particelle e le hanno aggiunte a una miscela di polimeri, così da ottenere materiali plastici resistenti e flessibili. Rangari ha presentato questa ricerca al meeting della American Chemical Society di quest’anno, spiegando il principio con cui è stato messo a punto questo innovativo materiale: «Sviluppare nuovi materiali plastici sostenibili e con buone caratteristiche tecniche è una delle priorità del nostro gruppo di ricerca, a questo scopo abbiamo utilizzato scarti di uova per creare una nuova classe di bio-plastiche. I gusci delle uova sono stati polverizzati con una tecnica a base di ultrasuoni in componenti microscopiche che poi sono state sono mescolate in una speciale miscela di bio-plastiche che è stata sviluppata appositamente all’interno dei nostri laboratori. Queste particelle di guscio d’uovo» prosegue il ricercatore «grandi nell’ordine dei nanometri, aggiungono resistenza al materiale e lo rendono più flessibile di altre nano-plastiche presenti attualmente sul mercato. Crediamo che queste caratteristiche, insieme alla biodegradabilità, potrebbero rendere questo materiale a base di nano-particelle di carbonato di calcio (la componente principale dei gusci d’uovo) una soluzione alternativa per un creare una nuova generazione d’imballaggi». La nuova bio-plastica è ancora in fase di sviluppo, ma le prospettive sono promettenti poiché, oltre a essere tecnicamente adatta a sostituire le plastiche tradizionali nel settore del packaging, è anche un materiale completamente biodegradabile che può essere riciclato nella raccolta differenziata insieme agli altri scarti organici, riducendo così in maniera sensibile la quantità di rifiuti non biodegradabili rilasciati nell’ambiente.

Bio-plastiche e nano-particelle

L’impiego di biomateriali nell’ambito del packaging è in rapida ascesa da diversi anni. Una necessità che nasce in primo luogo dal mercato, poiché sono per primi gli stessi consumatori a sentire la necessità di avere prodotti con packaging sostenibili, al posto dei classici imballaggi in plastica tradizionale, non biodegradabile. Un trend decisamente in positivo, supportato ultimamente dallo sviluppo di nuove interessanti tecnologie, che rende questi prodotti ancora più accessibili ai fornitori di imballaggi plastici e ai produttori di imballaggi. Fino a qualche anno fa le bio-plastiche potevano essere considerati dei materiali di nicchia, materiali promettenti, ma a causa del prezzo e delle performance tecniche poco competitivi rispetto alle plastiche tradizionali. Le strade seguite dagli specialisti dei materiali per poter migliorare le prestazioni di queste plastiche sono state, negli anni, diverse. Di recente per migliorare le prestazioni delle bio-plastiche si è provato a mescolarle con altri materiali più resistenti, ossia produrre materiali detti compositi, ovvero composti da due materiali diversi con caratteristiche tecniche differenti. I compositi sono generalmente costituiti da una matrice che preserva le caratteristiche principali del materiale di partenze dove sono disperse delle particelle. I risultati più promettenti nell’ambito delle plastiche sono stati ottenuti in particolare con nano-particelle a base di composti inorganici, che sono dotate di caratteristiche meccaniche completamente differenti. Le bio-plastiche, come del resto le plastiche tradizionali, sono materiali a base di carbonio con caratteristiche tecnologiche ben definite. Nano-particelle a base di ossidi di metallo, come per esempio il carbonato di calcio la principale componente dei gusci d’uovo oggetto di studio, hanno invece caratteristiche di resistenza tipiche dei metalli. Nel laboratorio del dottor Ragani hanno pensato dunque di unire la flessibilità della plastica alla resistenza meccanica del carbonato di calcio per arrivare a ottenere un materiale particolarmente versatile adatto a costituire diverse tipologie di packaging.
Bio-plastiche e nano-particelle

Verso un imballaggio sostenibile

Il vantaggio di questo tipo di materiale sarebbe quello di ottenere un packaging efficiente, ma anche lanciare sul mercato degli imballaggi un prodotto sostenibile al 100%. Le bio-plastiche impiegate nello studio, infatti, sono degradabili, ma sarebbe meglio dire compostabili, così come il carbonato di calcio e quindi il materiale risultante, così come l’imballaggio derivato, potrebbe essere facilmente riciclato nella frazione compostabile. L’impiego di queste bio-plastiche inoltre avrebbe un altro enorme vantaggio in termini di sostenibilità: i polimeri utilizzati nello studio derivano da risorse agronomiche, ossia risorse rinnovabili. Un’alternativa ecologica alle comuni plastiche derivate dal petrolio, delle quali annualmente vengono prodotte 300 milioni di tonnellate, utilizzando petrolio o altri combustibili fossili e che richiedono secoli prima di decomporsi. Inoltre, le plastiche, se vengono bruciate, contribuiscono in modo significativo all’incremento del diossido di carbonio (CO2), uno dei più potenti gas serra immessi dalle produzioni umane in atmosfera.

Quando si parla di bio-plastiche?

Non esiste una definizione univoca di bio-plastica: il termine si può riferire a plastiche realizzate a partire da materie prime vegetali (mais, barbabietola o amido di patata), oppure a polimeri biodegradabili; caratteristiche non sono sempre correlate. Un biopolimero può essere di origine petrolchimica ed essere comunque adatto al compostaggio, ma può anche derivare da risorse vegetali ed essere resistente alla degradazione microbica. La definizione più diffusa e accreditata è quella dell’European Bioplastics Association, un’organizzazione che riunisce insieme i più grossi produttori di bio-plastiche, che definisce biopolimeri “tutti quei polimeri derivati da risorse rinnovabili (bio-based) o che siano biodegradabili e compostabili (secondo la norma EN 13432)”. I due polimeri impiegati nello studio sono due tipologie di plastiche che possiedono queste caratteristiche: i PLA non solo derivano da risorse agronomiche rinnovabili, ma sono anche biodegradabili quindi non persistono nell’ambiente come le comuni plastiche. Un altro polimero, il PBAT deriva invece dal petrolio ma è biodegradabile.

Bibliografia

CxF: caratterizzare, definire, scambiare e stampare un colore speciale

Nel formato CxF sono contenute molte informazioni tra cui la curva di riflessione spettrale del colore. Questa è ottenuta mediante lo spettrofotometro che ha la capacità di misurare la luce riflessa (trasmessa) dal colore scomponendola in diversi intervalli dello spettro visibile; questi sono i dati spettrali e vengono anche chiamati «impronta digitale» del colore stesso.
Nel formato CxF sono contenute molte informazioni tra cui la curva di riflessione spettrale del colore. Questa è ottenuta mediante lo spettrofotometro che ha la capacità di misurare la luce riflessa (trasmessa) dal colore scomponendola in diversi intervalli dello spettro visibile; questi sono i dati spettrali e vengono anche chiamati «impronta digitale» del colore stesso.

I colori speciali sono largamente impiegati in ambito packaging e poiché sono resi in stampa senza separazione in quadricromia o esacromia, è fondamentale che la loro definizione sia precisa e inequivocabile. Il ricorso alle librerie Pantone o ad atlanti colore non ha mai eliminato ogni possibile problema dal flusso di produzione. Ecco perché è nato lo standard CxF, che definisce il colore ricorrendo alle coordinate cromatiche L*a*b* e alla curva di riflessione spettrale misurata con uno spettrofotometro.

