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Font variabili: come funzionano in stampa?


Guida ai font variabili, una preziosa opportunità che consente di avere pressoché infinite declinazioni di ogni singolo font


Era il 14 settembre 2016 quando quattro colossi della tecnologia mondiale, Adobe, Apple Google e Microsoft annunciavano i variable font, tra le innovazioni più promettenti degli ultimi anni in fatto di gestione caratteri; era quello che il mercato in quel momento chiedeva a gran voce per far fronte alle necessità creative dei designer e alla complessa gestione delle varianti che richiedeva singoli file per ogni declinazione specifica. Una rivoluzione importante tanto quanto il passaggio da TrueType a OpenType: le font variabili, introdotte nella specifica di OpenType 1.8 promettevano una flessibilità mai vista in termini di opzioni e varianti, che avrebbero consentito di avere pressoché infinite declinazioni di ogni singolo font.

Cosa sono i variable font?

Tra le definizioni che a mio parere meglio rendono l’idea di font variabile, cito questa: «A single font that behaves like multiple fonts». Lo schema proposto aiuta a meglio comprendere la questione.

La rappresentazione grafica per descrivere un font variabile

I type designer possono disegnare i master (in giallo) che descrivono gli estremi del loro font così che ogni glifo possa “muoversi” all’interno dello spazio tridimensionale creando variabili ad hoc. Questo può valere, ad esempio, per la spaziatura, l’inclinazione e tutte quelle caratteristiche tipiche di un font. Non mancano applicazioni in ambito creativo: diversi progettisti hanno sperimentato l’uso delle variabili con pattern applicati ai contorni o al riempimento dei glifi offrendo uno risultato stilistico che lascia credere a una soluzione disegnata su misura nonostante sia solo una declinazione di un parametro variabile.

Ogni font può avere una o più caratteristiche variabili a seconda del progetto del type designer. La loro combinazione permette di avere migliaia di declinazioni differenti senza generare altrettanti file: questo schema non necessita della creazione di file separati (per il bold, il black, l’italic per esempio) e tutte le informazioni sono contenute in un singolo file dalle dimensioni ridotte. Due vantaggi, quello della dimensione dei file e delle infinite variabili, che se si aggiungono alla capacità di adattarsi a seconda del dispositivo su cui è visualizzato (nel caso di supporti digitali) confermano l’aspetto rivoluzionario dei font variabili. Ma, come per ogni rivoluzione, gli aspetti negativi si palesano quando si passa dalla teoria all’applicazione. E con l’ultima release della Creative Cloud, che ha introdotto proprio l’uso delle variabili, qualche sorpresa dovevamo aspettarcela.

I marketplace

Se siete soliti usare il servizio di font di Adobe, avrete notato le nuove icone che differenziano i font variabili dagli altri. Anche Google nella nuova versione di Google Font, ha integrato la ricerca di font variabili, molti dei quali scaricabili gratuitamente. Il loro utilizzo non cambia il workflow dell’impaginatore che, anzi, ha un’arma in più per rendere i testi più leggibili e graficamente riconoscibili. Ma come si sono adeguati i marketplace on line? Molti di questi non hanno ancora sezioni dedicate ai font variabili e, tra quelli che offrono il servizio di riconoscimento font da immagine, nessuno riesce a stabilire con precisione la famiglia di appartenenza di un font variabile. Spesso la variabilità del glifo porta fuori strada l’algoritmo di riconoscimento, offrendo un risultato che si avvicina dal punto di vista visivo ma che non è mai preciso. Contattando i principali marketplace suggeriti dalle community di grafici e creativi (come, ad esempio, Dafont o MyFonts) ho avuto la conferma che, ad oggi, non sono disponibili strumenti di analisi font dedicati e studiati sui font variabili. Questa riduzione dell’offerta è sicuramente un primo punto negativo, che fa storcere il naso a tutti coloro che hanno abbonamenti o pacchetti spendibili su queste piattaforme non aggiornate.

