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Una pioggia di inchiostro colorato

La stampa a getto d’inchiostro ha un ampio campo di applicazioni come tessile, commerciale, industriale in rapida crescita e larga espansione. E gestire il colore è l’operazione principale per garantire qualità, stabilità, economicità

Il mondo della stampa inkjet è vasto e la gestione del colore richiede di calarsi nei vari campi di applicazione. Esistono alcuni punti comuni fondamentali su cui si concentra molta ricerca e analisi: la formazione dei punti e l’assorbimento dei supporti. Sono elementi di analisi importanti perché da questi dipende la leggibilità, la nitidezza, la luminosità e la saturazione dei colori, la velocità di stampa, i supporti utilizzabili.

Quando Landa presentò la prima volta il suo inchiostro a nanotecnologie fece un paragone diretto con la stampa inkjet descrivendola come una tempesta di gocce che inzuppano il supporto in profondità facendo perdere saturazione e nitidezza della stampa.

In fondo aveva solo giocato con il pensiero comune diffuso che tutti avevano già visto con le stampanti inkjet a casa, ma se al tempo era plausibile anche se iperbolico, rivederlo oggi è umoristico tanto che l’attesa della drupa 2020 sarebbero state, appunto, le macchine da stampa inkjet a foglio.

La questione delle gocce

Attualmente il problema del contenimento della forma delle gocce e dell’assorbimento sul substrato è gestito in tre modi: supporti multistrato, stesura di primer, asciugatura rapida. Il mantenimento della forma della goccia permette di avere nitidezza e di poter avere un retino ben distribuito che restituisce, visivamente, una sensazione di uniformità simile a un tono continuo; dal punto di vista colorimetrico consente di poter sfruttare appieno la luminosità del supporto utilizzato e di avere stampe lucide, opache, satinate, sature sempre con pulizia del dettaglio. Senza questo alcune tinte e sfumature sono compromesse e le attese qualitative sono progressivamente ridimensionate.

Un esempio vicino al mondo della stampa è la situazione che si verifica valutando una prova contrattuale inkjet e il campione a confronto. Il supporto utilizzato per la prova contrattuale è solitamente un multistrato a bianco calibrato, stampato su una stampante di grande formato multipass (testa di stampa mobile), il cui inchiostro a base acqua a pigmento o colorante (dye) penetra nel primo strato del supporto, che forma una pellicola protettiva, ed è fermato da uno strato barriera che ne impedisce il progressivo assorbimento.

Ecco spiegato anche perché la misurazione deve attendere del tempo affinché l’inchiostro sia completamente asciutto (a meno che si faccia una lettura spettrometrica in status M3). Nei sistemi di stampa single pass (ad array di teste fisse) il substrato si muove per cui la stabilità della forma della goccia è penalizzata dal movimento. Tipicamente si parla di stampa inkjet ad alta velocità su macchine da stampa a bobina e a foglio e il primo effetto di questo movimento è la riduzione della risoluzione massima ottenibile e del numero di gocce stampate per pollice/centimetro quadrato. Questo è determinato dalla capacità recettiva del substrato, del relativo assorbimento e asciugatura.

Allo scorso Labelexpo avevamo commentato come i sistemi di stampa inkjet erano diffusi e utilizzati sia come elementi di personalizzazione sia come unità produttive. Gli inchiostri sono tutti UV con asciugatura a lampada o LED e le velocità variano proprio in funzione del tipo di stampa e di nitidezza attesa (immagini, testi, sistema di codifica) e dal tipo di cromia attesa. Essendo per lo più inserite in sistemi ibridi e stampando su materiali plastici ogni altra tecnologia oltre l’UV non è utilizzabile nei processi di produzione nell’ottica di avere pieno controllo del colore. L’applicazione della stampa UV inkjet per il foglio commerciale è stata una delle ultime applicazione di questa tecnologia e grazie alla velocità di polimerizzazione ha permesso di fornire un buon compromesso tra velocità, qualità di stampa e flessibilità di utilizzo dei supporti generici.

Agli Hunkeler Innovation Days avevamo visto gli sviluppi, dal punto di vista colorimetrico, raggiunti dai i sistemi di stampa a bobina (continuos feed) su carta ad uso commerciale anche ad alte velocità. Le macchine da stampa utilizzano inchiostri a base acqua a pigmento che tendono a penetrare i supporti in profondità riducendo i gamut stampabili e la saturazione dei colori. Per questo motivo di solito si utilizzano carte trattate per stampa inkjet (primerizzate) o si effettua la stesura di un primer sul supporto prima di entrare nel gruppo stampa.

La funzione del primer è di rallentare la penetrazione dell’inchiostro nel supporto e di stabilizzare la forma della gocce evitandone lo slabbramento, restituendo dei colori accessi e nitidezza dei retini. Tuttavia questo porta aumenta i costi di produzione rendendo poco economico l’utilizzo di queste macchine per la stampa commerciale mentre restano interessanti per la stampa di direct marketing e di libri scolastici dove le richieste qualitative sono allineate ai risultati attuali. Le macchine da stampa digitali inkjet single pass in grado di stampare su supporti offset con inchiostri base acqua senza primer e con risultati da stampa commerciale sia in termini visivi sia di conformità alle norme di settore fanno ben sperare per le future presentazioni in formato B2 e B1 attese. Attualmente c’è solo una macchina a foglio B2 che stampa utilizzando inchiostri base acqua e i risultati qualitativi dal punto di vista colorimetrico sono eccezionali.

La gestione del colore

Senza addentrarci in altri campi di utilizzo risulta chiaro che per ogni ambito produttivo, prima di procedere con letture e analisi numeriche è necessario definire il potere risolvente del supporto e individuare la quantità minima e massima di inchiostro che il supporto può ricevere; c’è da considerare che è possibile che siano utilizzati anche più inchiostri oltre la quadricromia come colori light, neri differenti per supporti lucidi e opachi, esacromie, eptacromie fino ad arrivare anche a dodici colori in line in alcuni casi. L’aumento del numero di inchiostri serve spesso per ridurre la quantità di inchiostro utilizzata in stampa e ottenere così gamut molto estesi che sfruttano i dati colore delle immagini che si ottengono dagli scatti digitali o per la riproduzione di tinte speciali.

Pur limitandoci alla quadricromia è necessario, per ogni supporto, definire per quale risoluzione si intende realizzare la profilazione e dopo aver stampato e letto le patch, decidere che tipo di comportamento dovrà avere il profilo. Su alcuni supporti si agisce sulla curva di generazione del nero per avere un profilo a basso consumo, che può portare a un eccesso di presenza di puntini neri nella stampa, in alcuni casi sgradevoli alla vista, che possono essere considerati trascurabili quando si stampano affissioni e maxiaffissioni.

Dato che la risoluzione determina anche la velocità di stampa, fare dei profili a diverse risoluzioni per lo stesso supporto è necessario per poter bilanciare correttamente qualità e costi. A ogni caricamento di supporto è necessario fare un controllo degli ugelli e l’allineamento delle teste di stampa per cui è opportuno concentrare e produrre più lavori assieme per ottimizzare la banda o il foglio di produzione. La totale gestione del colore permette di poter aggregare più commesse anche quando non rispondano agli stessi standard di colore iniziale; l’utilizzo software di elaborazione dei profili permettono di ottenere una elevata coerenza cromatica sfruttando la disponibilità degli ampi gamut disponibili.

Anche per la stampa a digitale inkjet è possibile utilizzare norme e standard di settore per i setup di macchina, anche se questo in alcuni casi sminuirebbe le possibilità di lavoro e sarebbero irraggiungibili in altri. Meglio sarebbe prendere subito in considerazione i parametri Fogra del PSD. Tuttavia è necessario definire i campi di applicazione di questa tecnologia giovane, ma al tempo stesso matura per orientarsi su una efficace gestione del colore.