Il CxF (Color eXchange Format) nasce nel 2000 in casa GretagMacbeth; dopo l’acquisizione da parte di X-Rite viene creato un sito Web dove sono disponibili molte informazioni che hanno aiutato a creare cultura e a far conoscere le potenzialità del CxF. Da allora si sono susseguite diverse versioni e nel 2015 il CxF è diventato lo standard ISO 17972-1:2015 con il titolo «Graphic technology – Colour data exchange format (CxF/X)». In pratica la norma si compone di quattro parti che mirano a regolamentare tutto quanto è necessario per caratterizzare, definire, scambiare e stampare un colore speciale.

Come spesso succede, l’adozione di uno standard da parte del mercato richiede tempo e anche per il CxF la strada da percorrere è ancora tanta soprattutto per i fornitori di soluzioni software. Osservando i lavori della comunità scientifica che opera nel settore grafico e leggendo le riviste tecniche, c’è la certezza che il formato si affermerà in ambito produttivo per due motivi:

  • la cultura del colore si sta diffondendo sempre più e con essa l’adozione degli strumenti di misura come gli spettrofotometri. Questo sta contribuendo a creare consapevolezza, lungo tutta la filiera, della necessità di eliminare qualsiasi ambiguità nella definizione del colore ricorrendo a un metodo scientifico di misurazione per abilitare un interscambio sicuro e semplice.
  • È basato su XML, un linguaggio di markup aperto e ampiamente utilizzato in molti ambiti.

Il settore del packaging e Atif: le parole di Sergio Molino

Uno dei settori maggiormente interessati al CxF è quello del packaging; proprio per questo Atif, associazione italiana per la flessografia, ha attivato un Comitato di studio sullo standard che a breve pubblicherà un documento a uso di tutti gli associati.

«Atif ha deciso di approfondire il tema del CxF raccogliendo le istanze che provenivano dalle aziende grafiche a loro volta sollecitate dai brand owner che hanno colto il valore intrinseco di una tecnologia capace di abilitare la comunicazione del colore in modo scientifico e in grado di eliminare incertezze e fraintendimenti» ci spiega Sergio Molino, coordinatore gruppi di lavoro comitato tecnico di Atif.

«Infatti se si pensa al flusso di produzione di uno stampato dove sono impiegati dei colori speciali, sono tre le fasi in cui il CxF può giocare un ruolo importante: in prestampa dove la definizione del colore viene acquisita mediante il file CxF, dai produttori di inchiostro che formuleranno il colore sulla base delle informazioni del CxF, dagli stampatori che dovranno stampare «in tolleranza» il colore richiesto e fornito in CxF.

«Ad oggi nelle aziende italiane l’adozione di questo standard ISO è agli inizi ma all’estero sono già parecchi i gruppi internazionali che lo hanno inserito nel proprio flusso di produzione. Considerando che il settore del packaging in Italia ha una quota rilevante di export, è fondamentale per le nostre aziende approcciare fin da subito questo tema che sempre più comparirà all’interno dei capitolati di fornitura imposti dai clienti.

«Un aspetto importante del lavoro del Comitato Atif ha riguardato il grado di adozione del CxF all’interno dei software di prestampa e questo è stato un elemento controverso a tal punto che abbiamo anche dovuto togliere il capitolo relativo dal documento. Infatti allo stato attuale sono pochissimi i programmi che hanno la capacità di interpretare il formato rispettando quanto specificato dalla norma ISO; inoltre abbiamo avuto anche qualche problema ad avere delle risposte esaustive da parte delle software house, segno che l’argomento è troppo recente per una sua diffusione nei prodotti.

«La norma ISO 17972-1:2015 si compone di più parti; a livello di normazione la parte 4 (CxF/X-4) è definita e pubblicata, però, data la sua natura tecnica che descrive le modalità di scambio dei dati di caratterizzazione per i colori speciali, è abbastanza complicata e per questo manca ancora una implementazione completa nei software. Nella parte 2 vengono descritte i protocolli e le modalità di definizione delle chart per l’acquisizione dei colori per i device tipo scanner affiancandosi alla norma ISO 12641-1:2016 Graphic technology — Prepress digital data exchange — Colour targets for input scanner calibration.

«Nella parte 3 della norma sul CxF/X vengono definiti i dati per le chart relative ai device di tipo printer. Essenzialmente si fa riferimento alla costruzione e definizione di tutti i metadati delle chart per le calibrazione dei diversi tipi di device.

Da ultimo vorrei sottolineare che il file CxF/X può essere archiviato e caricato nei software di controllo qualità per una verifica della tiratura e della fedeltà cromatica. Per esempio i software di controllo qualità della X-Rite sono in grado di interpretare un file CxF/X e usarlo come riferimento per le misurazioni successive.»

Dentro al DOC.09
Il documento sul CxF che Atif sta completando cerca di rendere chiaro e comprensibile anche al profano un argomento abbastanza complicato, poiché la norma sostanzialmente è una definizione di un protocollo di comunicazione software tra programmi informatici. Nel documento si è cercato di dare un’informazione quanto più discorsiva possibile spiegando lo scopo di questa norma, e utilizzando due programmi oggi disponibili, si è mostrato un esempio di procedura per la creazione di un file CxF/X, e il suo utilizzo in alcuni flussi operativi che si possono presentare sul campo.
Il documento è strutturato in undici capitoli dove vengono spiegati i diversi concetti con, dove possibile, esempi di utilizzo e realizzazione di file CxF/X.

La leggenda metropolitana dei 72 dpi

L’immagine in alto è sostanzialmente a basse frequenze, quella in basso invece ha diverse parti ricche di alte frequenze. Entrambe sono state portate a 72 ppi nei riquadri sulla destra, ma mentre quella in alto non evidenza grossi artefatti di ingrandimento quella in basso tende a “sgranare” con facilità. Per questo è opportuno mantenere risoluzioni di output più elevate (a parità di dimensioni fisiche) per le immagini con dettagli sottili.
L’immagine in alto è sostanzialmente a basse frequenze, quella in basso invece ha diverse parti ricche di alte frequenze. Entrambe sono state portate a 72 ppi nei riquadri sulla destra, ma mentre quella in alto non evidenza grossi artefatti di ingrandimento quella in basso tende a “sgranare” con facilità. Per questo è opportuno mantenere risoluzioni di output più elevate (a parità di dimensioni fisiche) per le immagini con dettagli sottili.

Uno degli argomenti più critici del Desk Top Publishing è, da sempre, la risoluzione. Sigle come PPI e DPI sono presenti quotidianamente nella vita di grafici e operatori di stampa/prestampa, ma anche addetti al marketing e, purtroppo, una miriade di altri personaggi di varia estrazione che ne fanno un uso più o meno improprio, generando complicazioni a non finire.

Ricordiamo che… PPI è il termine da usare in tutti i casi in cui si parli di pixel, quindi tutte le immagini digitali, DPI solo quando si parla di risoluzione di stampa.

Se avessi messo da parte 1 € per ogni volta che ho sentito le frasi «la immagini per lo schermo si mettono a 72 dpi” oppure «questa immagine è in bassa risoluzione perché è a 72 dpi” sarei l’azionista di maggioranza della Apple.