Il PDF

Per chi si occupa di stampa, l’esportazione PDF non ha subito alcun cambiamento. Ma questa non è una buona notizia. Infatti il vostro PDF non è in grado di archiviare le informazioni sulle variabili, limitando di fatto le possibilità di modifica in Adobe Acrobat. Provate ad esportare un PDF da InDesign o Illustrator 2020 utilizzando un font variabile e apritelo in Acrobat. Le modifiche di battitura sul testo vi saranno proposte con font alternativi, mentre i colori e le opzioni di paragrafo sono supportati senza troppi problemi. È la stessa Adobe a confermare, prevedendo almeno due anni prima che queste funzionalità possano essere inserite nello standard PDF.

Modifica del PDF con font variabile in Adobe Acrobat PRO

Le soluzioni

Da uomo prestampa mi sono chiesto quale fosse la soluzione migliore per gestire i casi in cui, sotto indicazione del cliente, mi sia richiesta una modifica di testo su un PDF. Una procedura sempre valida è senza ombra di dubbio tornare a lavorare sui file nativi, esportando un nuovo PDF e evitando modifiche ulteriori. Nei casi più estremi, plugin come PitStop possono offrire un supporto parziale, potendo convertire i font in tracciati per modifiche legate alla dimensione o alla posizione delle scritte. Nulla purtroppo possono per gli errori di battitura, che devono necessariamente tornare all’origine.

La conclusione

Benchè la scelta di introdurre i font variabili possa essere considerata avventata, non possiamo non considerare i benefici che ne traggono figure professionali che lavorano a cavallo tra comunicazione stampata e digitale. Nonostante l’implementazione dei browser non sia stata rapida come ci si aspettava, soprattutto per i progetti web i benefici sono stati evidenti già dalla prima applicazione, con una fruizione migliore dei contenuti testuali e una notevole riduzione di spazio sui database di siti e applicazioni.

Per la stampa questo è a tutti gli effetti l’anno zero ma c’è da essere ottimisti: le richieste degli utenti non si sono fatte attendere e sono loro gli unici che possono stimolare lo sviluppo del formato PDF che potrebbe avere un’accelerata come non si vedeva da anni. Si tratterà di un cambio epocale e tutti gli attori della filiera (RIP e Workflow inclusi) devono stare alla finestra per analizzarne gli sviluppi.

Risorse utili e di approfondimento

Sono ancora poche le informazioni specifiche sull’applicazione dei font variabili nel mondo della stampa. Diverse invece quelle dedicate all’argomento in generale e alla sua applicazione in ambito digitale e web, con tutti gli accorgimenti di sintassi utili all’implementazione dei font variabili nei codici. Tra le risorse che consiglio c’è sicuramente Axis Praxis che permette di testare le variabili di oltre 30 font, simulando a video anche l’aspetto responsive. Un’altra risorsa è V-Fonts che permette anche di recuperare le informazioni di utilizzo e copyright dei font, in modo che possano essere utilizzate anche per scopi commerciali. Infine, per tutti i professionisti del web, rimando alla sezione del sito Css-Tricks dove sono raccolti tutti i suggerimenti per la corretta implementazione dei font variabili nei codici CSS.


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Grafici e tipografi: la vera coppia creativa

Patrizia Anna Coccia Creative director, pirate designer, community manager, founder della community “Pirati Grafici” analizza per Italia Grafica le dinamiche di questo delicato rapporto.

Il processo di separazione della figura del graphic designer e del tipografo è durato diversi anni e vede molte circostanze e figure indirettamente responsabili “dell’accaduto”. Parliamo di una situazione del tutto recuperabile e per capire meglio le varie dinamiche dobbiamo fare un breve e velocissimo viaggio nel passato.


Con grafico o operatore grafico si definisce “il personale tecnico che coordina le macchine per la stampa in tipografia o litografia”.

Il tipografo si distingue dal graphic designer per la profonda conoscenza dei processi e dei metodi di stampa: è colui che si occupa dell’ultima lavorazione del prodotto stampato.