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Stampa toner: polvere di colore

Il controllo del colore nella stampa digitale a toner è al centro del processo di controllo qualità perché serve a contenere e ridurre le variabili e a ottenere i migliori risultati su ogni supporto. Un processo di stampa maturo su cui ancora si fa poco approfondimento

Spesso si dà per acquisita la conoscenza del processo di stampa elettrofotografico a toner perché è immediata ed, erroneamente, non ci sono avviamenti da fare. È importante capire nel dettaglio come avviene il processo di stampa perché in questo modo è chiaro che la gestione del colore, a differenza di altre tecniche di stampa, è centrale per il buon funzionamento della macchina da stampa in quanto coinvolge l’intero processo produttivo.

Il profilo colore di ouput di una macchina a toner è la fotografia dell’equilibrio di molti parametri e per un supporto possono esserci più profili di utilizzo a seconda che si stampa testo con immagini, immagini con fondi pieni o un mix di prodotti. Questa analisi del tipo di file da stampare è da sempre necessaria perché i comportamenti della macchina da stampa sono influenzati da coperture, formato di stampa e caduta delle pagine.

Specificità e criticità della stampa

Il sistema di stampa elettrofotografico ha molti punti di controllo che intervengono in modo diretto sulla cromia: quantità di toner, potenziali di carica di trasferimento, temperatura di fissaggio. Prima di procedere alla creazione di un profilo colore, o anche alla linearizzazione, è necessario definire tutti i parametri che permettono la stampabilità del supporto e il mantenimento degli stessi in tiratura.

Questo ultimo aspetto è ciò che differenzia in modo sostanziale una macchina da stampa digitale da produzione dalle altre. Durante la produzione intervengono dei meccanismi di controllo su densità, uniformità, spettrometria, temperatura di esercizio e in caso di variazione oltre certe soglie intervengono in automatico per compensare gli scostamenti; se trascurati la loro azione può invalidare tutto il lavoro svolto sia di profilatura sia di produzione. Anche le condizioni ambientali sono importanti in termini di temperatura, umidità, ricambio d’aria.

I sensori in macchina analizzano le condizioni esterne per poter fa eseguire correttamente tutte le operazioni di alla macchina e se necessario eseguire una serie di compensazioni che solo in parte possono essere fatte in automatico e dare risultati nei parametri previsti nella profilazione.

È il tipico caso dei periodi invernali quando l’accensione e spegnimento dei riscaldamenti determinano importanti escursioni termiche il cui effetto è variazione di tinta e saturazione fino a quando non sono ripristinate le condizioni di setup macchina sul supporto. Per lo stesso motivo anche il caricamento dei supporti direttamente da magazzino influisce sulla cromia perché i supporti troppo freddi sottraggono maggior calore ai gruppi di fusione e possono avere comportamenti elettrostatici differenti rispetto al setup predefinito.

Linearizzazione, calibrazione, profilazione

Le macchine da stampa digitale a toner è composta da un gruppo stampa e un RIP che invia i dati al gruppo di scrittura e tra i due deve esserci un allineamento. Dopo aver definito la stampabilità del supporto è necessario linearizzare la risposta tra RIP e macchina su delle scale di riferimento, operazione che di solito è specificata dai manuali di manutenzione delle macchine da stampa.

I dati ottenuti sono specifici per quel supporto in quella condizione di stampa e definisco il punto di partenza per la costruzione dei profili colore e per la successiva manutenzione. E con l’operazione di linearizzazione che si compensano le oscillazioni dovute ad usura delle parti e variazioni delle condizioni ambientali.

È nella caratterizzazione e successiva profilatura che è necessario considerare alcune specificità della tecnologia a toner. La sovrapposizione dei toner senza permeazione provoca un abbassamento molte forte della luminosità nelle tinte più scure e per questo è necessario lavorare sulla TAC e sul successivo comportamento del nero per avere maggiore dettaglio anche nelle zone scure. Più nero consente di tenere bassa la TAC, ma di avere effetti di perdita di densità ottica e di appiattimento tanto che in alcuni casi è le ombre possano addirittura risultare più chiare.

Un forte utilizzo del nero nella generazione del profilo aiuta a contenere le variazioni su toni neutri ma può comportare un aumento dell’effetto “rumore” o granulosità. Le tacche di controllo al 5% e 10% dei grigi compositi possono presentare dominanti differenti per colore che rendo difficile un intervento di compensazione. Anche le medesime tacche dei primari possono soffrire di “variazioni” determinato dal fatto che i primari possono essere inquinati per essere più vicini a i parametri di norma 12647-2.

Anche il numero di tacche da utilizzare per la caratterizzazione ha influenza: un numero elevato di tacche permette di descrivere un gamut molto ampio che consente di avere ottimi risultati nella conversione diretta di files RGB. Viceversa il rischio è di avere un maggior numero di anomalie nella stampa di gradienti su ampie campiture come copertine e sfondi passanti.

I supporti stampabili

Le macchine da stampa a toner stampano su molti supporti, ma è fondamentale poter differenziare i comportamenti in funzione delle loro caratteristiche. Lo spessore determina la temperatura necessaria a fissare il toner e il potenziale elettrico da utilizzare nella fase di trasferimento blanket – supporto.

La planarità superficiale determina l’omogeneità di stesura determinando la pressione di trasferimento e la quantità di toner necessario affinché ogni interstizio, nel caso di carte con texture superficiale, sia riempito. La composizione del supporto incide sulla capacità di rimanere inerte ai cambi di potenziale elettrico, alla resistenza alla fusione (intesa come non deformazione) e alla omogeneità di stesura su entrambe le facciate.

Nella stampa in bianca e volta il supporto subisce due stress termici per cui i comportamenti della macchina nelle due facciate possono essere differenti. Ci sono molti approfondimenti da compiere ancora, ma di certo la gestione del colore nelle macchine a toner fa la differenza nelle uso efficiente e remunerativo di queste potenti macchine.


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Da profilo a profilo: conversioni colore e repurposing

Comparazione Gamut
sRGB (volume colorato) comparato al PSO Coated V3 (in wireframe). La prima immagine in nero è tratta da Color Think Pro, la seconda da ICCView

Ripassare le basi per comprendere gli step successivi. Una panoramica nel mondo delle caratterizzazioni, dei profili e delle conversioni colore

A questo punto del percorso, prima di entrare nelle declinazioni del color management in stampa, è bene rivedere i concetti di base che sono dietro alla conversione da/a profilo colore. In particolare è necessario capire a cosa ci si intende con il termine conversione e repurposing. Sappiamo benissimo che quando si riferisce al colore con terne di numeri in RGB o quaterne in CMYK, non stiamo indicando un colore specifico e assoluto, ma una tinta che potrebbe avere delle differenze a seconda di come è rappresentata dai pixel (nel caso di periferiche digitali come i monitor) o dalla combinazione tecnologia/inchiostri/supporti nella stampa. Per avere un riferimento assoluto dobbiamo far riferimento alle coordinate colorimetriche che ogni colore possiede (o ai suoi valori Lab). Per ottenere la giusta corrispondenza tra valori RGB/ CMYK e coordinate colorimetriche, abbiamo bisogno di una tabella che crea le “relazioni” tra questi valori numerici. Dobbiamo quindi caratterizzare la nostra attrezzatura. Con la caratterizzazione si sviluppa una tabella come quella in figura 1, che permette di creare un rapporto tra i valori digitali, sia questi riferiti ad uno spazio colore che colorimetrici assoluti.

Repurposing
Fig.01 – Tabella di caratterizzazione

Dopo aver opportunamente calibrato la nostra attrezzatura, il primo passo prevede l’acquisizione dei dati di un target noto: nel caso delle macchine fotografiche, si fotografa sotto delle condizioni prestabilite, il Color Checker, mentre nel caso di una stampante, si stampano tacche di colore con inchiostri e su supporti conosciuti. Ogni dispositivo ha un proprio riferimento assoluto. Una volta misurate con opportuni strumenti di controllo, è possibile creare delle relazioni tra i dati RGB/CMYK e quelli colorimetrici. Una tabella di caratterizzazione è indispensabile per rendere le informazioni cromatiche non dipendenti dal dispositivo e fornire indicazioni universali ai software e ai flussi che si occupano di convertire da uno spazio ad un altro.