Le immagini a schermo non hanno bisogno di risoluzione, hanno una dimensione: c’è una base e una altezza, entrambe espresse in pixel, e in base a quelle dimensioni avranno un determinato ingombro sullo schermo. Punto.

La risoluzione è un dato che deve esistere in quanto parte della definizione di un’immagine digitale, ma dato che mette in relazione unità di misura digitali (pixel) con unità di misura fisiche (pollici tipicamente) ha utilità solo quando si va in stampa, nell’altro caso non ha rilevanza.

Allora da dove arriva questa panzana? Sul Web troverete centinaia di ottime e circostanziate spiegazioni, ma per una sintesi potete restare su queste pagina.

Le immagini impaginate in un documento di illustrator con le relative informazioni: misurano circa 6 Megapixel e con quell’ingombro hanno una risoluzione intorno ai 730 ppi, nell’ingrandimento 10x a destra la risoluzione risultante è di circa 72 ppi. L’immagine B è oltre i 30 Megapixel, anche se l’ingombro fisico è identico al precedente la risoluzione risultante è di 1670 ppi, nell’ingrandimento a destra la risoluzione risultante è 72 ppi circa ma il fattore di ingrandimento è ovviamente molto maggiore dell’altra immagine.
Le immagini impaginate in un documento di illustrator con le relative informazioni: misurano circa 6 Megapixel e con quell’ingombro hanno una risoluzione intorno ai 730 ppi, nell’ingrandimento 10x a destra la risoluzione risultante è di circa 72 ppi.
L’immagine B è oltre i 30 Megapixel, anche se l’ingombro fisico è identico al precedente la risoluzione risultante è di 1670 ppi, nell’ingrandimento a destra la risoluzione risultante è 72 ppi circa ma il fattore di ingrandimento è ovviamente molto maggiore dell’altra immagine.

In principio erano i 72 dpi

Riassumendo molto la storia, i primi monitor «grafici» di casa Apple, rilasciati nel 1984 contestualmente al lancio del primo Macintosh, vennero realizzati in modo coerente alle unità di misura tipografiche.

In gergo più tecnico: Apple aveva definito la lunghezza del suo pollice logico in 72 pixel affiancandolo a un monitor che offriva effettivamente queste caratteristiche dimensionali, lanciando l’allora rivoluzionario concetto del wysiwyg (what you see is what you get, «quello che vedi è quello che ottieni»).

Cosa significa?

Tali monitor potevano visualizzare il testo a dimensioni «reali», cioè una scritta con corpo 12 punti su un foglio di carta risultava dimensionalmente uguale alla stessa scritta vista sul monitor. Venne scelto 72 proprio perché si tratta di un valore derivato direttamente dalle unità di misura tipografiche in uso ancora oggi: il punto tipografico convenzionale è circa 1/72 di pollice (approssimato a 0,35 mm nel punto cosiddetto «informatico»); in questo modo si poteva avere una corrispondenza biunivoca tra il pixel e il punto tipografico, con evidenti vantaggi visivi e operativi.

Nel 1985 poi, l’accoppiata Macintosh-Pagemaker determinò la nascita del Desktop Publishing, da cui nacque anche il luogo comune del «se fai grafica allora userai per forza un mac» o «se hai un pc allora non sei un vero grafico» ecc.

Tornando a noi, solo e soltanto in quel caso la risoluzione video era esattamente 72 ppi, ma non appena l’evoluzione tecnologica permise la produzione di display più risolventi (questa è una parola chiave: qui significa con maggior risoluzione video, quindi più pixel a parità di dimensioni, quindi più dettaglio) questo valore esatto venne meno, ma restò nella mente di tutti.

Quindi metto 72 ppi o no?

Dopo aver letto quanto sopra è probabile che ci si ponga quindi la domanda: «ma le immagini per la destinazione schermo le metto a 72 ppi oppure no?»

La risposta sintetica è «anche sì.»

I motivi meno sintetici sono i seguenti:

  • l’immagine sarà sempre grande uguale, anche se metterete 73, o 31, o 3.849, quindi è un valore ininfluente. Questo è vero naturalmente a meno che non facciate pasticci nella finestra di ridimensionamento immagine, se cambiate anche il numero di pixel di base e altezza spostate la questione in un’altra direzione;
  • vi risparmiate commenti «comici» di chi vi fa notare che le immagini «per Web» vanno a 72 dpi, risparmiando il vostro fegato per qualche birra in più;
  • uscendo dall’ambito strettamente legato alle immagini ed entrando in quello progettuale più ampio, impostare 72 ppi in un nuovo documento di Photoshop in cui realizzerete un layout per Web vi darà coerenza tra il corpo del carattere usato nel documento e quello gestito via codice (html per esempio).

Che risoluzione uso per la stampa?

E questa è la seconda grande domanda, che elenca numerose risposte delle più bizzarre specie, alcune ragionevolmente accettabili, altre oltre il limite della fantasia (o del buon senso).

Prima di impostare la corretta risoluzione di output per un elaborato fotografico o illustrativo (parliamo quindi di contenuti esclusivamente raster, non vettoriali) le domande fondamentali sono:

  1. Qual è la distanza minima ragionevole a cui verrà visualizzato da un osservatore?
  2. Su quale supporto?

Parto subito dalla 2 dato che è quella che incide meno delle due: se devo realizzare le grafiche per il rivestimento di un’impalcatura da restauro, notoriamente traforate, è inutile che ragiono come se il supporto fosse una carta patinata, perché il supporto stesso vanificherà gran parte del dettaglio iniziale. Tanto vale usare valori molto bassi fin dall’inizio così si riducono i tempi di lavorazione, così come quelli di stampa.

La domanda 1 invece richiede una trattazione più estesa.

Le immagini vanno a 300… all’ora. Contro un palo magari.

La «solita» risoluzione di 300 PPI è solo un parametro indicativo che consente un adeguato risultato finale nella pressoché totalità dei sistemi di stampa attuali. I software di impaginazione riportano sempre i valori di PPI iniziali e PPI risultanti nel momento in cui un’immagine viene inserita e ridimensionata in una gabbia, per cui è estremamente frequente trovarsi valori di risoluzione finali ben diversi da quelli iniziali. Ed è normale che sia così.

Nei processi di esportazione PDF le immagini che si trovano ad avere risoluzioni eccessive vengono ricampionate verso il basso, tipicamente a 300 visto che oltre è pressoché inutile, ma valori inferiori non generano necessariamente risultati di bassa qualità.

In base all’angolazione del retino tipografico i valori minimi consigliabili per una qualità ottimale possono scendere anche intorno ai 212 ppi (non possiamo approfondire qui ma trovate adeguata spiegazione per esempio nel volume 12 della Prestampa elettronica nella collana «Tecnologia grafica» della scuola grafica cartaria San Zeno), mentre per alcune riproduzioni artistiche si sale anche intorno ai 400. Ovviamente a valori così alti le differenze percettive possono essere minime ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Quali sono i discriminanti?