Il graphic designer è genericamente “il creativo attivo nell’ambito della comunicazione visiva”: può essere specializzato in pubblicità, nell’editoria, nell’illustrazione. Ci sono brand designer, web designer, UI/UX designer, packaging designer, type designer, responsabili del layout, photo editor, 3D artist e così via. Ogni designer, quindi, è specializzato nel proprio settore specifico. O almeno è così che dovrebbe essere!

Una volta esistevano solo le agenzie di comunicazione

I freelance erano ancora figure mitologiche: i programmi di grafica non erano né diffusi, né popolari quanto lo sono oggi e la comunicazione era per lo più “pura”, libera da troppi condizionamenti.

I protagonisti principali delle varie campagne pubblicitarie e della comunicazione di piccole e medie imprese erano le agenzie, composte da art director in coppia col copywriter. Nello staff non potevano mancare il direttore creativo, l’account e tutte le varie figure tecniche come l’analista, il montatore video, il fotografo, il regista ecc. Tutti, insieme, appassionatamente per un unico obiettivo: comunicare al meglio.

La nascita e la diffusione dei software di grafica

Dall’algoritmo di Paul de Casteljau che decretò la nascita dell’idea di grafica vettoriale (1959), bisogna attendere il 1986 per il primo software vettoriale vero e proprio, Adobe Illustrator, e altri 2 anni per il più amato dai tipografi, ovvero Corel Draw. Nel 1998 arrivò il mitico e compianto Aldus Freehand.

L’impegno degli sviluppatori è sempre stato quello di migliorare i software nell’aspetto tecnico ma soprattutto di renderli sempre più semplici e performanti per un pubblico più vasto. Una scommessa, quella dell’usabilità, che Adobe ha vinto alla grande, soprattutto dopo l’acquisizione di Photoshop, precisamente 30 anni fa.

Il successo di questi programmi dipese, come abbiamo già detto, dalla qualità della programmazione ma una grande mano arrivò dalla Apple: i software si diffusero proprio quando i sistemi desktop iniziavano a moltiplicarsi. Un terreno molto fertile, insomma.

Programmi di grafica per tutti

L’avvento di internet e poi dei social diede la possibilità a chiunque lo volesse, di raggiungere un numero di informazioni spaventoso: la passione di molti iniziava a diventare “volontà di mettersi seriamente in discussione nel settore”. Tutorial, corsi on line. La condivisione della conoscenza che prima di quel periodo, in realtà, ognuno teneva un po’ per se.

Una rivoluzione incredibile nel mondo della comunicazione: il digital che scardina totalmente quelle che erano le basi della società, del lavoro. Il numero di persone che riuscivano a mettersi in contatto aumentava in modo esponenziale. I forum raggruppavano appassionati che riuscivano a confrontarsi, lasciando a disposizione di tutti preziosi topic già discussi tecniche e consigli pratici su come gestire i progetti. Ognuno poteva fare domande e ottenere risposte preziose che servivano per colmare le lacune di una formazione liquida e diversa, mai sperimentata prima.

La tecnologia per tutti: da una parte tantissime persone hanno potuto conoscere l’affascinante mondo della grafica e dall’altra in troppi hanno iniziato a credere che servisse solamente conoscere quegli strumenti per ottenere un buon prodotto finale.

Formazione atipica

In quel periodo nascevano silenziosamente le figure che oggi spopolano nel mondo della comunicazione: i freelance. Sebbene in molti continuavano a seguire un percorso didattico classico, passando attraverso la formazione delle università e delle scuole di design, tanti altri iniziavano ad imparare prima dalla tecnica e dai software, probabilmente mettendo da parte la cultura visiva.

In un certo senso il mercato aveva bisogno di queste figure: tantissimi sono i designer nati al di fuori dei percorsi canonici, quelli che sono riusciti a sviluppare capacità tecniche importanti con fatica e dedizione, senza seguire un percorso battuto. I designer “non canonici” hanno avuto dalla loro la possibilità di esprimersi al 100 per 100 senza restrizioni, risultando anche molto abili nell’uso dei software e di nuove tecniche. Certo, non senza problemi: è chiaro che non avendo le basi gli errori potevano essere dietro l’angolo.