Per spiegare al meglio a cosa servono queste tabelle faccio un esempio pratico. Partiamo
da uno scatto fotografico in RGB, con relativa tabella di caratterizzazione allegata e prendiamo il caso di voler rappresentare l’immagine su un monitor anch’esso calibrato e caratterizzato. In fase di conversione, le tabelle “trasformeranno” i valori RGB di ogni pixel acquisito in un valore colorimetrico assoluto che, rapportato alla tabella di caratterizzazione del monitor, ci fornirà una terna di colori, differenti dal punto di vista numerico ma sufficienti per rappresentare al meglio il colore a video. Dico “al meglio” perché ogni periferica può riprodurre un certo numero di colori e non tutte le tinte hanno una corrispondenza precisa sulla periferica di destinazione (si parla di fuori gamut). La conversione riguarda anche il passaggio da RGB a CMYK: le tabelle di caratterizzazione funzionano allo stesso modo con la differenza che il risultato sarà una quaterna di valori coerenti con l’output di stampa. Quando invece parliamo di repurposing (in italiano, riseparazione) ci riferiamo alla trasformazione delle separazioni quando si passa da un profilo CMYK ad un altro. Prendiamo come esempio un’immagine RGB che è già stata convertita per essere stampata in quadricromia: le separazioni conterranno le informazioni per ogni singolo canale. Ora ipotizziamo di voler generare una prova colore o, pensando a dinamiche di produzione quotidiane, di voler ripetere la stampa su un dispositivo CMYK differente dal primo. Ecco, in questi casi il repurposing rivede le separazioni per ogni singolo canale, in funzione dell’output, al fine di ottenere, entro determinati limiti, un risultato cromaticamente fedele all’originale.

Il gamut, la sua rappresentazione e un tool free

Se c’è un modo diretto per confrontare spazi colori differenti e prevedere con relativa precisione quali colori andranno convertiti, dobbiamo necessariamente parlare di gamut. Il gamut è la rappresentazione grafica tridimensionale (ma anche 2D) di uno spazio colore. Esistono diversi software che permettono di ottenere il grafico come in figura 2: all’interno di un sistema Apple, Utility ColorSync è sicuramente il più noto tra gli addetti ai lavori. Tuttavia esistono software più completi che permettono di comparare profili e analizzare i colori nel dettaglio. Tra questi, Color Think Pro è il mio preferito nonostante non sia tra i più precisi per via degli algoritmi utilizzati. Senza entrare troppo nel tecnico, esistono due metodi per calcolare il volume del gamut: il convex hull e l’alpha shape. Il convex hull è quello usato da ColorThink PRO e, spesso, sovrastima il gamut rendendo più difficile il confronto tra gamut simili. Nonostante ciò, su spazi colori differenti come tra sRGB e un profilo colore come il PSO Coated V3, l’analisi del solido tridimensionale risulta molto utile per capire quali colori sono fuori gamut e che quindi non sono riproducibili nello spazio di destinazione. Tra le utility free, consiglio ICCView (https://www.iccview.de/) molto elementare ma utile per chi è alle prime armi. A dimostrazione di quanto complesso sia il calcolo del solido, ho comparato il risultato visivo tra ICCView e Color Think Pro per evidenziare come, nonostante i dati di ingresso siano simili, i risultati visivi possano essere differenti.

Comparazione Gamut
sRGB (volume colorato) comparato al PSO Coated V3 (in wireframe). La prima immagine in nero è tratta da Color Think Pro, la seconda da ICCView

Conclusioni

Se quello che avete letto fino ad ora vi è sembrato difficile e complesso, allora avrete capito quanta competenza e conoscenza devono avere gli specialisti nel color management e il valore di tutti gli strumenti e software che permettono di misurare e gestire il colore. Solo attraverso la comprensione di questi concetti potrete raggiungere l’obiettivo e essere in grado di apprezzare il lavoro dei tecnici che personalizzano e ottimizzano il proprio flusso di lavoro, per una riproduzione colorimetricamente precisa, prevedibile e coerente.

Boscarol.com, l’enciclopedia sul colore

Non c’è professionista che almeno una volta nella vita non abbia fatto una ricerca sul colore su google e non sia incappato nel sito di Mauro Boscarol o in una delle sue pubblicazioni gratuite presenti in rete. Il sito www.boscarol.com è una miniera di informazioni accademiche e pratiche, frutto di ricerca e studio ventennale. Nella sezione “Blog” è anche presente un percorso guidato che spiega i concetti principali della gestione colore: una delle letture imperdibili e il primo vero passo verso una comprensione più concreta dell’argomento. Questo articolo è sicuramente ispirato al suo enciclopedico lavoro.


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Mai più senza: strumenti di misurazione e controllo

04 - eXact

In un mondo in cui le innovazioni tecnologiche possono obbligarci a rivedere i nostri metodi, gli strumenti di misurazione e controllo sono i garanti del risultato

Se i professionisti conoscessero a fondo le potenzialità degli strumenti di misurazione e controllo, sono certo che troveremmo almeno uno spettrofotometro in ogni azienda o agenzia di comunicazione. Purtroppo sono spesso classificati come oggetti di difficile comprensione e utilizzo, erroneamente considerati costosi e relegati solo al mondo della stampa. Più in generale, la fase di controllo e di misurazione a volte rappresenta un extra in cui investire solo per determinati commesse o aziende. Uno strumento di misurazione professionale permette la trasformazione di quello che vediamo in numeri matematici, facilmente comparabili con degli standard e che offrono indici di Delta E che ci aiutano a comprendere quanto la nostra misurazione si discosta da un riferimento preciso. Vale per il monitor tanto quanto per un foglio stampato. A cambiare sono le tecnologie e gli standard di misurazione: ogni strumento può coprire più segmenti di mercato e applicazioni, per cui è bene conoscerne le principali caratteristiche per dotarsi del dispositivo più in linea con le proprie esigenze. Nella stampa e, più in generale, nella comunicazione visiva, esistono almeno tre tipologie di strumenti: densitometri, colorimetri e spettrofotometri. Quelli citati sono molto comuni nelle aziende di stampa: spesso confusi tra loro, ognuno ha funzioni specifiche e utilizzi mirati. Per le valutazioni colorimetriche, sono indispensabili sia in fase di progettazione che di realizzazione di un lavoro. Vediamo le differenze principali.

Densitometro

Il densitometro è tra gli strumenti più comuni, il cui utilizzo e diffusione dovrebbe essere capillare in ogni azienda. Un densitometro in sala stampa misura la “quantità” di inchiostro presente su un fondo pieno o sulla barra colore, anche nelle tonalità (attraverso i valori di DotGain), fornendo allo stampatore dei dati che, confrontati con valori standard, permette di regolare i livelli di inchiostro in macchina. Fino a qualche anno fa, era lo strumento principale con sui si controllavano gli stampati durante e dopo la stampa e tutt’oggi è utilizzato per il controllo in produzione.

Colorimetro

Come dice la parola, un colorimetro misura il colore. Usando filtri colorati per separare la luce riflessa o emessa dal campione misurato, un colorimetro è in grado di restituire una terna di valori che rappresentano il colore all’interno di uno spazio cromatico. Sono strumenti spesso economici, di facile applicazione che possono dare un’indicazione sul colore in differenti ambiti e settori, la applicazione nel settore della stampa è tipicamente per la calibrazione dei monitor.