Principalmente il tipo di immagine: se presenta molti dettagli fini, è un’immagine cosiddetta «ad alte frequenze», ed è opportuno non lesinare sulla risoluzione e mantenere valori finali più elevati. Un esempio potrebbe essere la ruota di una bicicletta, o i capelli al vento di una modella, tutti dettagli che alla minima pixellatura attirerebbero l’attenzione dell’osservatore. In negativo.

Immagini ricche invece di basse frequenze, come un panorama con nuvole morbide per esempio, possono tollerare anche valori di riferimento più bassi, proprio perché risentirebbero meno di una riduzione di pixel complessiva.

In seconda battuta la qualità del sistema di stampa, il confronto con il fornitore diventa d’obbligo se si vuole ottimizzare davvero il risultato e se stiamo preparando delle immagini per una stampa su quotidiano va da sé che non sarà necessaria una risoluzione di 300 ppi ma ne basterà una da 150 ppi, con conseguente alleggerimento del peso a 1/4 dell’originale.

Immagini (eccessivamente) grandi che problemi portano?

  1. Maggiori tempi di elaborazione da parte del grafico

  2. Maggior spazio occupato sui dispositivi del grafico

  3. Tempi più lunghi di invio in rete e/o di salvataggio sui dispositivi

  4. Tempi più lunghi di processo da parte del RIP

  5. Perdita d’informazioni in seguito al processo del RIP (quello che non gli serve lo scarta, quindi se i pixel sono troppi per le impostazioni che gli sono state date elimina tutto il superfluo).

 

L’immagine in alto è sostanzialmente a basse frequenze, quella in basso invece ha diverse parti ricche di alte frequenze. Entrambe sono state portate a 72 ppi nei riquadri sulla destra, ma mentre quella in alto non evidenza grossi artefatti di ingrandimento quella in basso tende a “sgranare” con facilità. Per questo è opportuno mantenere risoluzioni di output più elevate (a parità di dimensioni fisiche) per le immagini con dettagli sottili.
L’immagine in alto è sostanzialmente a basse frequenze, quella in basso invece ha diverse parti ricche di alte frequenze. Entrambe sono state portate a 72 ppi nei riquadri sulla destra, ma mentre quella in alto non evidenza grossi artefatti di ingrandimento quella in basso tende a “sgranare” con facilità.
Per questo è opportuno mantenere risoluzioni di output più elevate (a parità di dimensioni fisiche) per le immagini con dettagli sottili.

Un libro per creare loghi che lasciano il segno

Logo Design. How to Create Logo That Stands Out

di Josh Cooper

  • CreateSpace Independent Publishing Platform
  • 42 pagine dicembre 2016
  • ISBN 978 1 5410 2996 5
  • 17,48 euro

Ogni impresa, per la propria attività commerciale, ha bisogno di una carta d’identità immediata che vada oltre qualsiasi altra forma di presentazione complessa. Questa carta d’identità è il logo, cioè quel semplice segno grafico che rende un’azienda facilmente riconoscibile al vasto pubblico. Questo interessante volume permetterà di scoprire che cos’è il branding e perché un’impresa, grande o piccola che sia, ha bisogno di un logo per definire la propria identità di marca. Illustrerà inoltre quali passi è necessario fare nelle fasi di progettazione di un logo e quali errori evitare nel lungo processo creativo.

OneMorePack ha assegnato 11 riconoscimenti al packaging design italiano

Dermohelix di Roberto Scaramuzza (agenzia: L.A. Torino) ha vinto il primo premio nella categoria no food con una conchiglia che racchiude una crema idratante dalle proprietà terapeutiche. Un packaging originale, la cui forma spicca una volta allocato sullo scaffale, al fianco di prodotti competitor.
Dermohelix di Roberto Scaramuzza (agenzia: L.A. Torino) ha vinto il primo premio nella categoria no food con una conchiglia che racchiude una crema idratante dalle proprietà terapeutiche. Un packaging originale, la cui forma spicca una volta allocato sullo scaffale, al fianco di prodotti competitor.

Sono undici i riconoscimenti assegnati giovedì sera al packaging design italiano, nel corso della serata conclusiva del concorso nazionale OneMorePack, giunto alla quarta edizione. A ospitare l’evento la città di Napoli nel Complesso monumentale di Santa Maria La Nova di Napoli.

«La confezione è sempre più un media determinante – secondo l’art director del premio Marco Fiorillo – nell’affermazione della marca; un artefatto indispensabile che viene a completare il contenuto di valore dell’offerta, divenendo parte integrante del sistema-prodotto. Il packaging diventa un oggetto del design e si mescola con il prodotto avvalendosi di effetti di senso.»

Sono otto i premi assegnati ai professionisti in gara: l’azienda sannita Autore ha ritirato il premio per il primo classificato nella categoria Food; Roberto Scaramuzza di L.A. Torino ha ritirato il premio per il primo classificato nella categoria No Food; Laura Gorlato di La Furia studio di Trieste ha ritirato il premio per il primo classificato nella categoria No Food; Mario Cavallaro, Stefano Marra, Annamaria Varallo e Simonetta Pagliuca di Nju Comunicazione di Eboli (SA) hanno ritirato il premio per il primo classificato nella categoria Label e il premio Miglior funzionalità; Andrea Basile di Basile ADV di Bonito (AV) ha ritirato il premio Miglior Innovazione; Iglis David Riggi di Torino ha ritirato il premio Miglior Sostenibilità.

Oltre 120 gli studenti che hanno partecipato al contest a loro riservato, tra cui una studentessa originaria della Libia e una dell’Azerbaijan, lavorando sul tema assegnato: la progettazione di un pack monobottiglia e di un’etichetta per il comparto vitivinicolo. Ad aggiudicarsi il primo posto la ventitreenne Marta Valentini, dell’Università della Repubblica di San Marino.

 Gift Box per Autore Graphics ha vinto il primo premio nella categoria food con la tradizione dell’handmade chocolate in un astuccio rettangolare cartonato: 940 grammi di dolcezza, una armonia deliziosa di gusti. La gift box contiene la nuova crema spalmabile e le barrette ricoperte di cioccolato che hanno reso famoso nel mondo il marchio Autore.

Gift Box per Autore Graphics ha vinto il primo premio nella categoria food con la tradizione dell’handmade chocolate in un astuccio rettangolare cartonato: 940 grammi di dolcezza, una armonia deliziosa di gusti. La gift box contiene la nuova crema spalmabile e le barrette ricoperte di cioccolato che hanno reso famoso nel mondo il marchio Autore.

Guarda la gallery con tutti i premi e i finalisti!