In qualsiasi caso freelance non è sinonimo di “autodidatta”: molti laureati in design, alcuni per scelta, altri per mancanza di lavoro decidono di lavorare in proprio, iniziando con prestazione occasionale per poi aprire partita iva in caso di “successo”.


La tipografia rende vivo il design, comunica l’emozione di un progetto accattivante, costruito ad hoc su supporti capaci di potenziare al massimo il messaggio


Le tipografie on demand

In questo quadro inizia a spopolare la stampa on demand. I professionisti volevano prezzi vantaggiosi? Allora ecco le proposte: prodotti standard a prezzi bassissimi, puntando alle grandi quantità. Il successo di questo sistema è ancora sotto gli occhi di tutti. Non si discute, quindi, sulla presenza di queste realtà ma di quello che hanno generato nelle retrovie: si è perso il rapporto tra designer e tipografo, il rapporto con il definitivo di stampa.

Il template, unico incontro tra designer e stampa

Il designer dimentica spesso di considerare i supporti, ponendo al centro dell’attenzione il progetto grafico a discapito del prodotto finale. Dopo aver terminato l’elaborato, non resta che scaricare il template dell’azienda, “metterci su” la propria grafica secondo i dettami specificati e via in stampa.

Tutto è iniziato con i volantini, manifesti e grande formato ma presto l’abitudine del “mandare in stampa al prezzo migliore” è diventata così “scontata” che le aziende hanno iniziato, giustamente, a proporre anche altre tipologie di prodotti a prezzi vantaggiosi, riuscendo ad aumentare sempre più le vendite.

L’impulso al risparmio e la poca attenzione al progetto

Sicuramente le aziende on demand, qualcuna più delle altre, puntano da sempre ad aumentare la qualità di stampa e a ripristinare il minimo sindacale del rapporto con i designer: dopotutto ogni progetto dovrebbe assolutamente essere creato considerando la qualità dell’uso finale, l’esperienza tattile della carta, delle forme esclusive. Le tipografie on demand hanno cercato di ovviare a questo problema inviando campionari e si, hanno fatto l’ennesimo centro.

Dopo questo veloce tuffo nel passato abbiamo capito quante siano state le dinamiche che hanno portato all’allontanamento del tipografo dal designer. E c’è un bisogno incredibile di ripristinarlo e renderlo più forte, duraturo.

La vera coppia creativa: designer e tipografo

L’emozione di un design accattivante costruito ad hoc su supporti capaci di potenziare al massimo il messaggio, capaci di dare quelle sensazioni tattili e visive che restano impresse come segno indelebile di qualità e attenzione ai particolari: la tipografia rende vivo il design.

Bisogna unire le forze per rilanciare la qualità, perché è quella che bisogna vendere, solo quella.


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ANES, la comunicazione B2B non si ferma

Sono giorni governati dall’incertezza, per questo ANES – Associazione Nazionale Editoria di Settore ci tiene a sottolineare che gli attori della comunicazione B2B, tecnico-professionale e specializzata non si fermano e vogliono rappresentare un punto di riferimento sicuro per lettori e investitori pubblicitari.

Il mercato B2B ha cicli decisionali lunghi, tanto che a volte un decisore impiega mesi per scegliere cosa acquistare e da chi.

In momenti come questo una comunicazione col giusto tono di voce è essenziale per guidare le vendite dei prossimi mesi, e certamente è preferibile al silenzio.

Per questo gli editori B2B, tecnico-professionali, specializzati non si fermano.

Nuova data: Fespa Global Print Expo sarà a ottobre

Fespa ha annunciato oggi che Global Print Expo, si terrà all’IFEMA – Feria de Madrid dal 6 all’8 ottobre 2020, insieme a European Sign Expo e Sportswear Pro. Le tre mostre, originariamente previste dal 24 al 27 marzo, hanno dovuto essere rinviate, come vi abbiamo annunciato, a causa dei disagi causati dall’epidemia di COVID-19 nell’Europa continentale.