Spettrofotometro

Tra i tre, lo spettrofotometro è lo strumento più avanzato per la misurazione di un colore. A differenza dei precedenti, è in grado di misurare una tinta fornendo il grafico di riflettanza spettrale di quel colore. Uno spettrofotometro in grado di rilevare la curva di riflessione spettrale di un campione, è in grado poi di fornire i dati di valutazione nei diversi spazi colore CIE, ma anche in grado di definire i valori di densità. Lo spettrofotometro, può fungere quindi da densitometro e non viceversa. La misurazione spettrofotometrica, permette di rendere disponibili molti dati che sono resi semplici attraverso le interfacce grafiche moderne e che permettono di controllare al meglio il processo, dalle caratterizzazioni usate in prestampa al controllo qualità ed alla cucina colore.

Conclusione

Lo spettrofotometro è lo strumento migliore per la misurazione del colore. Rispetto al colorimetro, separa il raggio di luce riflessa ogni 10 nanometri. Oggi esistono diversi modelli a seconda del budget e delle specifiche tecniche dell’attrezzatura. È spesso corredato da software in grado di generare profili colore, indispensabili nelle aziende di stampa per la creazione di una caratterizzazione di una macchina o software per la formulazione strumentale e il controllo qualità. Alcuni strumenti integrano differenti letture, anche di tipo densitometrico: nei prodotti di fascia alta spesso si trovano informazioni anche relative ai retini e rappresentazioni grafiche che aiutano a leggere ben oltre le misurazioni del colore.

La parola agli esperti: Luca Morandi, esperto di processi di calibrazione per Color Consulting

La misurazione del colore è uno degli elementi chiave per il successo della produzione. Negli anni abbiamo imparato a misurare il colore e questo è un bene, ma ora è il momento di iniziare a misurare bene il colore. Misurare bene il colore vuol dire imparare a riconoscere gli strumenti di misura che permettono di avere misure affidabili e veritiere dagli strumenti che danno delle indicazioni di massima. Troppo spesso si fanno investimenti in strumenti, soprattutto quelli a bordo macchina, molto onerosi, ma che tralasciano la corretta misurazione del colore. Uno strumento di misura, se non è preciso, perde il suo valore. Non tutti gli strumenti sono uguali, la misura densitometrica è ancora oggi molto importante, ma è da affiancare sempre più spesso dalla misura colorimetrica, questa permette di valutare in maniera compiuta sia i colori di processo, che i colori speciali e di soddisfare le indicazioni fornite dalle norme ISO o dai clienti. Misurare bene, vuol dire anche manutenere correttamente gli strumenti, calibrarli, o profilarli con frequenza a garanzia che le misurazioni siano sempre corrette. Uno strumento di misura molto accurato deve essere periodicamente controllato a sicurezza della correttezza della misura. Misurare bene vuol dire anche imparare a conoscere il colore e sapere quindi interpretare in maniera rapida ed efficace il risultato della misurazione stessa.

L’azienda

ColorConsulting è un’azienda che si occupa di consulenza nell’ambito della resa cromatica in stampa, per questo la misurazione del colore corretta è un must. L’esperienza del team è riconosciuta a livello internazionale, in quanto coordinatori nazionali UNI per le tecnologie grafiche, esperti per l’Italia nell’ ISO – TC130, partner di FOGRA per la certificazione ISO 12647-2 e G7 expert. I tecnici di Color Consulting affiancano alle competenze tecniche, strumenti di misura di altissimo livello: Color Consulting è distributore unico per l’Italia di X-Rite Pantone per il segmento Press. Lo strumento XRite IntelliTrax, si colloca al massimo livello dell’automazione della misurazione definendo il punto di riferimento per tutti gli altri strumenti automatici, nessuno come X-Rite IntelliTrax è in grado di fornire un elevatissimo livello di automazione e una eccellente qualità e correttezza della misurazione. IntelliTrax, definisce lo standard di riferimento per l’automazione, come X-Rite eXact lo ha definito per gli strumenti manuali. eXact è utilizzato in tutti i laboratori per la ricettazione dei colori e in moltissime sale stampe dove non si deve solo misurare, ma misurare bene. Entrambi gli strumenti possono essere corredati del sistema NetProfiler che permette, unico nel suo genere, di profilare e controllare la qualità della misurazione degli strumenti. Strumenti di misura di altissimo livello che possono essere affiancati a software di controllo qualità o di formulazione del colore oppure a sistemi di connessione alla macchina da stampa per effettuare il closed loop.


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È il tempo del wide gamut

Monitor Calibrazione

Per anni sRGB è stato lo standard per i monitor in commercio, ma oggi Adobe RGB e P3 stanno entrando nel mercato anche nella fascia medio-bassa

Se abbiamo lavorato bene con l’acquisizione dei file, potremmo imbatterci nel dubbio che ogni professionista ha avuto almeno una volta nella vita: sto “guardando” i colori giusti? Il mio monitor mi sta mostrando i colori “reali”? L’evoluzione tecnologica ha fatto passi da gigante anche nel settore dei monitor: a disposizione degli utenti un ampio ventaglio di possibilità e di combinazioni possibili, a seconda che l’utilizzo sia più o meno professionale. Per anni il riferimento è stato sRGB sia per i monitor sia per i browser: nel 1996, anno in cui alcuni noti marchi hanno introdotto questo standard, i monitor erano prevalentemente CRT e internet poteva contare su pochi browser tutti molto simili.

Ancora oggi sRGB è il colore di sistema predefinito in Windows ed è ampiamente utilizzato
alla maggior parte dei siti web. Tuttavia, l’introduzione degli spazi wide gamut ha una storia tutt’altro che recente, che parte già negli anni 50 con il formato NTSC, lo standard di colore progettato dal National Television System Committee negli Stati Uniti.

NTSC infatti ha un volume di colori più ampio dell’sRGB, comparabile con un altro standard più moderno e diffuso soprattutto nel mondo della comunicazione visiva e della stampa, Adobe RGB 1998. Questo ci aiuta a comprendere quanto la questione del wide gamut sia in realtà antica e che oggi assume un’importanza cruciale con l’avvento di tutta una serie di prodotti (tra cui anche smartphone, tablet ecc…) che ben riproducono il colore e che, nel caso di alcuni dispositivi mobili Apple, ad esempio, sono dotati di software di gestione colore interni relativamente sofisticati. Ma per rispondere correttamente alla domanda introduttiva, dobbiamo procedere per gradi, partendo da una procedura a volte sottovalutata dai professionisti: la calibrazione di un monitor.

Calibrare un monitor

Per essere certi che un monitor rappresenti correttamente gli input che riceve dalla scheda grafica, è necessario calibrarlo. Di solito questo può avvenire tramite OSD o via software. Il primo infatti altro non è che un menù strutturato che ci permette di accedere ai controlli colore del monitor stesso. Nei prodotti di fascia alta, sono disponibili una serie di opzioni molto dettagliate che ci permettono di personalizzare parametri come la temperatura, la saturazione, la luminosità o effettuare correzioni sui singoli canali RBG. A volte è possibile creare dei preset per un rapido cambio di impostazioni a seconda della modalità di visualizzazione desiderata. In altri casi, i monitor possono essere calibrati con software distribuiti dalla stessa azienda produttrice, che tramite una sonda esterna permette di calibrare e profilare un dispositivo e registrare i valori nell’OSD del monitor stesso. La calibrazione non deve essere confusa con la profilazione: quest’ultima ha il compito, attraverso la caratterizzazione del monitor, di creare la carta d’identità del colore del singolo monitor raccogliendo le informazioni in un profilo ICC. La calibrazione va eseguita periodicamente, con strumenti tarati e con software che permettano la verifica del risultato di calibrazione rispondendo con un valore di DeltaE (una buona calibrazione dovrebbe avere questo valore <1, non superiore a 3).

Compatibilità

Come abbiamo detto, la maggior parte dei monitor in commercio rappresenta egregiamente lo spazio colore sRGB. Ma trovarne di “compatibili” con lo spazio colore Adobe RGB o P3 è molto più comune con prodotti accessibili anche in termini di prezzo. Nel mondo della stampa è molto importante poter valutare già a video i colori dei nostri progetti e simularne l’output attraverso la soft proof. Un monitor con spazio colore sRGB potrebbe bastare per alcune tecnologie di stampa, di certo risulterebbe limitante per diversi dispositivi in grado di riprodurre gamut più ampi. Nel mondo della fine art, ad esempio, la scelta ricade spesso su display in grado di riprodurre almeno il 95% dei colori Adobe RGB, valore simile anche per lo spazio P3.