Neopost Graphics e Interlem GP Omega insieme per promuovere Arianna Printing

Nello scenario produttivo attuale il volume delle informazioni da gestire cresce a ritmi vertiginosi, e al contempo i clienti e i processi decisionali esigono risposte tempestive. Neopost Graphics ha individuato in Arianna Printing la miglior soluzione ERP verticalizzata per il settore della stampa e sviluppata per il mercato grafico italiano, capace di soddisfare tutte le esigenze dell’azienda: dall’inserimento del preventivo tecnico fino alla fatturazione, passando per acquisti, produzione, web to print, magazzino e contabilità.
Per rispondere alla digitalizzazione della comunicazione e dei flussi informativi, Neopost ha iniziato nel 2012 un piano di trasformazione focalizzato sull’allargamento della gamma di soluzioni offerte e sulla creazione di nuove divisioni di business. La sinergia tra le divisioni Neopost Graphics e Neopost Digital ha dato origine alla partnership con Interlem GP Omega, produttrice di software ERP windows based per le aziende e proprietaria di Arianna Printing, soluzione verticale per la gestione di tutti i processi aziendali sia di aziende offset tradizionali, sia di stampa digitale e/o cartotecnica.
Arianna Printing permette di coordinare tutti i flussi informativi in un’unica piattaforma: dall’inserimento del preventivo, alla scheda di lavorazione fino alla redazione del bilancio. Il software è modulare e altamente personalizzabile, per adattarsi alle esigenze di ogni singola azienda.
Neopost e Interlem si rivolgono alla stessa base clienti, aziende orientate a cavalcare l’onda della quarta rivoluzione industriale, digitalizzando i processi produttivi mediante apparecchiature automatiche quali quelle proposte nella gamma Neopost Graphics e automatizzando i processi informativi con software quali Arianna Printing.

Venerdì 7 luglio la partnership sarà presentata al mercato in occasione di un convegno al Ramada Hotel di Napoli, durante il quale sarà possibile assistere a demo live e ascoltare le testimonianze di importanti aziende che hanno già implementato Arianna Printing.

Interlem GP Omega è una società del Gruppo Interlem nata nel 1986 con la specifica mission di fornire ai dirigenti delle aziende tessili una soluzione per la pianificazione e il controllo della produzione. Oggi Interlem GP Omega si propone sui mercati, nazionali
e internazionali, come un partner tecnologico totale per le aziende manifatturiere. Grazie alle sue soluzioni, ampiamente scalabili e personalizzabili, Interlem GP Omega è oggi in grado di soddisfare le esigenze di un numero crescente di settori: tessile, arti grafiche
e stampa digitale, packaging, metalmeccanico e altri.
Con più di 200 clienti e 3.000 macchine collegare nel mondo, Interlem GP Omega vanta una forte copertura del mercato nazionale e una crescente presenza nei mercati esteri: Canada, Colombia, India, Marocco, Tunisia.

Per ulteriori informazioni contattare Giorgia Aliprandi, Product & Communication Manager, tel: +39 02 93158660, mob: +39 333 1620482.

La VI edizione di openartAward al via: aperte le iscrizioni sino al 10 luglio

È in fase di organizzazione la VI edizione di Openartaward – premio alla pubblicità promosso e ideato dalla Openart di Napoli: dal 1999 punto di riferimento e di eccellenza della formazione professionale della grafica e della comunicazione visiva.

Grazie al successo delle prime cinque edizioni, Openartaward è uno tra i premi più ambiti nella categoria della pubblicità in quanto unico premio del settore Istituzionalmente Riconosciuto grazie ai patrocini di numerosi enti istituzionali (Medaglia del Presidente della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Campania, Comune di Napoli, Commissione Europea,) e di organizzazioni del settore (Unicom e Assocom) ed è aperto a tutte le aziende che si occupano di comunicazione del territorio della Comunità Europea.

Finalità e caratteristiche dell’iniziativa:

  • grande risalto alle aziende che si occupano di comunicazione (un ufficio stampa si occuperà di comunicare agli organi d’informazione le fasi del concorso) con la conseguenza, in ogni caso, di creare un ulteriore canale di visibilità alle comunicazioni pubblicitarie che le agenzie iscriveranno al concorso;
  • rilevanza didattico/formativa: la giuria del concorso (unico premio del settore ad avere questa specificità) è costituita per intero da studenti dei corsi di grafica e comunicazione pubblicitaria del nostro istituto! questa caratteristica del premio crea un ponte concreto tra il mondo della formazione e il mondo del lavoro dando così la possibilità agli allievi di toccare con mano il lavoro dei professionisti e nel contempo consente a quest’ultimi di testare la propria creatività comunicativa su un campione molto particolare e attento alle evoluzioni delle tendenze della grafica, quale è, appunto, quello degli allievi dei corsi di grafica e comunicazione visiva;
  • è un premio assolutamente indipendente da qualsiasi organismo di settore, non ha alcun scopo di lucro, ma, anzi, all’origine, ha uno scopo meramente didattico. Non accede (e non vuole accedere, per mantenere massima trasparenza e indipendenza) ad alcuna sovvenzione pubblica o privata e le sponsorizzazioni tendono a coprire solo le spese organizzative;
  • è l’unico evento dedicato alla pubblicità del Centro-Sud Italia aperto a tutte le aziende di comunicazione e marketing europee;
  • prevede una serie di iniziative collaterali tese a creare una sempre maggior esposizione delle agenzie, migliorare il contatto tra gli studenti e le aziende, tentare di far nascere un associativismo spontaneo che potrebbe favorire sinergie tra le agenzie di comunicazione e quindi ampliare il mercato dell’intero comparto.

Il premio si svolge secondo questo calendario: le aziende possono iscriversi (gratuitamente) e presentare i propri elaborati entro il 10 luglio 2017.

I risultati saranno comunicati durante la cerimonia di premiazione che si svolgerà il  mese di ottobre a Napoli presso il complesso mussale monumentale di Donnareggina.

Tutti i lavori partecipanti al concorso verranno esposti nelle sale della stessa struttura.

Verranno esposti anche una selezione di artwork di ex studenti openart che si sono inseriti nel mondo professionale della comunicazione pubblicitaria.

I numeri dell’ultima edizione

 

Lavori in concorso: 625

Agenzie in gara: 91

Brand coinvolti:403

Votanti: studenti Openart a.a. 2014-15 e a.a.2015-16

Patrocini: Commissione Europea, Presidenza del Consiglio, Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Campania, Comune di Napoli, AssoCom.

Hanno contribuito: NapoliFilmFestival, Cartiere Fedrigoni, Therapoint print, ArtistiInVetrina, Radio Punto Nuovo, Secret Magazine, metaprintart.

 

Il contest creato da Depositphotos: fotografi creativi contro cliché stock

Party di Max Finogeev. Questa scena rappresenta gli auguri ad un amico per il compleanno sui social media. Il bilanciamento tra due canali di comunicazione, online e offline, si può facilmente perdere la cognizione di come tutto diventi più inconsistente con GIF e smiley. In questo contesto mi ricordo di un'espressione familiare,
Party di Max Finogeev. Questa scena rappresenta gli auguri ad un amico per il compleanno sui social media. Il bilanciamento tra due canali di comunicazione, online e offline, si può facilmente perdere la cognizione di come tutto diventi più inconsistente con GIF e smiley. In questo contesto mi ricordo di un'espressione familiare, "un umano ha bisogno degli esseri umani" del film di "Tarkovsky" Solaris.

Quella della fotografia di stock è una grande industria che coinvolge le persone più creative sulla terra: fotografi che producono contenuti e designer che usano le immagini. È un settore che cambia rapidamente ed è sempre in cima alle nuove tendenze della fotografia e del design. Allora come mai vediamo una grande quantità di immagini obsolete, stereotipate e noiose intorno a noi? 

Gli stereotipi continuano ad aumentare nella cultura visiva e la ragione di questo è la pigrizia. È molto più facile seguire i cliché e rispettare le interpretazioni standard. Per esempio, il ritratto di un uomo d’affari in tailleur. Ci vorrebbe più riflessione e impegno per immortalare un uomo d’affari (o una donna) in modo più fantasioso.