Il Ceo di Fespa, Neil Felton, afferma: “Nonostante l’impatto che il Coronavirus sta avendo sul settore della stampa, abbiamo avuto molte richieste svolgere la fiera nel 2020. Pertanto, siamo estremamente lieti di confermare che le nostre manifestazioni andranno avanti nelle date riprogrammate e siamo molto grati al team di IFEMA, che ha sostenuto pienamente la nostra decisione in queste circostanze straordinarie. Durante questo difficile periodo, rimaniamo in continuo dialogo con i nostri espositori per stabilire come Fespa sia in grado di supportare al meglio il lancio dei loro prodotti sempre nel 2020, di coinvolgere i clienti esistenti e di aprire nuove prospettive di crescita nel settore della stampa specializzata”.

Guandong, l’aggiornamento continua con i Coffee Webinar

Anche in questo periodo difficile per tutti l’inventiva di Guandong non viene meno.

In particolare, l’azienda si è ispirata a un rito sacro per molti: il momento del caffè che, ora più che mai, può riconnetterci e riportarci in piazza per parlare e scambiare idee. Questo simbolo unito alla tecnologia dà vita a una serie di webinar, i coffee webinar, organizzati da Guandong per restare ancora più vicina ai suoi clienti.

“Da un periodo così complesso e inaspettato, ci siamo inventati una splendida opportunità per consolidare ancora di più il rapporto con i nostri clienti e per mantenere i motori caldi”, commenta Daniele Faoro, amministratore delegato di Guandong.

Dal 18 marzo fino a inizio maggio, tutti i giorni alle ore 14:00, il management e gli esperti del team aziendale si collegheranno per una sessione di formazione interattiva sui prodotti e sulle soluzioni Guandong della durata di circa venti minuti.

Per partecipare scrivere a: info@guandong.eu

 

 

Le imprese della Federazione Carta e Grafica in prima linea nell’emergenza Coronavirus

Scaffali svuotati e subito riforniti: dalla pasta ai legumi, carni, salumi e formaggi confezionati, prodotti da forno e per la colazione, detersivi, prodotti per l’igiene personale e per la casa, tissue. L’emergenza Coronavirus fa crescere a due cifre la domanda nei supermercati e nei negozi di alimentari e di articoli per la casa. La confezione di ogni prodotto (e in alcuni casi il prodotto stesso, come fazzoletti, tovaglioli e carte per uso igienico), presente sullo scaffale nasce da una filiera che per l’emergenza non può fermarsi, anzi deve accelerare la produzione: quella rappresentata dalla Federazione Carta e Grafica.

Dalle aziende del settore sale oggi un messaggio forte di presenza attiva e di fiducia per il Sistema-Italia. Con le necessarie cautele, sono al lavoro a ritmi serrati per supportare acquisti cresciuti del 10,6% fra il 2 e l’8 marzo, con punte al Sud del +20,5% (fonte IRI, riportata da Prima Comunicazione). Accanto alla grande distribuzione, alla quale è riferito il dato, e commerce e informazione, con giornali e libri, sono altri settori chiave interessati dalle dinamiche di questo periodo di restrizione in casa della popolazione: il commercio elettronico, con la connessa esigenza di imballi, ha segnato un balzo del 73% nel periodo fra il 22 febbraio e l’8 marzo rispetto al medesimo periodo dell’anno scorso.