E allora cosa serve il P3?

Per chi si occupa di stampa e ha a disposizione un software di comparazione degli spazi colore, noterà subito delle similitudini in termini di volume tra Adobe RGB e P3. I volumi sono simili con differenze relative sulle tonalità verdi. Se li confrontiamo con un profilo comune nella stampa come il Fogra 39, noteremo che Adobe RGB copre interamente il suo volume mentre il P3 perde tonalità nella fascia dei blu.
In effetti, se pensiamo che il P3 è nato per il mondo del cinema digitale, la comparazione perde di significato. In realtà, riferendoci al Fogra39, potremmo anche “farci bastare” lo spazio sRGB che, seppur non completo, copre tante tonalità del nostro Frogra39.

Allora a cosa servono i wide gamut? A cosa serve il P3? In una gestione colore moderna non possiamo far a meno di valutare gli standard in funzione dei colori in ingresso e delle necessità di output.
Basterebbe fare lo stesso tipo di confronto con soluzioni di stampa differenti dall’offset in quadricromia per renderci conto che il wide gamut è indispensabile se si vuole ottenere il massimo dalle nostre tecnologie di stampa. E Adobe RGB e P3 potrebbero essere assolutamente validi a seconda dei colori che abbiamo bisogno di vedere e stampare. In entrambi i casi è sempre bene lavorare con un monitor che rappresenti al meglio entrambi gli standard e che garantisca una esperienza visiva di alto livello.

Tre caratteristiche fondamentali per un monitor di qualità

Oltre allo spazio colore coperto dal monitor, esistono altre caratteristiche fondamentali che è bene valutare prima di acquistare un prodotto per le arti grafiche. La prima è sicuramente la tipologia di pannello e in questo caso la scelta ha un’unica opzione: i pannelli IPS offrono un l’angolo di visuale di 178° e questo permette di vedere lo stesso colore da diverse angolazioni. Sono pannelli dall’alta fedeltà e gamma colori e i monitor di fascia alta si basano su questa tipologia. Una seconda caratteristica è, naturalmente, la risoluzione. Maggiore è la densità dei pixel più le immagini saranno nitide. Una terza peculiarità che personalmente ritengo imprescindibile è la possibilità di installare il paraluce e di regolare inclinazione e altezza del monitor, per una visione ottimale senza interferenze di luce esterne e un utilizzo ergonomico anche in caso di monitor più piccoli.

Il tuo browser è aggiornato?

Chi non si occupa di stampa, potrebbe aver riscontrato delle differenze sostanziali nella riproduzione del colore tra le immagini a video e viste tramite browser. Questi ultimi hanno integrato recentemente sistemi di gestione colore interni che permette la lettura delle informazioni sui profili delle immagini e riproducono il colore non limi-tandosi allo spazio sRGB. Tra le varie risorse utili per comprendere la gestione colore nei browser, segnalo questo link con un test che permette di verificare la compatibilità del proprio browser con i profili ICC v2 e v4 oltre ad una serie di controlli aggiuntivi su gamma e rappresentazione dei colori con e senza tag. Lo trovate a questo link: https://cameratico.com/tools/web-browser-color-management-test/

 


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Adobe RGB o sRGB? Meglio RAW!

Digital reflex

Partiamo dall’inizio: come vengono acquisite le immagini? Nelle macchine fotografiche il formato di scatto e le impostazioni colore sono unite da un filo rosso spesso trascurato.

Per iniziare un percorso completo sulla gestione del colore è necessario partire da come sono acquisite le immagini, facendo un punto su alcune delle questioni più dibattute in ambito tecnico. I nostalgici degli scanner e delle pellicole sono sempre in numero minore: pensare oggi a quei sistemi e ai metodi che erano d’uso comune venti anni fa, stride con i nuovi standard e con le possibilità tecnologiche offerte dal mercato. Oggi buona parte delle immagini sono frutto di scatti digitali derivanti da centinaia di dispositivi differenti, più o meno professionali e ognuno con peculiarità specifiche. Per anni il mercato ha percepito la qualità di uno strumento valutando il numero di pixel elaborati: una macchina da 12mpx è meglio di una da 8mpx, per intenderci. Poco invece si è comunicato sugli aspetti legati al colore: i professionisti sapranno di certo raggiungere le relative impostazioni disponibili nelle reflex e nelle attrezzature di fascia medio alta, scoprendo almeno due voci ad alternarsi nel menù, Adobe RGB e sRGB. Altri ancora avranno sicuramente sperimentato le impostazioni sul formato di salvataggio, scoprendo dove sono allocate le scelte su Jpeg e RAW (e, in alcuni casi, sRAW, un raw che utilizza uno schema di compressione e anteprima jpeg). Pochi utenti invece sanno che la scelta del formato incide sulle impostazioni colore, annullandole in un caso: quando si scatta in RAW.

Il formato RAW (grezzo in inglese) contiene tutte le informazioni sulla luce che colpisce il sensore della macchina fotografica. Non incorpora alcuna informazione sullo spazio colore: utilizzando questo formato si ha accesso a tutti i dati di luminanza senza alcuno sviluppo colorimetrico. Una sorta di negativo che aspetta di essere sviluppato. Questo avviene per tutte le macchine fotografiche esistenti, di qualsiasi fascia. L’applicazione dell’informazione sullo spazio colore avviene appunto quando si sviluppano i dati e questo può avvenire o all’interno della macchina stessa o attraverso programmi esterni. Quando impostiamo la nostra macchina con il salvataggio in Jpeg, implicitamente stiamo chiedendo al software interno di sviluppare i dati e creare un file codificsto in Adobe RGB o sRGB, a seconda della nostra scelta iniziale.

È qui che il colore prende una connotazione specifica, in funzione dell’algoritmo proprio di ogni macchina: questi fattori, se non opportunamente valutati, possono compromettere anche la post-produzione.

I consigli per scattare al meglio

Non è mai il caso di generalizzare, mi limiterò a mettere insieme alcuni pro e i relativi contro sulle tre modalità principali di acquisizione delle immagini. Il primo caso prevede naturalmente uno scatto in RAW che, come dicevamo, contiene tutte le informazioni luminosi acquisite. E questo è sicuramente il vantaggio principale, oltre alla possibilità di lavorare a un numero differente di bit per canale. Il contrappasso sta nella dimensione del file generato e nell’impossibilità di utilizzare il file immediatamente (ad esempio, nel caso di macchine con connessioni WIFI, sarà impossibile condividere immediatamente lo scatto).

Nel caso invece di uno scatto salvato in Jpeg, abbiamo due scenari comuni in molte macchine fotografiche: scattare con Adobe RGB che ha un gamut più ampio o sRGB, relativamente più piccolo. La differenza tra i due risiede per il 25% sulle ombre, per il 50% sui toni intermedi e in massima parte per le luci (circa il 75%). Dal punto di vista del peso dei file, le differenze non sono sostanziali per cui la scelta ricade in base al tipo di soggetto ripreso o da particolari necessità di lavorazione. Il vantaggio di scattare in Jpeg sta nel suo utilizzo e nella compressione dei file che, particolarità di questo formato, risentono però della perdita di dati ad ogni salvataggio in fase di sviluppo. Anche dal punto di vista del colore, le limitazioni sono ovvie: chi sceglie Jpeg solitamente o necessità di uno scatto ready-to-use o non ha alternative.

Conclusioni

A ogni output dovrebbe corrispondere un flusso di lavoro adeguato anche dal punto di vista del color management. Se parliamo di stampa, probabilmente la scelta del formato RAW risulta la più ovvia, specie su lavori che richiedono differenti lavorazioni a seconda della tecnologia di stampa. Più dati colorimetrici sono a disposizione dell’operatore, più sarà facile far rientrare, con le opportune conversioni, i colori “percettivamente importanti” all’interno del gamut di output. Precludersi la possibilità di analizzare e lavorare i colori non ha mai quasi senso e questo i professionisti lo sanno bene.