Depositphotos ha chiesto a cinque fotografi di talento specializzati in diversi generi di reinventare i cliché più comuni:

  • una donna che mangia insalata,
  • una famiglia felice,
  • una riunione d’affari,
  • una festa,
  • una signora che fa shopping e
  • un germoglio.

Avevano un solo giorno, fino a sei modelli e un paio di location per realizzare le loro storie.

Sono stati ospitati nei nuovi studi fotografici Lightfield Production  dove, all’interno dei 3.000 m2 degli studi e delle diverse ambientazioni a disposizione, hanno potuto dare vita al brief indicato, senza limiti alla loro creatività.

Ecco quello che hanno creato.

Fotografo di ritratti e paesaggi: Roman Pashkovskiy

Roman ha realizzato scatti per Kovalskaya, Sadochok, Kyivstar, Pepsi, Lexus, Lipton, Petcube, Fedoriv, Bird in Flight, The Village, Uklon e molti altri. Ha collaborato anche con Vogue, ELLE Ucraina, Marie Claire, Esquire, Forbes e Harper’s Bazaar. I ritratti di Jamala e Dmitrii Shurov fatti da Roman Pashkovskiy sono stati utilizzati rispettivamente per le copertine dell’album per «Podikh» e «Take Off». Attualmente, Roman Pashkovskiy sta esplorando il tema dell’interazione tra uomo e natura, fotografando per lo più paesaggi urbani che sono raccolti in un progetto separato.

«Ho immaginato questo progetto come una sorta di lotta contro i cliché. La fotografia di stock è, dopo tutto, per lo più fatta di cliché; una collezione di immagini stereotipate che sono dettate dal mercato. Ci sono regole definite per il gioco, gli algoritmi e i tipi particolari di esecuzione. L’opportunità di ripensare a questo aspetto si è rivelata veramente utile. A me personalmente ha dato la possibilità di guardare alla realizzazione e all’esecuzione del mio lavoro in una nuova luce. In un periodo di tempo molto breve, sono riuscito a raggiungere qualcosa che ha anche aperto i miei orizzonti in un modo diverso.»

Fotografa d’arte: Polina Karpova

Polina vive e lavora a Kharkiv. Ha studiato all’Accademia di Arte e Design di Kharkiv. È un membro della Ukrainian Photography Alternative. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Ucraina e all’estero. Lavora da freelance come costumista e stilista per progetti musicali e produzioni teatrali ucraine.

«Quando ho scoperto che il progetto sarebbe stato realizzato in un grande studio, ho immediatamente immaginato che mi sarei trovata in un luogo simile ai padiglioni di Hollywood dove i personaggi sarebbero corsi avanti e indietro con il trucco. Le mie aspettative sono diventate realtà. In quattro delle cinque foto, ho fotografato la mia modella preferita e amica Yaroslava, l’eroina vista in gran parte del mio portfolio. Ho semplicemente aggiunto qualcuno che conoscevo bene come personaggio, ho usato la mia tecnica per la composizione. In generale, questo progetto mi ha dato la sensazione che prova un bambino che viene portato in un negozio di giocattoli, dove qualsiasi giocattolo può essere suo. Mi sono completamente immersa nel ruolo di un fotografo di stock.»

 

Fotografo di moda: Max Finogeev

Max vive e lavora a Odessa. Si occupa di fotografia dal 2009. La sua direzione principale nella fotografia commerciale è la moda. Dopo un corso di fotografia concettuale nel 2015 con Roman Piatkovka, ha iniziato a seguire attivamente le arti contemporanee. Vincitore del premio Fotografo dell’anno 2016, del primo concorso ucraino di mockup di libri fotografici del 2016, del festival Non Stop Media VIII 2016. Il progetto finale Season Closed, iniziato nel primo ciclo di scuola Bird in Flight, è stato esibito nel 2017 in una mostra personale nel museo di Odessa dell’arte occidentale e orientale.
«C’erano cinque storie diverse, cinque foto e un giorno per scattarle (circa 10 ore). Ho dato vita a cinque esperimenti diversi e mi sono sentito un po’ come una macchina realizzatrice di idee. Durante questo flusso di idee mi sono reso conto che fisicamente non sarei riuscito a elaborare ogni idea e a eseguirla in un modo che mi avrebbe reso felice. Ecco perché quando guardo i risultati della foto, non li percepisco come qualcosa di fatto e finito, ma piuttosto un esempio di futuri sviluppi e concetti. Il mio approccio è stato il mio desiderio di allontanarmi dalle decisioni letterali che generalmente scaturiscono dal tema principale. Per me, è stato importante trovare una metafora adatta che riflettesse accuratamente un lato (non sempre positivo) del fenomeno.»

 

Fotoreporter: Ivan Chernichkin

Ivan è un fotografo ucraino attualmente residente in Bojarka. Ha studiato fotografia artistica presso il Film Institute all’Università della Cultura. Dal 2004 lavora come fotoreporter ed è stato pubblicato in testate come New York Times, Daily Telegraph, Frankfurter Allgemeine Zeitung, nonché in riviste come Vogue, Russian Reporter, Ogoniok e Vokrug Sveta.
«Sono un fotografo documentarista. L’opportunità di assumere un ruolo completamente diverso è veramente importante per me. Durante la realizzazione di questa idea, proprio come faccio per i progetti personali, ho soprattutto osservato i modelli e li ho diretti. Le fotografie che ho scattato per questo progetto sono in qualche misura un test per il pubblico. In tutti gli scatti che ho eseguito, c’è un riferimento a famose opere d’arte o a lavori di fotografi famosi.»

Fotografo di nudi: Maia Iva

Maia Iva è una fotografa di 21 anni e modella di Kiev. Ha iniziato a fotografare molto prima di iniziare a studiare al corso di Victor Marushenko alla scuola fotografica Bird in Flight. Principalmente esegue ritratti fotografici di nudo e auto ritratti. È una femminista e ha una posizione forte contro l’oggettivazione del corpo della donna nella fotografia. In qualità di fondatrice e curatrice del gruppo artistico Fabrika, ha partecipato a più di 20 mostre.

«In passato, non ho mai avuto l’opportunità di lavorare con la fotografia di stock, quindi questo progetto è stato la mia prima esperienza. Inizialmente ero un po’ spaventata all’idea di poter interpretare male il genere e creare qualcosa di molto lontano dal risultato desiderato. Alla fine ho cercato di rendere la mia mancanza di esperienza un vantaggio e durante la creazione dei miei scatti mi sono mossa istintivamente. È molto interessante vedere le interpretazioni fotografiche di altri fotografi – c’erano tanti artisti insoliti. Nel processo di creazione del pezzo secondo la mia interpretazione, ho lavorato di più con associazioni strette e interpretazioni dirette. Penso che sia così perché il mio tema iniziale, che includeva un corpo nudo, non era possibile, e ho dovuto scavare un po’ più in profondità.»

Ad agosto, duecento anni di Koenig & Bauer

29 novembre 2014: il Times di Londra, il primo giornale a essere stampato sulla macchina a doppio cilindro di Friedrich Koenig e Andreas Bauer.