L’intera filiera industriale riunita nella Federazione Carta e Grafica, a cui fanno capo le imprese di Acimga (produttori di macchine per la stampa e il converting), Assocarta (gli industriali della carta) e Assografici (imprese grafiche e di stampa) sta producendo uno sforzo straordinario, in giorni complicati per logistica, spostamenti, incolumità dei lavoratori. La Federazione rappresenta attività per un fatturato complessivo di 24,9 miliardi di euro, pari a 1,4 punti di Pil, con saldo attivo della bilancia commerciale di 3,6 miliardi, realizzato da 18mila imprese che danno lavoro a oltre 170mila persone (dati 2018). I preconsuntivi 2019 segnano una battuta d’arresto per fatturato (-1,6%) ed export (-4,3%). La filiera dà un contributo decisivo anche all’economia circolare, soprattutto con il settore della carta, in cui si riesce a riciclare il 57% dei materiali con punte dell’82% nel caso degli imballaggi, in anticipo rispetto ai target europei 2030.

Il ruolo di questa industry, nella fase di emergenza, oltre che per la grande distribuzione è strategico per il comparto farmaceutico, nei settori dell’informazione e della cultura (quotidiani, riviste e libri) e nell’igiene (con le carte igienico-sanitarie). Tenendo conto anche del supporto fondamentale che le cartiere offrono alle amministrazioni locali nella catena della raccolta differenziata urbana, come infrastrutture per il riciclo.

“Le nostre aziende offrono un esempio della capacità di soddisfare esigenze pressanti della collettività, abbinata alla necessità di non fermare il sistema industriale italiano — dichiara Girolamo Marchi, presidente della Federazione  —. In questo momento siamo particolarmente impegnati e responsabilizzati, pur tra mille problemi e salvaguardando la salute dei lavoratori: senza il packaging realizzato dalle nostre imprese, da cui escono gli imballi destinati poi al dosaggio e confezionamento finale nelle industrie dei prodotti food e non-food, si fermerebbe la catena distributiva, l’e-commerce non potrebbe confezionare e consegnare, senza le nostre imprese di stampa anche il settore dell’informazione andrebbe in crisi. La carta è, inoltre, un presidio fondamentale per l’igiene e i nostri produttori di macchine, orgoglio del made in Italy, sono al lavoro per rispettare i tempi di consegna e fornire assistenza anche da remoto, grazie alle tecnologie dell’Industria 4.0, ai clienti di tutto il mondo a dispetto delle difficoltà nei collegamenti internazionali. Consapevoli di tutto questo — conclude Marchi —, siamo tenacemente in prima linea grazie a maestranze qualificate, il cui spirito di dedizione merita il nostro plauso, e con gli imprenditori presenti in azienda ogni giorno, a fare la nostra parte per le esigenze di oggi e per contribuire alla ripresa che verrà”.

Acimga, come sta vivendo il settore l’emergenza Coronavirus

I produttori di macchine per il packaging offrono assistenza a distanza grazie alla
tecnologia. Il settore regge, ma il blocco delle frontiere si fa sentire: serve un
lasciapassare.
Continuare a fornire assistenza e manutenzione, in Italia e all’estero, quando anche
raggiungere il proprio luogo di lavoro può essere complicato, sembra una sfida a dir
poco impossibile. Eppure i produttori italiani di macchine per il packaging, la stampa
e il converting (che esportano circa il 60% della loro produzione) stanno
riuscendo nell’impresa. Tecnologia all’avanguardia, sensori nei macchinari e
soprattutto connessione con e tra le macchine sono l’arma a disposizione dei
costruttori italiani contro il Covid-19 e le restrizioni agli spostamenti.

