Dopo la clamorosa Brexit, che rimarrà a lungo una fonte di insicurezza, e il fallito tentativo di formare un governo in Spagna, l’autunno 2016 è stato (e continuerà a essere) denso di appuntamenti che costituiscono altrettante incognite: il referendum xenofobo ungherese, la ripetizione delle presidenziali in Austria, l’elezione del futuro inquilino della Casa Bianca negli Stati Uniti e il referendum in Italia sulla nuova Costituzione e il nuovo Governo appena formato. Non bisogna dimenticare che anche nel 2017 ci saranno altri passaggi cruciali: le presidenziali in Francia e le elezioni politiche in Germania e nei Paesi Bassi. In questo quadro così composito si inseriscono altri fattori che complicano ulteriormente le analisi e le previsioni sull’andamento dell’economia mondiale. Ci troviamo dinanzi infatti a un vistoso invecchiamento demografico, a minori guadagni di produttività generati dalle attuali innovazioni, alla dispersione di capitale umano a causa dell’alta disoccupazione, a un ridotto tasso di accumulazione del capitale, al rallentamento fisiologico della Cina e, non ultimo, a uno strisciante protezionismo.
Nel contesto di accresciuta turbolenza globale l’economia italiana presenta una debolezza superiore all’atteso.
La risalita del Pil si è arrestata già nella scorsa primavera e gli ultimi indicatori congiunturali non puntano a un suo rapido riavvio, piuttosto confermano il profilo piatto. Secondo il Centro Studi di Confindustria che ha incorporato i dati più recenti in nuove previsioni, la crescita indicata per il 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente, non è per nulla scontata. Secondo il CSC il Pil italiano aumenterà quest’anno dello 0,7%, contro lo 0,8 inizialmente stimato, e dello 0,5% nel 2017, tornando a livelli di poco superiori ai valori del 2000. Si può parlare, a ragione, di oltre un quindicennio perduto per l’economia italiana. Una perdita che risulta ancora più grave se si raffronta tale deludente andamento con quello delle altre economie europee considerate, i cui livelli di Pil saranno l’anno prossimo saliti rispetto a quelli di inizio millennio di oltre il 20% (il 30% in Spagna). In effetti l’Italia ha confermato nella recente fase di recupero (iniziata nel 2015) la scarsa capacità di crescita già evidenziata prima della crisi: Germania, Francia e Spagna, infatti, allora erano cresciute molto di più, sono arretrate meno durante la Grande recessione e hanno recuperato più velocemente i livelli persi di Pil. Il gap di crescita, addirittura, si è ampliato dal 2007 in poi e le previsioni per quest’anno e il prossimo non lasciano intravedere una sua riduzione. Neanche nel medio periodo l’evoluzione si presenta migliore: l’Italia, infatti, ha visto ridursi non solo il livello ma anche la dinamica del Pil potenziale. Ciò rende ancora più urgente e necessario varare misure in grado di riportare la produzione italiana su ritmi di crescita più robusti, così da ridurre e possibilmente chiudere il differenziale rispetto alle altre principali economie europee.
Il traballante sistema Italia
Il dettaglio settoriale per l’Italia indica un marcato peggioramento nel manifatturiero. L’indice PMI manifatturiero, in area di espansione da febbraio 2015, segnala infatti nel periodo agostano il secondo netto calo mensile; si consolida, invece, l’espansione dell’attività nei servizi: l’indice PMI terziario è salito per il terzo mese consecutivo trainato dai nuovi ordini.
Nello scenario del Centro Studi la domanda finale interna (al netto delle scorte) farà da motore alla crescita nel biennio di previsione, contribuendo quest’anno per l’1% e il prossimo per lo 0,5%; l’apporto della domanda estera netta, invece, sarà negativo di due decimi nel 2016 e nullo nel 2017. Il CSC prevede inoltre che gli investimenti, ovvero la componente più ciclica della domanda interna, quest’anno aumentino dell’1,8%, in accelerazione dal +0,8% nel 2015, e nel 2017 dell’1,3%. Il principale sostegno proverrà dalla spesa in macchinari e mezzi di trasporto; anche quella in costruzioni è prevista in crescita dopo otto anni consecutivi di arretramento. Il più basso costo del credito e gli incentivi fiscali per l’acquisto di macchinari potrebbero infine contribuire a sostenere i piani di investimento delle imprese nei prossimi trimestri. Il basso grado di utilizzo degli impianti, la redditività intorno ai minimi e l’incertezza, politica e non, tendono invece a far rinviare i piani delle imprese.