Dalla prima fabbrica al mondo di torchi rapidi del 1817: i festeggiamenti per questo anniversario tondo si terranno dal 21 al 23 settembre, quando ci saranno anche novità sulla la strategia e la presenza sul mercato nel prossimo secolo dell’azienda.

Ma facciamo un pò di storia…

Svolta decisiva a Londra

I tempi sono cambiati. Nei primi del XIX secolo, in Germania non c’erano ancora finanziatori amanti del rischio e neppure una vera industrializzazione. Per questo lo stampatore professionista e instancabile inventore Friedrich Koenig si recò a Londra nel 1807 per realizzare la sua visione di pressa da stampa azionata da una macchina a vapore. Nella capitale inglese incontrò il meccanico di precisione Andreas Bauer e, nel novembre 1814, sulla loro macchina a doppio cilindro fu stampato il primo giornale: The Times. Fu così che i due costruirono le basi per la stampa industriale garantendo l’accesso ai mezzi stampati anche a strati sociali della popolazione più vasti.

 

Produzione in convento

Il 9 agosto 1817, Friedrich Koenig e Andreas Bauer sottoscrissero l’atto costitutivo della fabbrica di torchi rapidi Koenig & Bauer nel Convento di Oberzell, nei pressi di Würzburg, e nel 1823 a Berlino fu stampato il Haude und Spenersche Zeitung, la prima pubblicazione su macchine di Oberzell del continente europeo.

Friedrich Koenig morì nel 1833. La vedova, Fanny Koenig, e Andreas Bauer continuarono la sua opera sviluppando nuove macchine e, nel 1838, veniva già consegnata la centesima macchina. Giovani leve ormai esperte se ne andarono per fondare fabbriche proprie, trasformando Oberzell nella culla della costruzione di macchine da stampa tedesche. L’epoca dei fondatori dell’azienda volse al termine nel 1860 con la morte di Andreas Bauer.

Conquiste precoci in campo sociale

I due figli Wilhelm Koenig e Friedrich Koenig jr. svilupparono nuove macchine, modernizzarono i processi aziendali e introdussero innovazioni in campo sociale. Dopo la cassa mutua di fabbrica, fondata nel 1855, nacquero nel 1865 una cassa di risparmio di fabbrica e, nel 1868, la scuola di addestramento della fabbrica come precursore dell’odierna scuola professionale aziendale di Würzburg. Lo statuto di fabbrica del 1873 definì diritti e doveri dei dipendenti e dei superiori e costituì un modello, la co-determinazione aziendale già oltre 140 anni or sono.

1876: inizia l’era della stampa da bobina

La prima rotativa per stampa tipografica fu spedita nel 1876 da Koenig & Bauer a Magdeburgo. Nel 1886, Wilhelm Koenig creò la macchina rotativa variabile, nel 1888 la prima rotativa a quattro colori e macchine speciali per stampati di lusso. Inoltre si occupò della stampa di banconote e carte valori. Nel 1895 abbandonò la fabbrica il 5.000esimo torchio rapido.

Albrecht Bolza, un nipote del fondatore, e Constantin Koenig amministrarono l’azienda dal 1895 fino agli anni Venti. Nella località che ospita l’attuale sede centrale nacque nel 1901 una nuova fabbrica. Il capannone di 225 metri di lunghezza era, allora, il più grande di tutta la Germania. Furono consegnate rotative rotocalcografiche e lo sviluppo delle macchine a foglio progrediva. Oltre alle macchina da stampa si fornivano in tutto il mondo anche presse per impressioni e macchine fonditrici per lastre.

Distruzione e ricostruzione

Al termine della Prima Guerra Mondiale, il dott. Hans Bolza, un pronipote di Friedrich Koenig, ripristinò i rapporti con l’estero interrotti dal conflitto conquistandosi grandi meriti. Nel 1920 fu eletto nel Consiglio di amministrazione dell’azienda trasformata in società per azioni e fu Presidente del CdA da 1931 al 1971.

Koenig & Bauer riuscì a superare l’iperinflazione degli anni Venti grazie all’impianto collettore di nuovo sviluppo Iris per la stampa di banconote a colori. Nel marzo 1945, gli statibilimenti di Würzburg vennero distrutti dalle bombe e da granate di artiglieria. Nel 1946 ebbe inizio la ricostruzione. Con un capitale sociale di 4,1 milioni di marchi tedeschi, Koenig & Bauer partì alla volta del miracolo tedesco nel 1949, dopo la riforma monetaria.

1952: successo della stampa di banconote e carte valori

Nel 1952 ebbe inizio la collaborazione con l’esperto di stampa di banconote e carte valori Gualtiero Giori. Un’altra importantissima tappa fu il 1951 con l’ingresso del giovane costruttore, il dott. Hans-Bernhard Schünemann, proveniente da una famiglia di editori di Brema. Il primo dei suoi oltre 250 brevetti fu la modifica della cosiddetta «croce di Malta» per la macchina rotocalcografica a foglio Rembrandt MT III da lui costruita. Nel 1959, il dott. Hans Bolza adottò il talentuoso costruttore.

Dal 1971 al 1995, il dott. Bolza-Schünemann fu Presidente del CdA per quasi venticinque anni e promotore del Gruppo KBA nascente nel 1990. Successivamente, fu il suo stretto collaboratore Reinhart Siewert, direttore finanziario di lunga data, a guidare con successo l’azienda. Alla volta del nuovo millennio lo seguirono Albrecht (2003–2009) e Claus Bolza-Schünemann (dal 2011) come rappresentanti della sesta generazione della famiglia alla guida del Consiglio di amministrazione.

Modelli di successo Condor e Rotafolio

Nonostante la crescente concorrenza dell’offset negli anni Sessanta e Settanta per le macchine da stampa a foglio e a bobina, Koenig & Bauer rimase fedele all’oramai collaudato metodo di stampa tipografica ancora per un lungo periodo di tempo. Oltre alle macchine per la stampa di banconote e agli impianti rotocalcografici Rembrandt, sviluppati insieme a De La Rue Giori, riscossero parecchio successo in tutto il mondo anche la macchina pianocilindrica a doppio giro Condor e la Rotafolio per lastre avvolgenti prodotta a partire dal 1963.

Alte prestazioni nell’offset a foglio dal 1974

La prima macchina offset a foglio fu presentata dall’azienda di Würzburg al drupa del 1967 con la Koebau-Rapida 0 in mezzo formato seguita nel 1969 dalla Koebau-Rapida III nel formato medio, entrambe con velocità fino a 8.000 fogli/h. La Koebau-Rapida SR III del 1974 presentava già velocità fino a 15.000 fogli/h, quasi il doppio. Macchine di altri costruttori raggiunsero velocità come queste solo molto tempo dopo.

Nel 1986, Koenig & Bauer lanciò sul mercato la Rapida 104 in linea, una macchina altamente flessibile e con velocità fino a 15.000 fogli/h che venne trasferita nel 1992 nella nuova affiliata KBA-Planeta AG, dove divenne la cellula germinale delle odierne macchine offset a foglio ad alta prestazione di Radebeul. L’attuale Rapida 106 con velocità fino a 20.000 fogli/h, cambi lavoro estremamente rapidi e fino a 19 gruppi di stampa e di finitura è, quindi, l’indice di riferimento per il formato medio.