Dai primi dati (in continuo aggiornamento) raccolti attraverso una survey da Acimga,
l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di macchine del
packaging, printing e converting, circa due aziende su tre non hanno riscontrato un
aumento delle assenze del personale dovuto a malattie, scioperi oppure a causa di
difficoltà a raggiungere il posto di lavoro. Mentre quasi 9 aziende su dieci non hanno
ricorso alla cassa integrazione. Una percentuale che potrebbe però cambiare se la
crisi dovesse prolungarsi (il 50% ha intenzione di ricorrere agli ammortizzatori sociali
in tale scenario).
Se il focus viene spostato dal personale alla produzione di macchinari, la situazione
cambia. Circa un’azienda su tre ha visto una riduzione della produzione dal 50 al 75%;
una su quattro ha un rallentamento che va dal 25% al 50%. Mentre circa una
su dieci non ha avuto contraccolpi e una su tre sta vivendo un calo lieve della
produzione (da 0 al 25%). Questa apparente contraddizione tra presenza del
personale e capacità produttive si spiega con una contrazione delle commesse, la
difficoltà di raggiungere i clienti dentro e fuori i confini nazionali, e la riduzione
dell’incoming dei compratori dall’estero. In questo scenario, la metà delle aziende sta
subendo perdite di fatturato di almeno il 20%, una su quattro ha pochi contraccolpi sul
bilancio e il 19% ha invece perdite consistenti (almeno il 50% del fatturato). Una
situazione che tutti però vedono in peggioramento in caso di durata trimestrale della
crisi (in questo caso il 94% degli intervistati ritiene che avrà perdite che vanno da
almeno 20% ad almeno 50% del fatturato).
“E’ uno scenario difficile – spiega Aldo Peretti – presidente di Acimga. Abbiamo tecnici
e venditori bloccati. Fortunatamente molte aziende del settore, già da anni e in ottica
di Industria 4.0, si sono attrezzate per fare assistenza da remoto. Molte macchine
italiane sono dotate di sensori per monitorarle a distanza e diverse imprese hanno
programmi di manutenzione predittiva, per evitare il blocco delle produzioni e
intervenire prima del guasto. Grazie a questi servizi riusciamo a garantire che le
macchine del packaging non si fermino in caso di problemi. Un servizio che adesso non è solo commerciale, ma quasi sociale. La catena dei rifornimenti del food e dei
farmaci non può fermarsi e anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Finora, tra l’altro,
gli italiani venivano additati come gli untori con i nostri competitor esteri a trarne
vantaggio. Adesso che il problema è globale, l’Italia deve uscire quanto prima dalla
crisi e mettersi al servizio della filiera in tutto il mondo. Per questo, come Acimga –
insieme a Federmacchine e a Confindustria – abbiamo chiesto ai ministeri competenti,
appena possibile, di realizzare un lasciapassare medico che certifichi lo stato di buona
salute per i nostri tecnici e che sia riconosciuto all’estero. In questo modo, quando
(speriamo presto) la curva dei contagi in Italia sarà in discesa e il resto d’Europa sarà
ancora nel pieno della crisi, potremo ripartire con l’installazione delle macchine, per
ora bloccate, e con l’assistenza in loco, laddove necessaria, all’estero. In questo modo
garantiremo che anche altrove la filiera del packaging, adesso più che mai vitale, non
si blocchi e ridaremo slancio al settore”.

Indagine di Confindustria: Covid-19 e imprenditoria italiana

Oltre 6mila imprese hanno partecipato all’indagine di Confindustria effettuata on line per ascoltare le aziende italiane – anche le non associate – in merito agli effetti e alla preoccupazione dell’epidemia di Covid-19 che sta attraversando l’Europa e si sta diffondendo ormai in tutto il mondo.

Dall’indagine è emerso come il 67% del campione abbia registrato impatti sulla propria attività a causa della diffusione di Covid-19 in Italia, percentuale che sale al 71% circa per le imprese delle due regioni più duramente colpite dal Coronavirus, la Lombardia e il Veneto.

Per quanto riguarda i settori, se a risentire più fortemente della situazione contingente sono state le attività legate a trasporti, alloggio e ristorazione, nel manifatturiero già il 62% delle imprese intervistate ha ravvisato effetti negativi. I comparti con maggiori difficoltà sono stati quelli dell’abbigliamento, della lavorazione dei pellami, dei mobili e arredo.

Quasi il 30% delle aziende sta risentendo della situazione in termini di fatturato – per il 19% del campione questi danni si dimostreranno significativi in quanto richiederanno una riorganizzazione del piano aziendale –, il 6% dichiara di avere avuto disagi nelle catene di subfornitura, mentre il 22% ha sperimentato entrambi i problemi.