Diamo i numeri!

Facciamo un esempio pratico per capire come pixel, bit, formato di salvataggio e spazio colore interagiscono tra loro. Immaginiamo di avere una macchina fotografica da 20 MPX che scatta in Jpeg con spazio colore Adobe RGB e a 8 bpc (Bit Per Canale, in totale 24bit). Ponendo il caso limite che tutti i pixel siano diversi, in questo caso specifico non potrò ottenere 20 milioni di colori differenti tra loro perché con 8 bpc abbiamo a disposizione un numero di colori non superiore a 16,7 milioni (256x256x256). Il volume dello spazio Adobe RGB è pari a 1207520 (fonte Color Think Pro), per cui è all’interno di questo che dovrò suddividere i colori campionabili per le mie immagini. Se scegliessi sRGB avrei un volume ridotto del 30%. Per cui, nonostante un numero ridotto di colori, scegliendo sRGB e 8bpc avrei delle sfumature migliori che con Adobe RGB.
La scelta dei bit è molto importante per le sfumature, per questo scegliendo di scattare in RAW non solo eliminiamo le “limitazioni” sullo spazio colore (che dovremmo comunque definire in fase di post-produzione) ma avremmo la possibilità di lavorare a 12 bpc (48 bit, più di 68,7 miliardi di colori) avendo la possibilità di riprodurre più sfumature anche con spazi colori più ampi come il Pro Photo RGB.

Parola all’esperto

a cura di Marco Olivotto – fisico, docente, musicista, innamorato del colore, fotografo da sempre, professionista da mai

Qualche anno fa mi venne richiesto di post-produrre delle immagini per un libro. Si trattava di fotografie aeree. Molte di esse avevano colori molto intensi a causa di condizioni di luce anomale. Il fotografo mi chiese di sviluppare i RAW in ProPhoto RGB a 16 bit e svolgere la post-produzione in Photoshop. Alla fine avrei dovuto convertire tutte le immagini in CMYK per la stampa e fare gli ultimi aggiustamenti in quello spazio colore. Il vantaggio di avere a disposizione uno spazio colore dal gamut enorme come ProPhoto RGB, però, non controbilanciava i problemi che riscontrai nel passare a CMYK, il cui gamut è molto piccolo rispetto a quello di partenza. La post-produzione in ProPhoto RGB genera facilmente colori totalmente fuori gamut, che non risultano visibili neppure a monitor. Gli algoritmi di conversione in questi casi causano spesso effetti di posterizzazione e spostamento cromatico assai sgradevoli. Oggi rifarei il lavoro partendo da uno spazio colore più piccolo e intervenendo direttamente sulle versioni CMYK. Il problema di questo approccio è che è più lungo e costoso di quello standard, e che per correggere il colore in CMYK… bisogna saperlo fare. È un’arte che va morendo, perché oggi il mondo ruota attorno a RGB. Il messaggio finale è che uno spazio colore iper esteso non rappresenta automaticamente la scelta migliore. Chi considera obsoleto e antiquato qualsiasi flusso di lavoro che non passi per ProPhoto RGB è, semplicemente, male informato.


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La gestione economica del colore

ColorTrack consente agli operatori di acquisire ed elaborare le misurazioni di colore, facilitandone una rapida correzione in macchina delle ricette di inchiostro.

Comitati ISO, norme, standard, prodotti controllati, sistemi di misurazione efficaci, software a supporto multilivello, tutto è disponibile per costruire un sistema di gestione del colore su misura, ma continua a essere un investimento secondario nelle aziende di stampa.
Eppure il ritorno dell’investimento c’è, basta analizzarlo.

La gestione del colore è uno dei processi iscritti nelle procedure di controllo qualità e concorre al raggiungimento dell’obiettivo di un sistema qualità certificato e per questo motivo parlare di colore senza usare i numeri è industrialmente antieconomico. Il colore è per sua natura soggettivo e variabile e dipende da tre fattori base che cambiano (luce, trasmissione, visione) la sua descrizione è sempre indicata nelle sue linee generali (è rosso, è verde, è rosa…) e per dare una definizione più accurata si ricorre a sensazioni (caldo, freddo, intenso, chiaro, scuro, saturo, sbiadito…) e paragoni (rosso ciliegia, giallo limone, verde acqua, petrolio, carta da zucchero…) che possono essere capiti e tradotti solo per affinità culturali. Dunque la necessità di utilizzare elementi oggettivi per riprodurre, valutare e controllare il colore in stampa è fondamentale per inquadrare i tempi e costi. Dotarsi di un sistema di gestione del colore serve a ridurre e controllare le variabili, adottare schemi per raggiungere risultati certi e misurabili affinché il prodotto stampato sia in linea con le, mediate, attese cromatiche del cliente. Dal punto di vista economico vuol dire adottare termini di controllo dei costi, aumentata efficienza nell’utilizzo delle attrezzature e capacità di acquisizione dei nuovi clienti.

Ridurre gli errori e aumentare l’efficienza

L’errore di stampa è insito nella professione, ma se un refuso di testo è (forse) perdonato, la mancata corrispondenza colore invece no e nella quasi totalità dei casi è addossata la colpa a chi stampa. In questo caso la differenza fra la discussione da bar e il professionista la fanno i parametri di controllo adottati e la loro applicazione con il risultato che anche se la commessa è errata la professionalità dello stampatore è integra. Ecco perché ci sono solo benefici nella effettiva gestione del colore: evita errori incontrollati e ambiguità di interpretazione dei dati purché si adottino dei criteri di misurazione noti, riconosciuti e condivisi. Se su commesse di stampa importanti controllare i parametri del colore è anche parte del contratto inserendo i termini di misurazione e gli standard adottati, è sulle commesse minori in tiratura e valore che emerge la centralità di questo modo di lavorare. Una piena gestione del colore consente di procedere speditamente in tutte le fasi, garantendosi il margine economico previsto e a allo stesso tempo rafforzare la propria affidabilità presso il cliente. Non farlo è un errore perché la contestazione si trasforma in una ristampa completa del lavoro o in un mancato pagamento con insoddisfazione di tutti.
Adottare uno standard di un ente come FOGRA, UGRA, GRACOL, SWOP, G7, per citare i più noti o lavorare a norma ISO semplifica il lavoro di tutta la filiera perché sono informazioni note e condivise; definire un proprio standard permette di utilizzare al massimo le proprie conoscenze e competenze, differenziandosi dalla massa, ma richiede un processo di validazione condiviso, una precisa definizione dei parametri in termini contrattuali e una completa condivisione delle informazioni.