Le odierne serie in formato grande Rapida 145 e 164 si rifanno alle Rapida 142 e 162 sviluppate a Radebeul negli anni Novanta in collaborazione con Würzburg. Le Rapida jumbo soppiantarono altri fabbricati in numerose tipografie e posero la prima pietra per la posizione leader di KBA-Sheetfed nelle classi del formato grande, posizione riconfermata da Radebeul nel 2003 con la Rapida 205, la macchina offset a foglio più grande al mondo.

Nel 2000, KBA Cortina segnò la tendenza verso rotative per giornali compatte.
Nel 2000, KBA Cortina segnò la tendenza verso rotative per giornali compatte.

Precursore di nuovi metodi

Come i franconi per le macchine da stampa a bobina, anche i sassoni cercarono una propria strada per trovare soluzioni più semplici ed economiche per le macchine a foglio, per esempio la macchina offset DI 74 Karat con trasmissione diretta delle immagini sulle lastre in macchina del 1997, sviluppata in collaborazione con l’israeliana Scitex Corp., e la sorella Rapida 74 G del 2000, entrambe dotate di gruppi inchiostratori senza viti per la stampa senz’acqua. Negli ultimi vent’anni, KBA si è dedicata con tutta se stessa a questa tecnologia innovativa e lungimirante dal punto di vista della qualità e dell’ambiente.

KBA-Sheetfed era ed è spesso precursore di processi innovativi per la finitura in linea, la stampa ecologica, la stampa diretta su cartone ondulato o, da ultimo, la stampa UV led. L’accesso al settore del finissaggio nel 2016 e la macchina a foglio digitale annunciata al drupa VariJET 106 aprono ulteriori prospettive.

Koenig & Bauer costruisce le rotative a getto d’inchiostro più grandi al mondo nello stabilimento di Würzburg.
Koenig & Bauer costruisce le rotative a getto d’inchiostro più grandi al mondo nello stabilimento di Würzburg.

Primi al mondo nella stampa da bobina

A Würzburg, l’era della stampa offset a bobina iniziò nel 1969 con la Commander. Con l’andare del tempo, le rotative satellite, allora dominanti, divenivano sempre più complesse. Agli inizi degli anni Novanta, si fece fronte a questa tendenza con le macchine con torri da otto Journal e Colora, alle quali si aggiunsero più tardi le serie a larghezza semplice Comet e Continent. Con queste macchine con torri da otto più economiche si acquisirono tanti nuovi clienti internazionali che contribuirono all’ascesa a numero 1 nella stampa di giornali.

Anche nel campo delle macchine da stampa a bobina, l’azienda di Würzburg tentò spesso cose nuove. Fu così che, già per il drupa 1995, produsse una Anilox-Express con cambio automatico delle lastre e testine di stampa a getto d’inchiostro di Scitex nella sovrastruttura. Le testine sovrastampavano in modo digitale caricature alternate in ciascuna copia offset. Ci vollero, tuttavia, quasi altri diciotto anni prima che la tecnologia inkjet venisse adottata anche per le rotative offset.

Con la Cortina di neanche quattro metri di altezza, KBA lanciò al drupa 2000 una nuova tendenza verso rotative per giornali compatte ad alto contenuto tecnico. Altre novità nella stampa dei giornali furono l’eliminazione dei gruppi di bagnatura, la torre da otto apribile al centro, i motori indipendenti per ciascun cilindro e la comodità di comando con ascensori sulle torri di stampa. Nel 2007 seguì la Commander CT nell’offset a umido, basata sullo stesso design. Entrambe le macchine sono ancor oggi uniche nel loro genere sul mercato.

Evoluzione dei media e riallineamento

Il world wide Web compì i suoi primi passi già nei primi anni Novanta e anche nella tecnica di stampa comparvero sulla scena nuovi concorrenti digitali. In seguito alla crescente concorrenza del mercato online e alla crisi finanziaria, nel 2008 il mercato delle nuove rotative offset subì un drastico crollo. Nel 2011, Koenig & Bauer fece il suo ingresso nella stampa digitale presentando al drupa 2012 la prima rotativa a getto d’inchiostro: la RotaJET 76. Oggi, con le serie RotaJET VL per la stampa di decorazioni e la HP T1100S per packaging in cartone ondulato costruita per l’americana HP Corp., a Würzburg si producono le rotative da stampa digitale più grandi al mondo.

Diversificazione precoce

Nel 1985, Koenig & Bauer decise di entrare in borsa. Con il rilevamento della Albert-Frankenthal AG e degli stabilimenti di macchine da stampa Planeta, agli inizi degli anni Novanta nacque un gruppo medio grande con un fatturato di oltre 1,1 miliardi di marchi tedeschi. Alla volta del nuovo millennio, il management promosse la diversificazione nei mercati meno colpiti dall’evoluzione dei media.

Con l’acquisizione del partner svizzero De La Rue Giori SA di Losanna nel 2001, KBA consolidò la propria leadership nel settore della stampa di banconote. L’acquisto della Metronic GmbH nel 2004 aprì le porte a KBA verso il grande mercato dei sistemi di codifica industriali. L’acquisizione della Bauer + Kunzi e della LTG Print Systems con successiva fusione nella KBA-MetalPrint GmbH rese KBA il numero uno nella stampa su metallo nel 2006. Con la KBA-Kammann GmbH, specializzata nella stampa di corpi in vetro, e della KBA-Flexotecnica S.p.A., operante nel settore dei packaging flessibili, KBA ampliò nel 2013 la propria offerta per il diversificato mercato degli imballaggi. Lo stesso scopo ebbe anche il rilevamento nel 2016 del produttore spagnolo di fustellatrici KBA-Iberica Die Cutters S.A.

La precoce diversificazione consentì a KBA di superare meglio di tanti altri grandi concorrenti il cambiamento strutturale avvenuto durante la crisi del settore. Alla fine del millennio, sui mercati invasi dai media online si registrava ancora oltre il 60% del fatturato con macchine nuove. Oggi il 90% ricade sui mercati in crescita della stampa digitale e dei packaging e delle carte valori.

Tecnica di stampa per tutte le esigenze

Con il riallineamento delle capacità orientato al mercato, l’introduzione di una struttura di holding vicina al cliente e il chiaro orientamento ai settori tipografici più promettenti per il futuro, negli anni 2014 e 2015 il costruttore di macchine da stampa più antico al mondo si è preparato al meglio per l’avvento della digitalizzazione e della globalizzazione.

Oggi, con le tecnologie analogiche e digitali di KBA si stampano, rifiniscono e, in parte, elaborano banconote, barattoli di latta, libri, brochure, espositori, decori, etichette, contenitori in vetro e in plastica, imballaggi in cartone e pellicola, cataloghi, laminati, riviste, pneumatici, cavi, smart card, volantini pubblicitari, giornali e tanto altro ancora. I processi comprendono pressoché tutti i metodi più conosciuti. Questa diversificazione crea un know-how unico nel suo genere per innovazioni, nuove applicazioni e solide collaborazioni.

Tra le macchine offset a foglio, la Rapida 106 è il riferimento nel formato medio.
Tra le macchine offset a foglio, la Rapida 106 è il riferimento nel formato medio.