Altri danni si riscontrano nella mancata partecipazione e cancellazione di fiere ed eventi promozionali, come dichiara il 26% dei rispondenti.

E ancora, raggiungimento degli obiettivi dell’anno in corso in dubbio per circa il 12% delle imprese, sebbene occorre sottolineare come, a causa dell’elevata incertezza della situazione, molte imprese non si sono azzardate in previsioni. Si fanno sentire anche gli effetti sul mondo del lavoro, con il 5% delle aziende che dichiara di avere già dovuto ricorrere alla cassa integrazione ordinaria.

L’indagine, pubblicata il 13 marzo 2020 a cura dal Centro Studi Confindustria e dell’Area Affari Internazionali di Confindustria, presenta i risultati basati su dati raccolti fino all’11 marzo 2020. Data l’evoluzione dalla situazione, Confindustria non esclude di ripetere l’indagine per avere una visione più aggiornata in merito all’impatto della diffusione epidemica legata al coronavirus.

Grafica Veneta, pronta una linea di produzione per le “mascherine”

Rispondendo all’appello del presidente della regione Veneto Zaia, Grafica Veneta mette in campo una linea di produzione per le “mascherine” a tempo di record. Secondo il Mattino di Padova la capacità produttiva sarebbe di un milione di pezzi, in modo da soddisfare i bisogni nazionali, non solo del Veneto. Si tratterebbe di una linea che parte da zero, non un semplice assemblaggio di componenti di importazione. Stiamo parlando di  “schermi protettivi” per bocca e naso. «Non “mascherine” – sottolinea l’azienda – perché per poterle definire così servono autorizzazioni e certificazioni che l’azienda spera di ottenere nel più breve tempo possibile per procedere operativamente e con tutte le garanzie del caso. In un contesto confermato di pandemia si tratta di dotare la cittadinanza di schermi e strumenti che possano aiutare a limitare il contagio negli spostamenti di primaria necessità».
Il presidente del Veneto punta a far produrre le mascherine anti virus nella sua regione, ma è necessaria una risposta da parte delle autorità competenti, fra cui il Ministero della Salute.
Da parte sua Fabio Franceschi di Grafica Veneta spiega che «siamo  ancora in attesa delle autorizzazioni necessarie a procedere, ma abbiamo  messo in campo professionalità e tecnologia d’avanguardia per poter rispondere alla richiesta impellente di misure di contenimento secondo le nuove disposizioni e ordinanze legate all’emergenza sanitaria. Per stampare grossi quantitativi di “mascherine”, e poterle definire tali, servono le certificazioni che l’azienda spera di ottenere nel più breve tempo possibile per cominciare operativamente e lavorare con tutte le garanzie del caso».

Emmanuel Bareaud presidente di Flint Group Narrow Web

Flint Group ha annunciato la nomina di Emmanuel Bareaud a presidente Narrow Web a partire dal 30 marzo 2020.

Bareaud vanta una grande esperienza nel settore avendo lavorato presso AkzoNobel; è stato direttore EMEA per Packaging Coatings e anche direttore NW Europe e European key accounts per Metal Coatings. In entrambi questi ruoli ha dimostrato lungimiranza strategica e intuito commerciale alla guida di un team che ha fatto crescere il business e ampliato i margini.

Nel suo nuovo ruolo, Emmanuel succederà a Guillaume Clement che lascerà l’attività entro la fine di aprile 2020 per assumere la posizione di CEO di un’azienda di private equity in un altro settore.

Antoine Fady, CEO di Flint Group, ha dichiarato: “Vorrei ringraziare Guillaume per il suo importante contributo alla nostra azienda negli ultimi sette anni. Ha sviluppato un’ottima strategia, un’ampia gamma di prodott ia livello mondiale, e un team pronto ad affrontare le sfide e a vincere sul mercato. Inoltre, Guillaume ha guidato il cambio di passo nella crescita di Flint Group con i key accounts internazionali. Lo ringraziamo per il suo contributo e gli facciamo i nostri migliori auguri per il futuro”.