Dalla stampa alla gestione del magazzino

L’impatto negativo immediato della mancata gestione del colore è nella contestazione dei lavori, la ristampa, l’allungamento dei tempi di avviamento, alto volume di scarti, rischedulazione della programmazione propria e dei fornitori della catena, ritardi su ulteriori lavori, variazioni non previste nelle scorte di magazzino e tutte le conseguenze collegate a questi eventi. Di visivo ed estetico c’è poco in questo elenco perché l’impatto di una mancata o errata gestione del colore è nei costi di produzione e, di riflesso, industriali. Un’efficace e attenta gestione del colore, sia che si adotti degli standard sia che se ne definiscano di propri, ha un riflesso positivo sugli approvvigionamenti a magazzino perché consente di stendere dei capitolati di acquisto basati su parametri, approvvigionare la produzione in tempi ridotti, gestire le scorte in modo efficiente. Ad esempio, nella stampa del packaging a tinte piatte è possibile ottimizzare le scorte del magazzino inchiostri utilizzando sistemi di miscelazione assistite, che partendo dai dati spettrometrici delle tinte richieste sono in grado di valutare come e in quale quantità è possibile attingere tra i prodotti disponibili. Per farlo è necessario che il processo di prestampa e stampa siano gestiti con dati e ne siano loro stessi fornitori, affinché il risultato finale sia oggettivamente qualitativo (misurato e comparato) e coerente con l’impatto visivo atteso. Nel settore commerciale a foglio la scelta di adottare degli standard in produzione consente di avere un’alta rotazione dei magazzini supporti e inchiostri, alleggerendo anche il lavoro dell’ufficio tecnico che può dedicare tempo e risorse a richieste complesse. In produzione questo si traduce in tempi di avviamento ridotti, minori scarti e la possibilità di effettuare una puntuale programmazione della produzione che sfrutti le caratteristiche della macchina da stampa. Nei processi di stampa digitale gli inchiostri sono imposti dal produttore e non modificabili, mentre i supporti che si possono utilizzare sono molteplici e spesso la scelta è sbrigativa. Questo è il motivo di oltre il 50% delle problematiche colore di coerenza visiva e qualitativa misurata del colore: comportamenti discontinui nell’assorbimento dell’inchiostro, ricettività e adesione dei toner disomogenea sono gli effetti che impattano sulla gestione del colore. In questo caso l’errore genera un risultato negativo doppio perché subentra l’aggravante della mancata tempestività (ad uso interno o come servizio per i clienti), tipica di questa scelta produttiva.

Efficienza dei processi e richieste dei clienti

Produrre uno stampato vendibile, il più rapidamente possibile, con la minima quantità di risorse è il primo obiettivo che deve raggiungere un sistema di gestione del colore ed ecco perché deve essere un asset fondamentale per un’azienda di stampa, qualsiasi sia la tecnica di produzione. Uno stampatore può alzare il livello di offerta lavorando a più colori oltre la quadricromia, stampando gamut estesi in esacromia e HI FI color, fare produzioni ibride o semplicemente passare a rendere efficiente e controllato un altro reparto aziendale al fine di ottenere il miglior controllo costi possibile. Come ogni processo che impatta sulla produzione serve una analisi calata sulla propria realtà da cui far scaturire costi e benefici. Ci sono costi diretti dovuto all’utilizzo di prodotti e materiali, tempi di processo, efficienza nell’utilizzo delle apparecchiature, metodi di gestione delle criticità, aderenza tra preventivi e consuntivi, insomma un elenco di punti di osservazione che spesso sono condivisi con altri processi aziendali e che vanno ripartiti per il proprio peso nella voce economica. L’errore di non adottarlo è un rischio economico non più accettabile.

 


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Il colore che non c’è

Colorful

Gli elementi grafici possono essere acquistati o scaricati gratuitamente tramite portali specializzati, ma di profili e metodi colore nessuna informazione nota.

Capita spesso di dover acquistare una foto online. Le operazioni di scelta, download e utilizzo sono di pubblico dominio: l’utente sceglie i portali anche in base all’esperienza d’acquisto o ad alcune peculiarità dei portali stessi. Tra queste, nessun riferimento chiaro al colore. Ed è un controsenso se pensiamo al fatto che tutti i portali permettono il download delle immagini formati “sviluppati” come il Jpeg: il RAW, vero file aperto alla gestione colorimetrica, è distribuito solo su siti minori e spesso con scopi didattici.

Dopo un sondaggio online sui principali servizi utilizzati e l’analisi delle sezioni dedicate alla vendita di immagini e di vettoriali, ho constatato l’assenza di un filtro di ricerca per spazio colore e, più in generale, la mancanza di linee guida destinate a chi carica materiale da vendere, confermando peraltro quello che da anni sostengo durante le mie lezioni: questi elementi richiedono un passaggio ulteriore di conversione colore e, in alcuni casi, anche di post produzione per portare le informazioni colorimetriche presenti all’interno dei file più
vicine possibili ai risultati che vogliamo ottenere in stampa (ma anche sul web). Vediamo quali sono i principali punti da conoscere per non avere troppe delusioni durante la realizzazione dei nostri progetti.

sRGB onnipresente

Se provate a scaricare dieci foto a caso, anche dagli stock free, vi accorgerete che tutte hanno un metodo colore RGB, più in particolare con spazio sRGB. Questa è un’informazione importantissima perché a seconda del flusso di lavoro, capita che sia chi acquisisce le immagini che chi debba utilizzarle uniformi i propri standard a questa specifica. Questo tra i motivi per cui, ad esempio, i fotografi che usano questi portali per ottenere redditi passivi, scattino in jpeg e sRGB, in modo da dover lavorare molto meno in fase di post-produzione e pubblicazione.

Alla stessa maniera, grafici e creativi scelgono le immagini su monitor che mostrano abbastanza fedelmente le immagini in sRGB, che diventa uno standard “naturale” per la progettazione grafica. Una scelta insomma che sembra far contenti tutti, anche il mondo della stampa: buona parte delle tecnologie presenti sono in grado di fare un ottimo lavoro in fase di conversione, coprendo spesso con sRGB quasi la totalità del gamut di stampa.

Vettoriali da rivedere

Sui disegni vettoriali le restrizioni principali si hanno sui formati si salvataggio e qui il .eps la fa da padrone. Per quanto riguarda il colore, le impostazioni rispecchiano quanto detto per le immagini: sRGB sempre preferito a qualsiasi altro standard, che il più delle volte è rigettato ai contributor in caso di non uniformità. Quello in cui si differenzia è l’uso implicito che si fa di un’illustrazione. A volte si utilizzano vettoriali con testi in nero o con linee e trame troppo sottili per essere rappresentate bene da un colore in quadricromia derivante da una conversione da RGB.

Se per i testi ci sono funzioni automatiche che egregiamente trasformano un nero RGB in solo nero, sulle linee e i pattern qualsiasi automatismo potrebbe non rendere alla stessa maniera. L’operatore in questi casi è costretto a rivedere l’intera cromia dell’illustrazione, personalizzando le modifiche per cercare di mantenere l’armonia propria dell’elemento. Tanto più il registro è fondamentale in stampa, tanto più bisognerà lavorare per perfezionare il lavoro.

Conversione, questa sconosciuta

Ho provato ad andare più a fondo e a fare domande ai diretti interessati. Cosa succede se un utente carica un elemento con uno spazio colore differente da sRGB? La risposta si divide tra quelli che rifiutano l’upload, rimandando all’utente la conversione (che sarà fatta, nella migliore delle ipotesi, in Photoshop e Illustrator) e quelli che propongono una conversione automatica ai propri standard. Nessuna informazione dettagliata su intento di conversione né su software professionali che facciano un lavoro migliore rispetto ai motori Adobe e simili. Il dubbio che non si dia troppa importanza al color management resta e la chiusura al confronto conferma l’argomento scomodo.

Conclusioni

Col tempo ho imparato che la scelta migliore è quella di non affezionarsi troppo a una singola piattaforma, ma a seguire piuttosto i fotografi e i loro lavori. Diventa molto più facile seguire uno stile “uniforme” e riconoscere l’utente che curi personalmente le conversioni e offra il miglior prodotto possibile con lo standard sRGB. Resta il dubbio sulla bontà della scelta: avere gamut più estesi garantirebbe un lavoro più personalizzabile, ma alla base serve conoscenza e competenza dei mezzi perché a volte avere più possibilità d’azione si traduce in approssimazione o pessima qualità dello sviluppo fotografico.

LINEE GUIDA PER I CONTRIBUTOR

Se stai entrando nel mondo della vendita di immagini o vettoriali online, questo approfondi-mento ti aiuterà a comprendere alcune dinamiche relative ai formati e, naturalmente, al colore.

Immagini

Come detto, la maggior parte dei portali accetta solo formati Jpeg e con spazio colore sRGB. La risoluzione incide relativamente: le immagini sono spesso classificate in small, medium, large ecc. a secondo del numero di pixel a disposizione. Vale la pena dotarsi di un’attrezzatura professionale e con un elevato valore di Megapixel se si vuol ottenere il massimo guadagno dalla propria foto. Una nota di colore è da evidenziare in quei portali che ancora confondono i ppi con i dpi: su questi dubito possiate trovare supporto tecnico adeguato.

Vettoriali

Devo ringraziare Angela Zanin per il supporto su questa parte: nel mondo dei vettoriali c’è ancora molta confusione, tant’è che spesso molti ignorano che i formati .eps possono con-tenere elementi vettoriali. Questo è il formato più comune accettato dalle piattaforme, con spazio colore sRGB e peso massimo dei file che non dovrebbe superare i 60 MB (tecnica sempre valida: se state usando dei font, non incorporateli ma inserite un documento con il link per il download). I formati .ai di Illustrator sono ancora non troppo comuni e questo è tra i motivi che vi obbligherà a creare più versioni dello stesso progetto.

Parola all’esperto

a cura di patrizia Anna Coccia

Nel corso della mia carriera professionale ho utilizzato diversi siti di stock photo. Quasi sempre le immagini hanno un profilo sRGB e su questo ho avuto modo di confrontarmi con molti colleghi fotografi che ormai hanno modificato il proprio modo di lavorare proprio in funzione del portale di pubblicazione. Raramente mi è capitato di trovarmi davanti un profilo colore assente e questo capita su portali minori o amatoriali. In queste circostanze, proprio in virtù delle “dritte” avute da chi scatta, ho scelto per l’assegnazione di profilo sRGB valutando sia quali modifiche apportare (spesso poche correzioni cromatiche e di contrasto) sia scegliendo un output che potesse garantire l’aspetto dei colori che leggevo a monitor. Tuttavia il primo passaggio è sempre quello di cercare informazioni sull’autore e sullo scatto: dal confronto con il publisher spesso si possono ricevere le giuste informazioni e porre rimedio ad eventuali mancanze del portale di stock immagini.

 


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Color management: un evergreen

ItaliaGrafica Settembre

La gestione del colore nel processo di produzione di qualsiasi stampato è argomento ampiamente dibattuto. Sempre al centro dei lavori di ISO, l’organizzazione internazionale che studia ed emana norme, protagonista di rilievo nei convegni tecnici e sulle riviste di settore, il tema del color management è da tempo percepito come un elemento fondamentale per ottenere un risultato in linea con le aspettative del cliente. Ma se tanti passi avanti sono stati fatti, basti pensare ai vari standard proposti e ben documentati come FOGRA, UGRA, GRACOL, SWOP, G7, unitamente alle già citate norme ISO, permangono diverse zone d’ombra che ancora causano intoppi e contestazioni nel processo produttivo.

Innanzitutto un approccio a compartimenti stagni, per cui spesso i reparti di prestampa e stampa non si parlano e tendono a ricorrere i problemi piuttosto che affrontarli in modo congiunto. Meglio sarebbe cercare insieme soluzioni che partono dall’analisi del file, si basano su una corretta classificazione delle materie prime (substrato di stampa e inchiostri) e dalla caratterizzazione delle macchine da stampa.
Poi c’è la varietà di tecnologie di stampa oggi presenti in tutte le aziende grafiche che ha introdotto nuove variabili da tenere sotto controllo per avere un risultato, dal punto di vista cromatico, consistente.
Un altro elemento che contribuisce a complicare la materia è la mancata adozione da parte di Adobe delle nuove release dei profili colore contenuti nelle norme ISO più recenti (Fogra51 e Fogra52). Poiché i software dell’Adobe sono quelli più diffusi e utilizzati in tutto il mondo, la maggioranza dei file che vengono invitati agli stampatori fanno ancora riferimento ai dati Fogra39, uno standard ormai superato, che impone allo stampatore una maggiore attenzione nella gestione della colore dello stampato.
Nel numero di Italia Grafica di settembre trovano spazio una serie di articoli su questo tema; la Redazione ha coinvolto alcuni tecnici che si sono fatti carico di affrontare gli argomenti più importanti partendo dalla fase di acquisizione e composizione del file fino alla gestione del prodotto in macchina da stampa. Una carrellata di analisi, pareri e suggerimenti che confermano quanto una mancata o approssimativa gestione del colore possa portare alla contestazione dei lavori e alla conseguente ristampa, allunghi in modo significativo i tempi di avviamento, generi un alto volume di scarti e imponga la rischedulazione della programmazione interna come pure dei fornitori delle lavorazioni successive. Insomma un danno che può ridurre il margine economico delle commesse e compromettere la professionalità dell’azienda.
Oggi le risorse tecnologiche per affrontare con professionalità il tema della gestione del colore ci sono, le norme sono disponibili e le associazioni tecniche continuano a proporre documentazione a supporto del mercato. Non ci sono più scusanti: le aziende grafiche possono e devono fare propria questa materia e trasferire tutte le competenze necessarie ai propri collaboratori.


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TrojanLabel innova la stampa del packaging

TrojanLabel, brand del gruppo Astronova e apprezzato costruttore delle stampanti per etichette a bobina T2 and T2-C, ha lanciato nel mercato globale la stampante digitale per packaging T3-OPX, un sistema inkjet di ultima generazione in grado di stampare immagini, testi e dati variabili di alta qualità e in quadricromia su un’ampia gamma di prodotti ricettivi per la stampa inkjet come scatole in cartone, buste e sacchetti in carta, pannelli in legno, T-shirt, prodotti in tessuto o TNT o ad alto spessore come buste imbottite, cassette di legno o scatole in cartone già assemblate e pronte per la spedizione. T3-OPX utilizza inchiostri ad alta resistenza ambientale, testati per resistere a luce solare, acqua e graffi. Questi inchiostri aderiscono talmente bene alle superfici porose che hanno ricevuto la certificazione BS5609 Sezione 3 essendo resistiti cinque settimane all’azione erosiva di acqua fredda salata.

In precedenza, questo tipo di stampa durevole era difficile e costosa da effettuare in piccole tirature. Trojanlabel ha risolto questi problemi sviluppando un sistema ad alta tecnologia, che può essere applicato su due diversi sistemi di trasporto, standard (larghezza 600 mm) ed extra wide (1.000 mm) e declinato per vari tipi di materiali e di segmenti di mercato tramite accessori specifici come mettifoglio automatici, vasca di raccolta e pulitore per la superficie dei materiali.

Il “cuore” della macchina è un sistema inkjet HP ad alte prestazioni, che permette la stampa di grandi volumi di lavoro fino a 27 m/min o 1.200 dpi, mentre il touch screen capacitivo da 15,6” garantisce facilità d’uso, con una gestione intuitiva del lavoro e con pochi click. Infine il client RIP integrato direttamente nell’HMI permette una regolazione colore veloce ed accurata. Con la T3-OPX è facile passare tra materiali di diverso spessore senza dover effettuare regolazioni meccaniche, perché il sensore ottico impiega 10 secondi nel regolare automaticamente l’altezza di stampa, che viene salvata in memoria per future ristampe.

Il sistema elettronico di regolazione obliqua dell’unità di stampa consente una gestione semplice di materiali con spessore variabile in larghezza, come ad esempio shopper con manico in corda, mentre il sistema di trasporto con aspirazione a vuoto e la pressione elettronica per la planarità del materiale aiutano nella gestione dei materiali più complessi.

T3-OPX è distribuita in esclusiva in Italia da Erre.Gi.Elle. «T3-OPX sta avendo un ottimo successo commerciale – dice Marco Riva, direttore tecnico di Erre.Gi.Elle – poche settimane dopo il lancio commerciale e nonostante il lockdown, stiamo consegnando molte T3-OPX a stampatori italiani e ce ne sono dozzine in consegna in tutta Europa. È gratificante vedere quanti converter italiani hanno dato fiducia alle stampanti Trojanlabel per risolvere le necessità dei propri clienti in modo veloce e semplice. Siamo orgogliosi del lavoro svolto in questi 5 anni insieme a Trojanlabel e per l’impatto positivo nel business dei nostri clienti».

 


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